Cristina Comencini, 2002, I, 102 min.
Commento di Gabriella Giustino
Uno sguardo sulla verità
A mio parere il filo rosso che percorre il film è rappresentato da Chiara (di nome e di fatto) che cerca disperatamente di far emergere la verità dal suo punto di vista infantile.
La bambina – regista del film vede e descrive la verità intorno a sé, ma nella sua famiglia predomina, suo malgrado, la bugia conformista.
Allora la piccola chiede un parere superiore per convalidare le sue giuste percezioni: col suo sguardo traboccante d’intuizioni, prega Gesù di darle sostegno. Sembra cercare qualcuno più grande di lei che l’aiuti. Come dice Freud nel suo lavoro “L’avvenire di un’illusione” il fenomeno religioso è collegato al senso d’impotenza infantile e consente di soddisfare il bisogno di protezione da parte di una figura paterna.
Negli esseri umani esiste una fame naturale della mente verso la verità, un bisogno intuitivo di conoscerla. La regista costruisce l’intreccio tra membri di una bella famiglia dove tutto sembra perfetto, ma non lo è. La facciata nasconde un’insoddisfazione diffusa, un vortice di emozioni e desideri repressi o negati .
Le emozioni possono essere vissute e ricercate, ma anche evitate, uccise, dissociate. La bugia conformista tende a uccidere la verità delle emozioni.
Bion dice che la verità è cibo per la mente ed afferma che il pensiero VERO è intuitivo. Nel suo lavoro intitolato “Truth” l’Autore dice: “ Un sano sviluppo mentale sembra dipendere dalla verità come l’organismo vivente dipende dal cibo. Se la verità manca o è incompleta, la personalità si deteriora”.
Spesso quando la verità emerge fa soffrire, ma prelude anche ad un nuovo inizio. Qualcosa cambierà nella vita dei membri della famiglia e la piccola Chiara, che si prepara per la prima Comunione, ne sarà l’attenta testimone.
Irene e i suoi figli, come dei personaggi in cerca d’autore, sono alla ricerca di un’identità emotiva, di una direzione da dare alla propria vita.
Quando non si conosce o ri-conosce la verità emotiva su di sé la vita non può che essere vissuta senza riuscire ad afferrarne veramente la pienezza. La madre (Irene) che all’inizio del film dirà alla figlia in crisi “ci sono molte cose nella vita oltre l’amore” nel finale realizza di aver vissuto una vita a metà “come dietro a un velo”.
L’escamotage dell’accoppiamento tra cani e della prole meticcia, “bastarda” e contaminata (ma oserei dire sana) che ne verrà, è il centro di un intreccio che si dipanerà poi nel corso del film, come procedendo con naturalezza, quasi senza sceneggiatura. Il cinema “artigianale” della Comencini trova, a mio parere, il massimo della sua espressione in questo bel film che mette in scena i complicati rapporti tra i diversi membri della famiglia borghese “allargata”. La colpa di Irene è quella di non aver saputo svelare la bugia e di non aver saputo vedere l’inganno nella sua vita e in quella dei suoi figli. E’ l’incapacità d’amare passionalmente che genera la menzogna. La menzogna è immobile, inaridisce i sentimenti; la verità rimette in moto i destini e ricongiunge al fine le persone.
Ottobre 2013