Cultura e Società

I nostri ragazzi

15/10/14

Dati sul film: regia di Ivano De Matteo, Italia, 2014, 92’

Trailer: 

Genere: drammatico

Trama

Presentato alla Mostra del Cinema di Venezia nella sezione Orizzonti, “I nostri ragazzi” è il terzo lungometraggio di Ivano De Matteo, dopo “La bella gente” e “Gli equilibristi”.
Racconta la storia di due fratelli, l’uno chirurgo pediatrico e l’altro avvocato, molto diversi come carattere e visione della vita che, un po’ per tradizione, un po’ per abitudine, mal sopportata dalle rispettive mogli, si incontrano a cena ogni mese in un ristorante di alto livello. Il pediatra ha un figlio, Michele, e l’avvocato una figlia, Benedetta, nata da un precedente matrimonio. Una notte una telecamera di sicurezza riprende l’aggressione a calci e pugni da parte di un ragazzo e di una ragazza (di cui non si riconoscono i volti) nei confronti di una barbona. Le immagini vengono messe in onda da “Chi l’ha visto?” e in breve tempo le due coppie acquisiscono la certezza che gli autori dell’atto delittuoso sono i propri figli. Che fare?
Il film è liberamente tratto dal libro di Herman Koch “La cena”, best seller del 2009. A differenza del film, il libro è ambientato in Olanda, uno dei due padri è in predicato per diventare il nuovo Primo Ministro e i figli delle due coppie sono entrambi maschi. Inoltre, la storia si svolge nell’arco di una sola serata, durante una cena, e i capitoli sono scanditi dalle portate, che vanno dall’aperitivo alla mancia finale.
Rimane inalterata, sia per il film che per il libro, la crudezza della situazione che mette a confronto sentimenti, visioni della vita e responsabilità civile, in un incastro che non ha facili soluzioni.

Andare o non andare a vedere il film?

“I nostri ragazzi” è quello che si dice un film basato sull’attualità, sugli adolescenti di oggi, “Gli sdraiati” che descrive Michele Serra in un suo recente libro di successo, e sui genitori di oggi, padri e madri (queste ultime, purtroppo, assenti nella disanima di Serra) e proprio per questo non può non coinvolgere chi si trovi dentro a queste dinamiche. È anche un film sulla società in cui viviamo, che ci spinge a vivere in una dimensione schizoide, quasi scissa dalla realtà, in cui gli affetti trovano sempre meno spazio per poter essere espressi e verbalizzati.
La sequenza che apre il film ci immerge nell’ordinaria follia quotidiana che trova spazio nella cronaca o nei Tg specializzati in disgrazie, che ci portano in casa la violenza, intesa ormai come modalità relazionale inevitabile, una prassi quotidiana che desta un orrore sempre più provvisorio, che rischia di lasciare tracce ogni volta sempre meno consistenti e durature nella coscienza di chi guarda.
Il plot porta poi questa premessa iniziale all’interno della vita quotidiana di due famiglie che viene destabilizzata nei propri riti da un evento traumatico, che spinge tutti i protagonisti in una spirale sempre più drammatica e porta inevitabilmente lo spettatore a chiedersi “che cosa farei io in questa situazione ?”. I due fratelli della buona borghesia romana, completamente presi dal raggiungimento del successo sociale e del benessere economico sono interpretati dai bravissimi Alessandro Gassman e Luigi Lo Cascio mentre alle mogli, tendenzialmente passive e frustrate, per motivi diversi, Barbara Bobulova e Giovanna Mezzogiorno danno una rappresentazione intensamente nevrotica. I figli adolescenti sono interpretati da Jacopo Olmo Antinori, che molti ricorderanno nella parte di Lorenzo in “Io e te” di Bernardo Bertolucci, e Rosabell Laurenti Sellers, giovane ma con una carriera già ricca alle spalle, perfetti nel ruolo di “nativi digitali”, ragazzi solo “apparentemente sani” che vivono una vita distaccata e autistica, senza incontrarsi con i genitori nemmeno durante i pasti (che consumano da soli nelle loro stanze) o che si muovono all’interno di relazioni sociali superficiali e vuote affettivamente.

La versione di uno psicoanalista

Sui problemi fisiologici dell’adolescenza, periodo “di passaggio”, delicato e complesso e sulle possibili complicazioni psico-patologiche che in quel periodo, per mille motivi, possono insorgere, i contributi in campo psicoanalitico non mancano. Anche il cinema, come il già citato film di Bertolucci, si è molto spesso occupato di rappresentare tale complessità. L’attualità di questo film sta, a mio avviso, nel metterci a contatto con la devianza, qualcosa con cui è ancora più difficile fare i conti e alla quale anche gli psicoanalisti, successivamente al noto articolo di Freud sull’origine della criminalità “per senso di colpa” hanno rivolto meno attenzione. In un suo articolo del 1986 Arnaldo Novelletto scriveva:“Certi adolescenti possono essere indotti a compiere delitti da una fantasia inconscia d’interrompere con quegli atti, in pochi istanti, un blocco dello sviluppo psichico che essi percepiscono in loro stessi …così da poter raggiungere istantaneamente un’ideale punto di arrivo”. Più recentemente Cristina Saottini afferma: “Nell’agito del reato si dispiega una inconsapevole ricerca di verità psichica, a fronte di un rischio di vita falso sé”.
La parte più sconvolgente del film riguarda però la reazione dei genitori, costretti a fare i conti con i propri valori, a salvaguardare il proprio narcisismo e a trovare delle soluzioni che non rispecchino la perversione del mondo che li circonda. Compito non facile.

Settembre 2014

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