Nanni Moretti, 2011, I-F, 104 min.
I processi e le cose
Commento di Giuseppe Riefolo
“E’ per il vento…! ‘sto maledetto vento
caldo che fa diventare matta la gente!”
(Almodovar, 2006)
1. Sparigliare…
Sin dalle prime scene mi si è imposta una mia immagine, lontana. L’immagine era portata dal cardinale che si arrabbiava con l’altro cardinale mentre giocavano a scopone: “non sai sparigliare… bisogna saper sparigliare!” Io ricordavo una scena del funerale di Wojtyla: il vento che si infila, inatteso, fra le fila ordinate dei cardinali e ne scompiglia la presenza. Dalla TV, quel giorno, vedevo cardinali che cercavano di difendere una serietà inevitabile, ma li scoprivi bambini che si difendevano goffamente da un disturbatore inatteso e impertinente. Ricordo il vangelo, aperto sulla bara, le pagine sbattute dal vento in una cornice che imponeva restassero immobili. Durante il film quell’immagine è tornata e ora i cardinali facevano quel gioco che ci chiedono tanto i figli quando sono molto piccoli: il gioco a rimanere seri e in silenzio, guardandosi in faccia e perde chi ride prima.
Ho pensato che le storie del film sono due, nettamente separate e che si incrociano solo alla fine: quella di Melville e quella del Conclave dove ciascuno ribalta e scambia con l’altro le posizioni: chi deve star dentro va fuori e chi è fuori andrà nel Conclave dove nessuno può entrare. Io, ovviamente, ho visto un mio film: non la storia di un uomo potente che conosce finalmente la propria fragilità, ma qualcosa che viene prima: la festa eccitante dei processi che si riattivano laddove tutto è bloccato. Prima della fuga di Melville, viene la vita del Conclave sparigliata da un vento inatteso ed urgente. E’ una sensazione che ho avuto chiara il giorno dopo mentre Daria mi parla di un sogno. “una mia vecchia amica che vive lontano mi parla delle “produzioni cinesi”. Io le dico che quei prodotti non sono di buona qualità, ma lei mi presenta una mappa che piano, piano si anima e diventa un cartone animato”. Associa che c’è una crisi nella sua azienda e, nell’ultima riunione, un collega si propone di organizzare un blog per pubblicizzarla. Lei ha stima di questo collega, ma quando ha visto il blog ne ha avuto una delusione: una cosa statica… avrebbe voluto fosse più viva!. Ha pensato ad un episodio di tempo fa quando, grazie all’amica del sogno, riuscì ad incontrare proprio il capo della sua azienda. Accadeva molti anni fa e lei era giovane e bella. Dopo alcuni giorni ricevette un invito a cena dal capo dell’azienda presso un famoso albergo. Lei ebbe molti dubbi sull’invito e sul perché lui la invitasse… ne era confusa, ma quando andò all’appuntamento scoprì che era uno scherzo dell’amica che si prendeva gioco di lei. Commenta che allora poteva permettersi di essere confusa perché era giovane ed era bella ed aveva tanti progetti che poi non si sarebbero realizzati… Le suggerisco che forse il sogno tocca qualcosa di vero che sta finalmente accadendo: ieri in seduta abbiamo commentato che forse lei si chiedeva perché io le proponessi di mia iniziativa una seduta di recupero che è quella di oggi: giustamente si chiede per quale motivo il mondo dovrebbe interessarsi a lei!. Ieri, poi, le avevo confessato di aver sentito che lei mi stringeva la mano con maggiore forza del solito e poi mi aveva parlato del figlio adolescente che la cerca e l’abbraccia forte volendo sentire il suo corpo mettendola in imbarazzo… Mentre le dicevo questo pensavo al film e alla mappa del sogno che poi si anima e diventa un cartone animato portando con sé turbamenti vivi che cercano sintonie prima che risposte. Daria parlava di qualcosa che non si era mai potuto realizzare e il mio invito “insolito” e la sua intensa stretta di mano ci introducevano finalmente nella stanza chiusa, mai conosciuta prima, dove nascono i sogni e dove si decide il tuo destino: “Fa che non sia io… ti prego Signore: non io!” Per uno psicoanalista sarebbe facile vederci la “scena primaria” e tutto il conflitto edipico connesso, ma sarebbe uno psicoanalista come la Margherita Buy, ovvero che può aggressivamente risolvere e bloccare tutto con semplici formulette: “deficit di accudimento!” Forse questa è la psicoanalisi che piace alla gente, ma gli analisti sanno che la psicoanalisi è all’esatto opposto, nei processi di continua trasformazione per i quali le formulette definitorie ne sono solo la sospensione.
