Autore: Giuseppe Riefolo
Titolo: “Il Sol dell’avvenire”
Dati sul film: regia di Nanni Moretti, Italia 2023, 95’
Genere: commedia drammatica
Storie già scritte (e la rivoluzione ungherese)
“Comprendere una qualunque catena logica
di pensiero significa seguire uno zig-zag”
(Bollas, 2009)
Giovanni (Nanni Moretti) deve girare un film su ciò che accade in Italia durante l’invasione dell’Ungheria da parte della Russia nel ’56. Sua moglie Paola (Margherita Buy) intanto medita di lasciarlo e la loro figlia si fidanza con un uomo molto anziano. I protagonisti del film sono Ennio (Silvio Orlando) e Vera (Barbara Bobulova), una coppia che coordina la sezione del Partito Comunista Italiano del Quarticciolo a Roma. Il clima di crisi riguarda tutti i personaggi.
Durante il film ho pensato alla sospensione delle certezze: il partito da una parte e le persone con la loro vita quotidiana dall’altra. Ma poi c’è il circo Budavari dove tutto può essere ribaltato e Vera e Paola che portano l’amore. Poi ci sono due film che devono essere girati. Uno che si risolve con le pistole, l’altro prevede una fine tragica per Ennio. È tutto scritto e non si capisce perché l’Ungheria, ad un certo punto, non sia d’accordo e ponga dei seri problemi. In tutto il film il tema è l’Ungheria che pone problemi.
Poi Giovanni non capisce perché Paola, con la quale “abbiamo sempre parlato di tutto” improvvisamente, vuole che “si parli di noi!”. E poi tua figlia, quelli di Netflix e i produttori coreani: tutti vogliono che cambi il finale a cui avevi pensato!
Nel film i cambiamenti questa volta non li pretendi ma “ti vengono a cercare”. I cambiamenti passano dalle donne che fai fatica a capire. Gli uomini invece dicono: “Aspettiamo. Vediamo qual’è la posizione del partito!”.
Ho pensato che questa volta Moretti si parla attraverso le sue donne che sanno fargli il verso. L’autoironia è soprattutto nei toni di Vera, la protagonista del suo film. Vera è contro Ennio, è contro le posizioni del partito. Vera cambia il copione introducendo costantemente l’amore al posto del tono della politica. Ma gli uomini non capiscono e mantengono il loro finale: “Ma questa è una scena in cui parlate di politica!”.
Il film è leggero. La citazione di Calvino mi ha fatto pensare poi alla leggerezza che deve essere continuamente cercata: “Pavese si è ammazzato perché noi imparassimo a vivere!”. La leggerezza non è la qualità di un evento, ma è un processo. È la musica di Aretha Franklin che coinvolge Giovanni e Paola nella macchina. Si tratta di superare un altro blocco tra Paola e Giovanni che cerca faticosamente di spiegare a Paola perché soffre.Questa volta le parole non contano, conta la musica e la danza: “Voglio vederti danzare”. Ho pensato a quanto percorso c’è fra le “le parole sono importanti!” con ciò che conta adesso: “Sono solo parole”. Poi è bello che la canzone ti porta sul set dove devi iniziare le riprese di un film di cui sei certo di conoscere bene la trama che non deve essere cambiata. Per fortuna, nessuno ti risponde, ma tutti si sintonizzano e danzano lenti sulla tua canzone dove riconosci che “il tempo che ho passato con te ha cambiato per sempre ogni parte di me”.
E poi, Battiato, quando hai appena finito di spiegare come sarà il film che hai immaginato proprio partendo dal finale che non accadrà mai. Chiami: “Azione”, ma tu per primo non ci credi e non uscirai dalla scena. Ci rimani dentro e cominci a ballare con lo sfondo delle case del Quarticciolo e tutti gli attori che si sintonizzano sulla tua danza. Anche i due ragazzi che non sapevano come litigare e che si sono finalmente baciati nel cinema, ora nella danza, si promettono: “Voglio vederti danzare… mentre gira tutto intorno alla stanza, mentre si danza, mentre si danza”.
È accaduto in altri film di Moretti, e anche questa volta Giovanni insegue un pallone ed è bello sentire le cadenze ritmiche, sempre più lente, di Giovanni che palleggia. Ma è diverso. Non si tratta di riempire stancamente un’attesa in una sosta a Stromboli o perché decidano chi sarà il Papa. Questa volta, lentamente tutti vanno via dalla piazza e Giovanni rimane solo a palleggiare. A me è sembrato un altro tipo di musica, lenta e cadenzata che ti accompagna a trovarti solo. Questa volta sei solo perché Paola vuole lasciarti e tu ti chiedi finalmente come può essere possibile che qualcuno possa volersi separare. Sei solo perché finalmente la solitudine è una stazione dei processi.
L’ultima scena non si dovrà girare e per Ennio non sarà la fine anche se ha sempre sognato di fare un personaggio così. L’ultima scena cambia radicalmente nonostante Giovanni abbia pensato il suo film dalla fine, ovvero da quella scena che poi non si dovrà girare perché finalmente, come nei sogni, “la storia si può fare con i se”.
Gli analisti sanno che I veri finali delle storie accadono perché “il significato evolve nel corso dell’interazione” (BCPSG, 2010, 151). Gli analisti sanno che i finali che i pazienti ci portano sono reali, ma non sono quelli veri. Non sono stati sognati e, quindi, rimangono lì. Infatti per me la lunga passeggiata finale (fa venire in mente il Quarto Stato, e Novecento) è il sogno nelle lettere che fanno sopravvivere Moro (Bellocchio) alla concretezza di chi aspetta “come si schiererà il partito” o il sogno di Polansky (Tarantino) che potrà accarezzare ancora la pancia di Sheron Stone.
Negli altri film di Moretti era diverso. In questo Giovanni guarda a sè e non importano più gli altri: fuori il mondo è bloccato dai Caimani, da D’Alema che non riesce a dire nulla di sinistra, dall’assenza di tua madre o da altri film che non riesci a fare. Questa volta, se cambi il finale, il film, leggero, si può fare. Nel sogno tutto si ribalta, non perché il sogno non sia il desiderio al posto della frustrazione, ma perché è soprattutto vedere la cosa da un altro vertice che è sempre presente.
Suggerimenti bibliografici
Bollas Ch. (2009). La domanda infinita, Astrolabio, Roma.
Boston Change Process Study Group (2010). Il cambiamento in psicoterapia, Cortina, Milano, 2012.