Ken Loach, 2009, GB-I-F-B, 116 min
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commento di Elisabetta Marchiori
Il mio amico Eric: tutto cominciò
con un bel passaggio (di Eric Cantona)
Queste riflessioni, che hanno preso
avvio dalla visione del film"Il mio
amico Eric" (Looking for Eric, 2009) di Ken Loach sono una sintesi del lavoro presentato al Convegno di Lavarone "Le
frontiere della Psicoanalisi: Tra amicizia e solitudine" nel luglio 2010. La parola su cui si è fermata la mia
attenzione nel titolo di questo Convegno è la preposizione "tra", che lega le
parole "amicizia" e "solitudine". "Tra" indica una "traiettoria" fra
due punti nello spazio o nel tempo, dove ci si può soffermare o che si possono
attraversare, e indica anche partecipazione, reciprocità, interiorità.
E’ un elemento che funge da ponte,
permette un "passaggio" tra sentirsi soli e sentirsi in relazione con gli altri
che corrisponde all’idea di identità. Avere un’identità, infatti,
significa poter stabilire dei legami, dei passaggi, tra "dentro" e "fuori", tra
"individuale" e "collettivo", tra "medesimo" e "altro".
In questo spazio-tempo fatto di
passaggi evolutivi avviene il lavoro di ricerca dell’identità (Russo, 2009, 37)
che è un work in progress, un’operazione che non finisce mai (Schön, 2010, 62):
la nostra vita psichica è soggetta a continue revisioni dovute a cambiamenti
esterni e interni, che non sempre riusciamo a fronteggiare, possono indurci
all’isolamento e al ripiegamento su noi stessi e all’angosciosa sensazione che
tutto crolli come un castello di carte (vedi Marchiori, 2006).
Sappiamo che le immagini cinematografiche possono fare
una sorprendente magia, cioè "dare corpo" metaforicamente ad aspetti della
realtà e della fantasia, processi psichici e modalità di funzionamento della
mente, che il linguaggio ordinario non riesce a esprimere con la stessa
immediatezza. In questo film (con la sceneggiatura è di Paul Laverty, nata da un’idea
dello stesso Cantona) Ken Loach fa ancora
di più: dà al mondo interno e alle dinamiche relazionali del protagonista, il
postino Erich Bishop, un corpo in carne ed ossa.
Si tratta del corpo
del suo omonimo Eric Cantona, mitico campione del Manchester
United, che nel film interpreta se stesso e la sua riscossa individuale:
formidabile goleador ma di pessimo carattere, ci rimise la carriera, ma non il
carisma.
Loach tratta temi
classici della storia del cinema, recipienti
adatti a lasciarsi riempire di antichi e nuovi contenuti, come l’amico
immaginario, il doppio, il gioco di squadra, l’amore, l’amicizia e la
solitudine e riesce a mettere a fuoco alcuni passaggi fondamentali
dell’evoluzione di Eric alla ricerca della propria identità.
Noi possiamo riconoscere questi
passaggi come universali poiché il regista li evoca con una leggerezza
"consistente" toccando corde interiori comuni a tutti noi con
delicatezza, rispetto, ironia e totale assenza di retorica: una leggerezza
"pesante" e "pensosa" direbbe Italo Calvino (1988).
La frase d’incipit che introduce il
film "tutto cominciò con un bel passaggio di Eric Cantona" (It all begin
with a beautifull pass from Eric Cantona) ha
anch’essa una funzione ponte tra parole e immagini. E’una "metafora viva"
(Ricoeur, 1975), che permette "un passaggio" creativo dal campo di calcio ad
altre dimensioni della nostra vita con gli altri, dove determinante per la
riuscita del gioco non è il goal, ma la fiducia nell’altro che determina la
traiettoria vincente.
Eric Bishop è un uomo infelice,
dall’aspetto trascurato, che vive un’esistenza congelata dai rimorsi, dalla
vergogna, dalle vicissitudini quotidiane, dalla passività. Sta scontando la sua
pena interiore per aver abbandonato, senza aver capito perché, la giovane
moglie Lily, rimpianta come grande amore perduto, con la figlia neonata.
