Autore: Elisabetta Marchiori
Titolo: Il cittadino illustre (Ciudadano Ilustre)
Dati sul film: regia di Mariano Cohn e Gastón Duprat, Argentina, 2016, 118’
Trailer:
Genere: drammatico
El Ciudadado Ilustre, in Concorso alla 73esima Mostra del Cinema di Venezia, apprezzato da pubblico e critica, è stato scelto come rappresentante dell’Argentina per l’Oscar al miglior film straniero 2017.
Oscar Martínez, vincitore (incontrastato) della Coppa Volpi come miglior attore, interpreta il ruolo del protagonista, Daniele Mantovani, uno scrittore vincitore del Premio Nobel della Letteratura (che rimanda a quello mai assegnato a Louis Borges).
La storia (o il racconto della storia, rimane il dubbio e non voglio “spoilerare”) si apre con la cerimonia di consegna del Premio Nobel, che lo onora ma, nello stesso tempo – come afferma nel suo discorso – lo definisce lo scrittore più “comodo” del momento, gli conferisce la “canonizzazione finale come artista” e, in sintesi, dichiara conclusa la sua evoluzione creativa (è questo che teme Bob Dylan?). L’atteggiamento di Daniel è ambivalente: sembra disprezzare il premio e chi glielo conferisce, tanto da dichiarare, di fronte ai Monarchi, che riconosce solo l’autorità della Reginetta di bellezza che gli consegna il premio, ma non sembra disdegnarne le conseguenze in termini di fama e denaro (sempre Bob Dylan?).
Tant’è che lo vedremo in una bella casa, qualche anno dopo, annoiato e cupo, sistemare con la segretaria personale la sua agenda fitta d’impegni, rifiutando con presunzione inviti, premi e onorificenze significativi, per accettare, invece, con atteggiamento di sfida, la cittadinanza onoraria da parte del suo piccolo paese di origine, abbandonato molti anni addietro per trasferirsi in Europa.
Il film segue lo scrittore nel suo improbabile viaggio per raggiungere la sperduta cittadina e nella sua breve permanenza laggiù, durante la quale conduce lezioni aperte alla cittadinanza, presiede alla giuria di un concorso di pittura, partecipa a feste e, inevitabilmente, incontra di nuovo persone già conosciute e ne incontra altre sconosciute, con conseguenze inaspettate.
Forse pensava che il successo, il denaro e il potere lo sollevassero dalla necessità inevitabile di sistemare i conti lasciati in sospeso, pagare i debiti che, nel frattempo, hanno accumulato interessi, valutare nuovi e inaspettati investimenti. Si sbagliava.
Andare o non andare a vedere il film?
È un film davvero intelligente e divertente, umano e cinico nello stesso tempo, che mette in scena non solo i paradossi socio-politico-culturali dell’Argentina ma, anche, quella “spaccatura antropologica” – come la definisce Francesco Boille (internazionale.it) – che é già un problema politico diffuso nel mondo industrializzato, dagli Stati Uniti fino alla nostra Italia: da una parte, la diffusione e lo sviluppo di una cultura progressista, di apertura e di tolleranza, dall’altra la tendenza regressiva, di chiusura e di paura. Un film in un certo senso anche profetico: il Regno Unito era ancora in Europa e il presidente degli Stati Uniti era ancora Obama quando è stato girato.
La sceneggiatura inanella battute e dialoghi straordinariamente acuti, con sequenze dal ritmo incalzante, divertenti e dal sapore amaro, mantenendosi in equilibrio perfetto tra commedia e dramma, tra ironia e cinismo, forte dell’idea che la realtà non è altro che “la migliore delle interpretazioni”.
La versione di uno psicoanalista
I vertici di lettura di questo film sono molteplici, come i sentimenti che muove e le riflessioni che propone a vari livelli.
Colpisce la realizzazione del ritratto, che a tratti diventa caricatura, dell'”intellettuale” narcisista e autoreferenziale, che dispensa la sua “cultura” – che non può nominare “perché se ne riempie la bocca chi non ne ha” – con opinioni-sentenze completamente prive di sensibilità empatica, che si percepiscono come sterili provocazioni. È, infatti, Daniel, che afferma di apprezzare la semplicità e la comprensibilità della scrittura, il primo a cadere nella trappola dell’incapacità a farsi comprendere. È ancora Daniel, che si presenta come il cittadino onorario “al di sopra” dei “poveri di spirito” suoi vecchi compaesani a cadere nelle trappole di giochi di seduzione perversi vecchi come il mondo.
Ri-immergendosi in una realtà che per anni aveva ri-visto e raccontato da lontano “come se fosse al cinema”, si ritrova nel “luogo delle origini” a lungo negate, impreparato ad affrontarle senza “come se”.
A fare da collante alla narrazione mi pare si possa individuare l’affetto tra i più difficili da riconoscere e integrare per ognuno di noi: l’invidia.
E qui si apre un immenso capitolo della psicoanalisi, per cui mi fermo.
Novembre 2016