Cultura e Società

Il giovane favoloso

23/10/14

Dati sul film: regia di Mario Martone, Italia, 137′

Trailer: 

Genere: biografico, drammatico

Trama

“Il giovane favoloso”, di Mario Martone, in Concorso alla 71esima Mostra del Cinema di Venezia, è da qualche giorno in sala con incassi al botteghino inaspettati.

Racconta, si sa, del grande poeta Leopardi in tre capitoli, scanditi dai suoi versi più sublimi: l’infanzia e l’adolescenza a Recanati, di ‘studio matto e disperatissimo’; l’incontro con l’intellettuale liberale Pietro Giordani, che per primo riconosce il suo talento e la fuga a Firenze con l’amico Antonio Ranieri (Michele Riondino), letterato e patriota; il periodo trascorso a Napoli, con il colera e l’eruzione del Vesuvio, dove morirà a soli trentanove anni.

Andare o non andare a vedere il film?

Martone e la moglie Ippolita di Majo hanno scritto una sceneggiatura (già pubblicata da Mondadori) erudita, ben equilibrata, lineare, frutto di un lungo lavoro di studio su tutti gli scritti del poeta, cogliendo ‘il disagio di sentirsi scomodi nell’esistenza’, come ha dichiarato il regista. Hanno preferito non indugiare sulla natura della relazione con Ranieri, da cui Leopardi era dipendente anche fisicamente, né sull’innamoramento, mai ricambiato, nei confronti di quella Fanny di cui Ranieri era amante, né approfondito il suo lato patriottico. Ma, come ha scritto Corrado Augias (la Repubblica, 21 ottobre), ‘Leopardi è un universum, difficile abbracciarlo tutto’.

Emerge il ritratto di un uomo geniale, prigioniero in contenitori troppo stretti per lui: la famiglia, il corpo deformato dal morbo di Pott, così debole ‘da non riuscire a sviluppare una malattia mortale’, e un ‘Italia ‘che era ed è ancora un paese tagliato su misura per vecchi, conformisti e mediocri’, come ha scritto Curzio Maltese su la Repubblica (2/9/2914).

L’intelligenza, la cultura, la sensibilità, l’animo appassionato e la disperazione di Giacomo Leopardi, sia come uomo sia come poeta e filosofo, sono resi mirabilmente dalla recitazione intensa, eppure mai forzata di Elio Germano, che ne incarna lo spirito ma, anche, in modo sorprendente, il corpo. Nei suoi occhi la luce del desiderio e della curiosità è sempre accesa, la sua voce interpreta le poesie senza mai declamarle, proprio se riuscisse a cogliere il momento in cui il poeta andava creandole. Incredibile che non abbia ricevuto la Coppa Volpi.

La versione di uno psicoanalista

Martone delinea con grande efficacia il rapporto tra Giacomo e il padre Monaldo (Massimo Popolizio), severo ed estremamente reazionario, che lo ama e lo stima per le sue doti, ma lo tiene legato crudelmente a sé. A Leopardi non rimane che la fuga, in cui si trascina la sua fame d’amore e il desiderio per una madre che non fosse, come la sua, di ghiaccio. Con una bella intuizione, il regista attribuisce le sembianze austere e anaffettive della madre alla rappresentazione di quella Natura che ‘tanto inganna i figli suoi’.

A Venezia, tra i film italiani (e non solo) quello di Martone è stato senza dubbio il film più luminoso, struggente, stimolante.

Richiama l’attenzione sulla necessità di mettere in salvo quanto abbiamo di prezioso della nostra cultura, e della nostra esistenza, in questi tempi di ‘mutazione’ come direbbe, sulla scia di quanto sostenuto da Italo Calvino, Alessandro Baricco: ‘Nella grande corrente, mettere in salvo ciò che ci è caro. È un gesto difficile perché non significa, mai, metterlo in salvo dalla mutazione, ma, sempre, nella mutazione. Perché ciò che si salverà non sarà mai quel che abbiamo tenuto al riparo dai tempi, ma ciò che abbiamo lasciato mutare, perché ridiventasse se stesso in un tempo nuovo’.

È un film che, in quest’ottica, fa rivivere e ridiventare Leopardi se stesso, attraverso uno sguardo attuale e pieno d’amore, che coinvolge lo spettatore, gli riaccende ricordi di pomeriggi a studiare versi a memoria, con gioia o con rabbia, lo invoglia a rileggerli o leggerli.  

Lo dimostrano le numerose lettere pubblicate su la Repubblica in questi giorni, scritte da molti lettori che ripensano a sé stessi e riflettono su loro vissuti, ispirati dalla visione del film.

Da far vedere ai ragazzi nelle scuole, da accompagnarci figli e nipoti: è una grande lezione sulla poesia, su come e da dove possono nascere versi sublimi. E mostra che, per fare arte, il talento si deve accompagnare all’apprendimento e alla costanza.

Ottobre 2014 

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