Quest’ultima, cresciuta, gli ha dato una nipotina da pochi mesi, lui mantiene
due figliastri adolescenti che sono nei guai, e di tutti tenta maldestramente
di prendersi cura.
I colleghi amici, tifosi di calcio,
fanno di tutto per aiutarlo.
Ma il momento cruciale che dà una
svolta alla storia e alla vita di Eric, è l’incontro con l’immagine che si
reifica di Cantona, che da quel momento rimane al suo fianco, sciorinando
pillole di autoironica saggezza, facendogli da testimone, interlocutore,
allenatore, psicoterapeuta, evidenziando anche gli aspetti conflittuali
necessari in una relazione profonda.
Loach è un regista che proviene dal
teatro, ed il film sembra suddiviso in "atti", "passaggi" dal ritmo scandito
perfettamente. Io ne ho individuati principalmente tre (naturalmente con il mio
sguardo), che potrebbero intitolarsi come alcune battute del film "sono
fottuto", "il generatore di possibilità", "ci sono più scelte di quante
crediamo".
Ma ri-vediamo insieme alcuni "passaggi"
del film.
PRIMO ATTO: SONO FOTTUTO
Eric guida per una strada
trafficata, disorientato, come se il proprio "navigatore" interno fosse fuori
uso. Ha appena rivisto Lily e non è riuscito ad affrontarla. All’impatto
inevitabille dell’incidente fa seguito l’oscuramento dello schermo.
Il buio del campo visivo potrebbe
rinviare a quello della mente del protagonista, che sopravvive senza danni
fisici, ma è "fottuto", come il rottame della sua auto.
Lo vediamo solo, seduto sul suo
letto, rivolgersi all’immagine di Cantona, il cui sguardo punta oltre a quello
del postino, che non ha risposta alla domanda che si pone tra sé "quando è
stata l’ultima volta che sei stato felice Eric?".
Ripensiamo alla scena in cui Eric
partecipa con gli amici a quel surreale incontro di gruppo di auto-aiuto: il
regista inquadra il "terapeuta" di spalle a uno specchio, dove si riflette
unicamente l’espressione spaesata di Eric nello sforzo di pensare a qualcuno
che lo ami e a guardarsi attraverso i suoi occhi. E’ tutt’altro che facile. In
quello specchio Eric non riesce a vedersi.
Gli occhi che guardano se stessi
allo specchio possono essere ciechi: è fondamentale la presenza dell’altro che
non è al di là o dentro lo specchio, ma ci fa da specchio. E’ solo negli occhi
dell’altro che si può vedere se stessi.
Poi viene richiesto di scegliere
qualcuno che si stima e si vuole emulare ed Eric nomina Cantona.
Vediamo in una scena successiova
Eric rivolgersi al poster di Cantona: questa volta è in piedi e lo guarda negli
occhi, cercando di assumerne la postura fiera mentre gli pone una serie di
domande che questa volta hanno una risposta. E questa risposta è una domanda
speculare "E tu?" formulata da un Cantona che "prende corpo" nella penombra
alle sue spalle e subito "gli passa la palla".
Ecco "il passaggio" che
segna una svolta alla vita del postino: l’immagine è pronta a parlare se
sollecitata in modo adeguato (Russo, 2009).
SECONDO ATTO: IL GENERATORE DI POSSIBILITA’
Ma chi è Cantona?
Loach è un regista acutamente
attento alla consistenza "umana" dei suoi personaggi appropriatamente
inseriti nel loro contesto socioculturale. Quest’amico immaginario rappresenta
non solo "l’altra parte" del protagonista (Io Ideale), ma anche
l’Altro (la madre, il padre, chi si prende cura di noi) attraverso il cui
sguardo e la cui narrazione nasce, si sviluppa e si mantiene l’equilibrio di
quel sentimento di sé che è l’identità che ciascuno di noi forma e costruisce
nel corso della propria vita psichica e sociale (Russo, 2009, 17).
