Andrea Segre, 2011, F-I, 100 min.
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commento di Maria Vittoria Costantini e Celestina Pezzola
Il film ‘Io sono Li’ opera prima di Andrea Segre, presentato alla mostra di Venezia nella sezione giovani, è un bel film e, a nostro parere, meritava qualcosa di più di un premio decisamente secondario; il pubblico presente in sala alla prima ha giustamente applaudito per 15 minuti.
Il film risente forse di un ‘troppo’ regionale, per cui alcune battute o alcune scene sono ironiche o affettivamente intense per noi, veneziani, ma non è certo che lo siano per un cittadino di altri luoghi e tantomeno per gli ‘stranieri’. Nonostante ciò il film affronta il problema della immigrazione, dello straniero, in modo molto delicato all’interno di un vero e proprio dramma. Questo tema che evidentemente è molto sentito ed attuale, è presente in molti film italiani e stranieri della 68 Mostra di Venezia, è anche il tema del prossimo EPFF (European Psychoanalytical Film Festival a cui l’Italia presenterà il film di Giorgio Diritti ‘Il vento fa il suo giro’).
‘Io sono Li’ è la storia dell’incontro di due solitudini; a Chioggia, piccola cittadina importante porto per la pesca, da secoli sotto la Serenissima Repubblica Veneta, si incontrano, nella ‘osteria’ sul porto. Shun Li, una cinese, obbligata a lavorare al bar in attesa della ‘notizia’, la notizia cioè che ha completato con il suo lavoro il riscatto per cui la organizzazione cinese le permetterà di far arrivare in Italia il figlio di otto anni, rimasto in Cina e Bepi, un anziano pescatore croato rimasto vedovo, immigrato a Chioggia da trent’anni,.
Incontro tra due ‘stranieri’ seppure molto differenti nel loro statuto di immigrati. Una totalmente estranea, clandestina senza alcun diritto e come tale decisamente perturbante e l’altro un immigrato apparentemente integrato al punto che nel film viene ripetuto più volte: “ma ti, ti xe qua da trent’ani” ma che alla resa dei conti non fa parte ancora del gruppo. Ed è lui solo che comprende la nostalgia dolente di Li; in Bepi la nostalgia sopita per la sua intera vita che volge verso la fine, con il figlio che vuole strapparlo dalla sua identità di pescatore per portarlo nell’odiata Mestre, la terraferma disprezzata da tutti, veneziani e ‘ciosoti’, (abitanti di Chioggia), si riapre con dolcezza per comprendere la nostalgia sorda ma tenace di Li.
Lo psicoanalista Masciangelo, che ha osservato il mondo da un vertice di frontiera, ha sostenuto che il concetto di nostalgia investe una dimensione di spazio intima e segreta, heimlich appunto, composita ed indefinita, di transizione, di frontiera, la quale anima scenari interni in cui il qui-adesso e l’altrove-in un tempo diverso vengono a congiungersi. Questo tenero sentimento permette a sua volta a Li di ricordare, senza un dolore devastante, e di allucinare la sua terra, sovrapponendo e congiungendo così il paesaggio lagunare di Venezia con il mare cinese circondato da alte montagne innevate.
Si crea così un’immagine surreale che ti sorprende e non comprendi immediatamente ma ti fa entrare nel ricordo e nel mondo interno, per altri versi a noi così estraneo, di Li.
Il regista, durante il dibattito, si è soffermato sul concetto di ‘essere stranieri in casa propria’ come si sente, a volte, il pescatore croato e sull’importanza che ha avuto questo film per lui, per avvicinarsi al tema dell’estraneo-familiare (la città di Chioggia rappresenta infatti per il regista un ritorno alle origine materne). Il ritorno ai luoghi per il regista familiari ma al contempo estranei, per la recente presenza della comunità cinese, comunità che introduce un elemento di estraneità, rimanda, come sembra avvenire nella mente di Lì, ai luoghi familiari ed estranei allo stesso tempo ben espressi dalla suggestiva contaminazione della laguna veneta con il mare cinese. La laguna come culla di solitudini.
Per entrambi i protagonisti “stranieri” è l’assenza (la lontananza dalla madre-patria, l’assenza di certezze identidarie) che genera il desiderio, la ricerca di un primo oggetto perduto. Il regista afferma che il tema del film non è tanto una riflessione su un amore impossibile quanto sulla ‘ricchezza che può generare un incontro fra differenze’. Tuttavia è proprio dal tenero e delicato (appena pennellato) sentimento che scaturisce tra il pescatore ciosoto-croato e la cinese figlia di pescatori, che il film, partito all’inizio con un ritmo lento, statico e offuscato, come la nebbiosa laguna veneta si anima man mano che gli affetti entrano in scena, il primo sorriso di Bepi, la risposta di Li e si conclude con un ritmo caldo e intenso seppure nella tristezza diventa cioè fecondo.
Suggestivo l’uso della poesia che abita tutto il film; si pensi alle canoce (tipico pesce veneziano) cucinato dai cinesi e al poeta Bepi che per rendere elaborabile la situazione crea i versi “sul canal de mattina magno (l)e canoce de(ll)a Cina” e alla cerimonia con le luci nel canale per la festa del famoso poeta cinese.
Freud ci ha mostrato, a proposito del “narcisismo delle piccole differenze”come l’avversione e la ripugnanza provata per l’esterno con cui si è in contatto esprima un narcisismo che tende all’autoaffermazione. Sarà proprio la poesia a creare un collegamento-ponte tra le due civiltà, a permettere di intraprendere quel lungo viaggio tra il noto e l’ignoto. Poesia che accompagna noi spettatori per tutto il film, così come i “viandanti”, gli esuli nella storia culturale di Li.
Così solo Bepi, il poeta ancora straniero, sa leggere oltre l’espressione statica ed anaffettiva di Lì che cambierà solo con l’arrivo del figlio e lascerà il posto ad un volto più femminile, luminoso ed animato dal desiderio.
Ma nonostante i ponti gettati dal poeta, le due comunità così rigidamente chiuse, come quella di Chioggia e quella Cinese, impediranno all’incontro di avere un lieto fine.
Una favola amara per metà, dove sembra quasi che il regista, che pure dimostra una grande conoscenza e sensibilità sociale per il problema, sia piuttosto pessimista sulla possibilità di un processo di integrazione a breve termine. Non a caso nel film viene con insistenza ripetuto a Bepi, per sottolinearne la differenza da Li, che lui è li da trent’anni.
Ma non bastano trent’anni, ci vuole molto di più, forse la consapevolezza della ricchezza che solo l’incontro affettivo con l’estraneo dentro e fuori di noi genera, come ci ha insegnato la psicoanalisi.
26 settembre 2011