E’ solo un attacco di panico
Ken Loach, GB,I,F,B, 2009
Commento di Jones De Luca
{youtube}n8LB3g7sQQU{/youtube}
Dopo molti anni, un uomo (Steve Evests) racconta alla moglie quello che gli era successo quando l’aveva abbandonata con una bambina appena nata: – mi sentivo in cima al soffitto e da lì mi guardavo giù –
– E’ solo un attacco di panico – gli dice lei, ed aggiunge: -è una cosa molto comune, succede a tanti.-
Lui risponde: – ma io non lo sapevo – .
Vale la pena di vedere questo film anche solo per l’ipotesi che propone sull’eziologia di un attacco di panico.
E’ un film delicato, ma anche gustoso ed emozionante, con un ritmo sostenuto, la sua visione premia gli spettatori.
L’ipotesi è che l’attacco di panico sia "un padre" che infila due dita nel collo chiedendo conto della delusione inferta dal figlio alle proprie aspettative, (quando i nostri pazienti ci raccontano gli attacchi di panico, questo padre non appare: l’attacco di panico è muto per definizione).
E’ un padre che mette in dubbio tutto, ma sopratutto il futuro. Le sue dita entrano nella carne come un trapano, mentre le sue parole penetrano nella mente con altrettanta violenza. Il figlio, che a sua volta è appena diventato padre, non ha via d’uscita.
Non può essere altro da quello che vede riflesso negli occhi di suo padre. Può solo identificarsi con l’immagine di sé che gli viene proposta:è un incapace.
Da lì poi, la responsabilità di avere una giovane moglie che si fida di lui, diventa insostenibile. Teme i propri sentimenti davanti a lei che allatta, l’attacco di panico distrugge il futuro e confina in una vita vissuta a metà.
La cura proposta dal film passa attraverso il raccontarsi e la consapevolezza, ma non solo:vediamo infatti che questo non permetterà di affrontare diversamente le nuove situazioni.
Il nodo, insieme al racconto, è la possibilità di vedersi riflesso in occhi diversi, di potersi cioè sentire visto in un altro modo.
Il nuovo "amico" paterno, declinato attraverso più figure più o meno mitiche, ovvero il personal trainer della sua nuova possibilità di vita (spassosissima e lieve l’interpretazione di Eric Cantona, grande ex giocatore di calcio e tra i produttori del film), ha una capacità rara.
Ce la descrive nella sua risposta ad una domanda del protagonista:
– Qual’è stato il tuo momento più felice? un goal ?
– No, un passaggio.-
La capacità del campione di godere per un bel passaggio, per la riuscita di un altro cui ha passato la palla per fare goal, descrive lo snodarsi di una funzione paterna che, oltre l’Edipo, permette nel figlio il formarsi l’identità di un uomo adulto che non abbia troppa paura.
Ho pensato ai giovani pazienti che ci vengono portati quando sono paralizzati davanti al pallone che devono calciare per portare avanti la partita della loro vita:è importante che il pallone sia lì, passato al momento giusto, come se loro stessi l’avessero creato.
Parafrasando Winnicott, non gli chiederemo se l’hanno creato loro o se qualcuno gliel’ha fatto trovare lì nel momento in cui ne avevano bisogno per tirare in porta, il problema è che ci sia qualcuno presente che può avere il suo momento felice per aver fatto un buon passaggio, piuttosto che per il proprio goal.
Buona visione.