Nello svolgersi della storia si
comprende come l’assenza di uno sguardo paterno benevolo, di una funzione
supportiva adeguata, in un passaggio cruciale dell’esistenza di Eric ne faccia
vacillare l’immagine già precaria di sé e lo porti all’incapacità di fare
scelte in cui riconoscersi. Infatti è un adolescente, spensierato ballerino,
quando si trova a diventare padre a sua volta, deludendo le aspettative del
proprio padre, che gli rimanda un’immagine di sé come un fallito, lo sfida con
violenza, inducendo una reazione di spaesamento, di panico, di dissociazione
(lo specchio che parla come quello della fiaba di Biancaneve è mortificante,
induce rabbia e vendicatività).
Un padre che "gli si siede sopra per
sbaglio", che non solo non lo vede, non lo riconosce, ma lo fa sentire uno
"spazio vuoto", qualcuno che non c’è (Kilborne, 2002)
Esiste un indissolubile legame tra
adolescente e ambiente di appartenenza, perciò diventa cruciale il ruolo
patogeno delle carenze, degli eccessi e dell’incoerenza nelle relazioni
primarie (Ruggiero, 2010, 220). E’ necessario per l’adolescente un ambiente che
gli fornisca le necessarie possibilità di riconoscimento e d’identificazione. E
questa necessità permane in tutte le fasi dell’esistenza, soprattutto nei
passaggi critici (infanzia-adolescenza-età-adulta-vecchiaia)
Ora che è diventato adulto il gruppo
di amici sostituisce le relazioni primarie, è "l’ambiente" che gli fornisce
quel "generatore di possibilità" che è essere visti con gli occhi di qualcuno
che ci ama.
Questa è la condizione necessaria
per compiere il passaggio successivo, identificarsi con qualcuno che si stima e
si può emulare.
Cantona diventa per Eric Bishop uno
"specchio fidato" che gli consente di riflettere un’immagine di sé che gli
corrisponde, dai contorni sempre più nitidi e vivi, che culmina nella scena in
cui Cantona insegna a Bishop a dire: No!.
Nell’incontro-confronto con Cantona,
il miglior rappresentante del gruppo di amici, Eric riesce a riflettere su se
stesso, a diventare consapevole dei propri limiti e delle proprie possibilità,
a riprendere contatto con quello che c’è in lui di più autentico e finalmente
poter "esprimere se stesso".
Raccontando a Cantona la sua storia
Eric può riconnettere frammenti traumatici della sua vita passata per dotarli
di coerenza e continuità, per trasformarli da "incidenti" della vita, (cadute,
goal subiti, falli) in "passaggi", che gli consentono il recupero di capacità
credute perdute, il riemergere di desideri e il rimettersi in gioco con Lily e
i suoi figli.
TERZO ATTO: CI SONO PIU’ SCELTE DI QUANTE CREDIAMO
Eric a questo punto può concedersi
un’altra possibilità.
La scena del ballo è illuminante in
questo senso: inizialmente sono i due Eric che ballano, poi Eric con Lily
adolescenti si trasformano in quelli che sono oggi.
Come ha scritto Freud (1907, 379):
"Passato, presente, futuro, come infilati al filo del desiderio che li
attraversa".
Cantona dice a Eric: ci sono molte
più scelte di quante crediamo. Ovvio!
Ma le cose ovvie viste con occhi
diversi o ascoltate con una disposizione diversa assumono significati
inaspettati, è lo sguardo, il modo in cui si ascolta, quello che cambia. Così
questa frase agisce come un fascio di luce proiettato sulle potenzialità finora
inespresse e sul futuro, un faro che indica a Eric la possibilità di
intraprendere percorsi alternativi a quelli che lo incatenavano in una
situazione non trasformativa (de Simone, 2010, 70).
Cantona è l’amico che ascolta
disinteressato, riconosce desideri e bisogni, ospita dentro di sé l’immagine
dell’altro e ne potenzia l’esistenza, tanto che la sua faccia si moltiplica
nella messa in scena dell’"operazione Cantona: esprimi te stesso".
