Parole chiave: avvenire, comunismo, felicità, speranza, illusione
Autore: Paola Ferri
Titolo: “Il Sol dell’avvenire”
Dati sul film: regia di Nanni Moretti, Italia 2023, 95’.
Genere: commedia drammatica
A me è piaciuto questo nuovo film di Nanni Moretti che, come sappiamo, o si ama o si odia. E io, alla fine, non riesco a non amarlo.
Il film è naturalmente pieno di difetti su cui sicuramente i critici si scateneranno: è come sempre auto compiaciuto, con la sua recitazione che lascia molto a desiderare, se consideriamo i canoni recitativi tradizionali, ma è un film sincero, unico e commovente.
È chiaramente un film di bilancio per chi fa parte di un certo ambiente politico (la Sinistra, se ancora esiste), di ricostruzione storica con note fantasiose, di malinconica nostalgia per un passato ideologico per certi versi ingenuo, ma anche terribile e mai più riproponibile, per un ideale di giustizia e salvezza svanito per lasciar posto al nulla.
È un film testamento sulla politica e sul cinema, e sul senso della vita e delle relazioni al di là della politica e del cinema.
L’alter ego di Moretti (che pure recita nella parte di se stesso, Giovanni, regista), è Silvio Orlando, un segretario di Sezione della periferia romana, nel 1956, anno dell’invasione sovietica a Budapest, che fa una cosa nella realtà storica non accaduta: si dissocia dall’invasione sovietica e, grazie a lui, l’Unità uscirà col titolo “Unione Sovietica addio”. In realtà il Partito Comunista appoggiò l’invasione sovietica, e ci sarebbe voluto Berlinguer perché lo strappo diventasse effettivo.
Ma nella romantica ricostruzione di Giovanni, segretario di Sezione, grazie all’amore per una compagna, che gli ricorda che la vita affettiva esiste, si esprimerà per lo strappo che non avvenne e l’allontanamento dall’Unione Sovietica dell’allora Segretario Palmiro Togliatti.
È un film sulla potenza dell’amore, anche se lo stesso Giovanni sembra non sapere coniugare talento e affettività, tanto che la fedelissima moglie Paola, interpretata da una Margherita Buy perfetta nella parte, vuole lasciarlo e si rivolge a uno psicoanalista per riuscire a farlo.
Lo psicoanalista è surreale e improbabile: ha problemi di memoria dovuti all’avanzare degli anni, e interrompe una seduta con Paola, per rispondere al nipote alle prese con una traduzione di greco. Ma Paola non ha fatto il classico, e non lo può aiutare, e lui forse non se lo ricorda più … segno anche questo del passare inesorabile della cultura classica, dei riferimenti basilari della nostra storia? Forse.
C’è poi un omaggio al cinema, attraverso la citazione di numerosi autori: Demy, Kieslowsky, Truffaut, l’attore fallito Amalric che rappresenta il cinema francese (che sappiamo amare Moretti, che difatti sarà a Cannes), Martin Scorsese (che dovrebbe soccorrerlo al telefono) e soprattutto Fellini. “Otto e mezzo” farà parte del film che Nanni regista sta girando, soprattutto nella scena finale, quella in cui Mastroianni dopo il girotondo famoso che rimanda alla casualità e circolarità dell’esistenza, fa un segno buffo di rassegnazione e saluto, simile a quello con cui Moretti si congeda alla fine del film.
Le apparizioni illustri riguardano anche Renzo Piano, che dice la sua sul tema della violenza che per diventare arte o tragedia deve essere trasformata, altrimenti è fine a se stessa, della scrittrice Chiara Valerio e di Corrado Augias, che gli mostra l’eroticità autentica di un dipinto classico, l’amor sacro e l’amor profano di Tiziano.
É rappresentato pure l’orrore di certo cinema moderno (che la moglie in un tentativo di emancipazione da lui vuole finanziare) in cui la violenza è gratuita e senza scopo, come le nostre esistenze in questi tempi senza valori.
Va bene, è crollato il comunismo, va bene, Stalin era un dittatore terribile (ma anche Lenin direi, di cui non strappa il manifesto nella sezione immaginaria), va bene, abbiamo abbattuto tutte le ideologie … ma che cosa le ha sostituite? Nulla.
Nel film le ha sostituite Netflix, che fa un buon prodotto commerciale, ma che non può accogliere i film di Moretti perché non compare il turning point al tempo giusto e manca il what the fuck ( cioè la famosa espressione anglosassone di sconvolgimento e di capovolgimento improvviso dello schema narrativo).
E allora forse va ritrovato almeno uno spazio creativo, rappresentato dalle canzoni e dalla danza, che rimane una sua grande attrazione, già presente in precedenti film, ma mai così esplicitamente.
A un certo punto gli interpreti del film nel film si librano leggeri, come dervisci o come i trapezisti del circo ungherese che non vuole più tornare in patria.
Nel finale, gli attori più importanti del Cinema di Moretti sfilano in corteo, sorridenti, portatori forse di una speranza rinnovata, o riproduttori di quel girotondo felliniano che rimanda all’eterno ritorno esistenziale delle speranze, delle passioni, delle illusioni e del circolo della vita e della morte).
Momento commovente, che mi ha fatto pensare al bisogno di illudersi, al bisogno di giocare, al bisogno di non smettere di credere. In qualcosa, in qualcuno, in se stessi.