
Parole chiave: paranoia, libertà, cecità, sessuofobia
Autrice: Patrizia Santinon
Titolo: “Il seme del fico sacro”
Dati sul film: regia di Mohammad Rasoulof, Germany/France/Iran, 166’
Genere: drammatico
Rasoulof, vincitore dell’Orso d’oro al Festival di Berlino nel 2020 con “Il male non esiste”, sceglie un nucleo famigliare per raccontare la storia di Iman, nominato giudice istruttore, con l’approvazione di sua moglie, Najmeh e delle sue figlie adolescenti, Rezvan e Sana.
L’imperativo della Repubblica Islamica iraniana è imporre il bene e proibire il male e Isman, padre amorevole nei ritratti di famiglia che raccontano le interazioni di gioco con le figlie bambine al mare, assume su di sé questo mandato con una confusione tra il ruolo istituzionale extrafamiliare e quello intrafamiliare che diventa paranoia: quando la sua pistola sparisce, sospetta della moglie e delle figlie, sottoponendole a interrogatori e a misure rigidissime imposte dalla gerarchia giudiziaria iraniana.
Le famiglie devono convincere le loro figlie a indossare l’hijab per evitare un insulto all’Islam.
Le cliniche dell’hijab, secondo il Ministero per la promozione della Virtù e la prevenzione del Vizio, sono previste in un disegno di legge sulla sicurezza delle donne che psichiatrizza quelle senza velo o mal velate.
Il film girato clandestinamente riprende immagini di esterni che tutti noi conosciamo, video che hanno girato il mondo con gli scontri all’Università d Teheran tra le studentesse in protesta del movimento Donna, Vita, Libertà e le donne della polizia morale.
La storia dell’amica di Rezvan ci ricorda Ahoo Daryaei che con la sua passeggiata nel cortile dell’Università Islamica di Azad nel novembre 2024 mette in scena il corpo di donna, impregnato di un discorso sessuofobico che descrive il corpo come oggetto e non come soggetto, come tessuto desiderante fatto di carne e di ossa, di emozioni, di intenzionalità.
Marjane Satrapi, autrice e regista di Persepolis, il bellissimo fumetto storico e autobiografico divenuto poi film, suggerisce che oggi la sua protagonista sarebbe scesa in strada e avrebbe combattuto, forse avrebbe perso un occhio.
L’amica ferita consente di squarciare il velo della comunicazione di propaganda che consegna notizie rassicuranti e protegge dalla verità. Come già indicava Freud (Freud, 1916) in una sua lettera a Lou Salomè, quando ci si trova alle prese con una questione particolarmente oscura occorre temporaneamente accecarsi per penetrarla.
Elaheh Tavakoliyan, dopo aver perso l’occhio destro nel corso di una protesta senza di fatto avervi partecipato, è stata accolta in Italia come rifugiata politica. Nell’estate che trascorre a Milano, calda come un’estate iraniana, in attesa di una operazione in un famoso ospedale milanese, si esprime così: “Grazie per avermi rubato un occhio, grazie se questo ha ridato la vista a un popolo”. (Stefanelli, 2023, 68).
I manifestanti che tra il 2022 e il 2023 sono stati colpiti a un occhio sono stati circa 1500: il 25 novembre 2022 arrivava dai media stranieri una lettera firmata da decine di oculisti e oftalmologi iraniani denuncianti un deliberate blinding. Le forze del regime perseguono l’accecamento di chi protesta.
Il 12 dicembre 2022 Aida Rostami, medico operante nella rete clandestina che offriva aiuto e intervento d’emergenza ai reduci dei conflitti di strada, fu fatta sparire perché non fosse d’esempio per le altre, in violazione al riconoscimento di neutralità protezione e immunità a chi presta soccorso come impone la Convenzione di Ginevra.
In Iran i due termini inglesi che rispondono all’idea di prendersi cura – to cure accanto a to care – la parte clinica e quella esistenziale si sono fusi, mestiere e passione civile.
Come Albert Camus ne “La peste” (1947) esorta i medici a affrontare la stanchezza e mantenere viva la loro immaginazione non abbandonando chi è destinato alla morte, così la cura e la compassione sono la vera Rivoluzione in un regime in cui il potere autocratico è fondato sulla distanza e sulla diffidenza.
Se l’amica colpita al volto vive l’insulto alla sua bellezza e la condanna alla cecità esterna, la cecità interna cui si abitua poco a poco Isman rende la realtà una proiezione di immagini persecutorie che prendono il posto dell’esperienza del mondo. Isman smette di parlare alle sue figlie, di giocarci, perde ogni riferimento femminile. Le figure femminili del film si lasciano attraversare dalla sofferenza e la cruda realtà costruisce una nuova conoscenza: liberate dalla prigione imposta del silenzio e della cecità comprendono che il tentativo di prendere il controllo del corpo è un atto politico pieno e necessario. “Donna vita libertà”(Zan Zendagi Azadi) diventa lo slogan delle donne in casa e in strada. Da un parricidio a una pregnanza che apre al futuro in cui maschile e femminile sono portati l’uno nell’altro come le superfici di un nastro di Moebius.
Riferimenti bibliografici
Camus A. (1947), La peste, Milano, Bompiani, 1948
Freud S. (1916), Lettera 25 maggio a Lou Andreas-Salomé. In Freud, Salomé (1963), Eros e conoscenza. Torino, Boringhieri, 1983
Stefanelli B. (2023). Love Harder: Le ragazze iraniane camminano davanti a noi. Milano, Solferino Casa Editrice, 68
Persepolis, film d’animazione del 2007, candidato all’Oscar, basato sull’omonimo romanzo a fumetti autobiografico di Marjane Satrapi e da Vincent Paronnaud.