Il sentimento di solitudine può
cambiare di qualità ed essere "addomesticato", diventare slancio di vita,
quando la sfiducia e l’angoscia di fronte ad un destino che sembra senza
speranza, possono essere superate in favore di legami di fiducia, e un diverso
destino può cominciare (Quinodoz, 1991, 245).
Eric si può alla fine togliere la
maschera dello sconfitto per mostrare che c’è qualcuno dietro, vivo, vitale e
reale. Un volto sorridente che può permettersi di riflettersi negli occhi delle
persone che lo vedono e lo riconoscono, e a loro volta sono viste e
riconosciute da lui.
Questa rinascita implica
necessariamente "dei passaggi" e richiede la presenza dell’altro che
gioca con te (in riferimento al gioco di Winnicott, 1971).
Bishop chiede a Cantona: "Qual
è stato il tuo momento più felice? Un goal?"
E lui risponde: "No un
passaggio: devi fidarti dei tuoi compagni di squadra in ogni caso".
Godere di un bel passaggio, per permettere ad un altro di fare goal
riconoscendone le capacità vuol dire assumere una funzione paterna che consente
di passare il testimone, non solo la palla, permettendo al figlio di diventare
adulto e riconoscere se stesso (vedi anche recensione di Jones De Luca della
sezione cinema del sito SPIWEB).
Ed è di passaggi anche "segreti", come mette bene in luce il
titolo di un recente libro di Bolognini "Passaggi Segreti" (2008) che
sono fatti i percorsi di evoluzione personale, come quelli psicoanalitici. In
effetti, lo svolgersi della storia si può interpretare anche come la metafora
dello sviluppo di un percorso psicoanalitico, inteso come esperienza condivisa
di costruzione e ricostruzione della propria storia, d’integrazione di parti di
sé in conflitto fra loro, che permette di far emergere e incanalare
creativamente affetti inibiti, di trasformare il non pensabile in pensabile,
attraverso l’emergere di immagini che possono essere verbalizzate. Tutto ciò
trova un senso alla condizione che tale discorso avvenga alla presenza di
un’altra persona.
Le immagini e la storia del film di
Loach consentono di entrare in sequenza con gli altri saperi (Baricco, 2006),
di mostrare come l’essenza delle cose non sia il punto d’arrivo (il goal) ma la
traiettoria, la creazione di "passaggi" anche là dove sembrava non potessero
essercene, che permettono di incontrare un senso nel fare esperienza e nella
possibilità di cambiamento.
Bibliografia
Baricco A. (2006). I Barbari. Saggio Sulla mutazione.
Feltrinelli, Milano.
Bolognini S. (2008). Passaggi segreti. Teoria e tecnica della
realzione interpsichica. Boringhieri, Torino.
Calvino I. (1988). Lezioni americane. Mondadori, Milano.
De Simone G. (2010). Sulla fase
postanalitica. Proposta: rendere inconscio il conscio? XV Congresso Nazionale
SPI, Atti, 69-72.
Freud S. (1907). Il poeta e la
fantasia. O.S.F. 5.
Kilborne B. (2002). Persone che scompaiono. Borla, Roma,
2005.
Marchiori E. (2006). Io: chi?
Riflessioni sull’identità attraverso il cinema. In (a cura di M. De Mari, E.
Marchiori, L. Pavan) La mente altrove.
Cinema e sofferenza mentale. Franco Angeli, Milano.
Quinodoz J.M. (1991). La solitudine addomesticata. Borla,
Roma, 2009.
Ricoeur P. (1975). La metafora viva. Jaka Book, Milano.
Ruggiero I. (2010). Comunicazione
inconscia e lavoro di controtransfert: riflessioni su una consultazione con
un’adolescente. XV Congresso Nazionale SPI, Atti,
217-222.
Russo L. (2009). Destini delle identità. Borla, Roma.
Schön A. (2010). La doppia vita di
Veronica. In (a cura di C. Borgogna, A. Cusin) L’inquietante enigma che ci abita. Transmedia, Gorizia, 61-65.
Winnicott D.W. (1971). Gioco e realtà. Armando, Roma, 1974.
Ottobre 2010