Asghar Farhadi, Francia, Italia, 2013, 130 min.
commento di Maria Antoncecchi
‘Il passato’, del regista iraniano Asghar Farhadi, presentato con successo all’ultimo Festival di Cannes, è stato girato in Francia ed è interpretato da Ali Mosaffa e Bérénice Bejo.
Ahmad giunge a Parigi da Teheran per divorziare da Marie, che non incontra da molti anni. La donna insiste per ospitarlo in quella che era anche la sua casa, dove ora tutto è cambiato, come evoca il diverso colore delle pareti. Si trova a confrontarsi con la nuova vita della donna che ha amato, con le figlie di lei, avute da un matrimonio precedente, e il figlio del suo nuovo compagno, Fouad (bravissimo). Abbiamo subito la sensazione di trovarci di fronte a sentimenti complessi, la cui evoluzione ci tiene con il fiato sospeso. Questo incontro tra i due protagonisti, che doveva segnare la fine della loro relazione, fa riaffiorare sentimenti inaspettati. Lentamente emergono dolori del passato, sensi di colpa, segreti e gelosie, non detti, mai condivisi, ancora inelaborati. Ahmad, con il suo modo di fare pacato, sembra inizialmente saper contenere questi affetti ma, come tutti i protagonisti del film, non riesce a separarsi dagli oggetti del passato che ritorna, con cui è costretto a fare i conti, suo malgrado.
“Bisogna decidere se stare di qua o di là del fiume” dirà un amico iraniano di Ahmad, ed è proprio questa la difficoltà dei protagonisti della storia.
Lei, Marie, noncurante rispetto a ciò che le accade intorno, sembra l’unica a non avere rimpianti: “Voglio andare avanti a tutti i costi”, dirà ad Ahmad volgendo le spalle a lui e alla cinepresa, come a ribadire fisicamente il suo voler guardare al futuro. A testimonianza di questa sorda volontà c’è la figlia adolescente che non accetta il nuovo compagno della madre, si ribella e la ostacola in ogni modo. Attraverso di lei si esprimono i segnali di sofferenza per una storia familiare fatta di abbandoni e di lutti non elaborati. Ahmad è scappato via perché non sopportava la lontananza dal suo paese e la giovane si chiede: “E se anche lui dopo pochi anni andrà via?”.
Il non poter scegliere, stare in sospeso, rimanere ‘sul bordo’, appare la condizione affettiva su cui si sviluppa il film, lo snodo centrale, che appare rappresentato da un altro personaggio del film, solo apparentemente secondario. Si tratta della moglie del nuovo compagno di Marie, che è in coma, bloccata tra la vita e la morte, tra passato e futuro, così come i protagonisti sono prigionieri tra nuovi e vecchi legami che non possono sciogliere.
Staccarsi dal passato sembra equivalere a soccombere, essere una perdita carica di un dolore così intenso da non essere sopportabile. Elaborare il passato per investire in una vita nuova vorrebbe dire potersi differenziare, riconoscere e appropriarsi di sé e lasciare ciò che è dell’Altro. Quando questa possibilità sembra concretamente attuarsi nel ‘divorzio’ ci appare subito forzata e impraticabile, sono troppi risentimenti e sensi di colpa che la ostacolano.
Rimanere legati al passato o poter vivere un presente che si proietta nel futuro? Questa domanda percorre tutto il film, che non offre una risposta, ma ci avverte: “L’ombra del nostro vissuto continua a pesare su di noi e a riportarci indietro”, come ha dichiarato lo stesso regista. In quest’affermazione si sintetizza un tema centrale della psicoanalisi e lo snodo di ogni percorso psicoanalitico.
Si intravvede la possibilità di una vita diversa, di un cambiamento. Perché questo avvenga, quelle due mani, che si stringono nell’inquadratura finale, devono schiudersi e allontanarsi, avvicinarsi ad altre. Per liberare dal peso del passato le generazioni dei figli.