…le cose del Conclave.
Il film ti porta in un luogo in cui non è ammesso il pensiero e noi, attraverso i pazienti e anche attraverso la nostra vita, conosciamo la grave sofferenza di sperimentare la condizione in cui non sei autorizzato a pensare e persino a immaginare. Questo lo annuncia il noioso cronista televisivo e la sua dichiarazione ha una sonorità irreale e meccanica: “la fumata nera è molto lunga perché i cardinali devono bruciare non solo le schede ma anche tutti i loro appunti perché nulla deve trapelare all’esterno”. Il film a questo punto parte e ha il senso di un sogno a cui è permesso di rompere il blocco del Conclave perché hai il diritto di sentire che lì dentro si parla di te. Dietro la porta ci sono cardinali bambini o qualcuno che ti inganna. Fuori c’è la risonanza del Gabbiano di Cecov e tante persone che cantano: Cambia, todo cambia, la tua canzone.
Registi e pazienti hanno il diritto di pensare che la cosa importante sia riuscire a sapere finalmente quello che accade nel Conclave, ovvero quello che soprattutto i primi analisti chiamavano “rimosso” e a cui, in verità attribuivano particolare importanza. Da tempo, invece gli analisti danno sempre meno importanza al rimosso, ma al blocco dei processi di trasformazione della mente. Quindi, piano piano, emerge che la cosa importante è che si riattivi un processo bloccato alle porte del Conclave, perché l’importanza dell’analisi è il vento che entra dove non dovrebbe a sparigliare un ordine che non ammette l’immaginazione e il gioco: “La ricostruzione della scena infantile o della Storia, non sono il fulcro del mio interesse. (…) Centrale è la concettualizzazione rispetto ai tre luoghi possibili di patologia: carenza dell’apparato per generare immagini, carenza dell’apparato per contenerle e gestirle ed eccesso di stimoli…” (Ferro, 2006, 403). E’ successo con Riccardo che ora sta finendo l’analisi ed io e lui pensiamo sia stata una esperienza intensa, per entrambi. Tempo fa, all’inizio dell’analisi, per mesi è stato in piena crisi ed io ero disperato perché sentivo che ogni mio tentativo di aiutarlo con interpretazioni risultava assolutamente inutile. Devo aver sentito con lui la condizione di quelli che sono fuori dal Conclave ad attendere, impotenti, una fumata bianca che tardava a venire. Lui mi rassicurava: “non ho bisogno di farmaci, dottore! Alla fine vengo quattro volte a settimana qui e ce ne possiamo occupare tranquillamente io e lei!”. Non c’erano sogni in quei mesi e non c’era neanche sonno perché a qualunque ora lui rincorreva gli oggetti che nel delirio e nelle allucinazioni lo tenevano vivo. Finché un sogno ci permise non tanto di sapere che cosa e il perché di quello che stava accadendo (era fin troppo ovvio ed evidente…), ma di entrare nel Conclave, perché lì era il luogo dove si aveva diritto ad esserci, perché lì riprende un processo sospeso: “ho sognato di essere in un ascensore che andava molto in alto ed ero solo. Quando si apre la porta non c’è l’uscita, ma il muro. Mi sento perso, ma per fortuna mi accorgo che l’uscita è alle mie spalle”. Alle tue spalle c’è un altro che ti restituisce il senso di qualcosa di vivo che si muove dove tutto era bloccato. Allora attraversi la porta e in quel luogo trovi la vergogna e l’imbarazzo per quello che vedi, finché non senti che con quello che c’è nel Conclave puoi giocare e allora i cardinali attaccati dal vento forte, cominciano a sorridere imbarazzati mentre si tengono i paramenti che svolazzano e le berrette che possono volar via. Fuori dal Conclave non ci sono le cose perse di cui hai bisogno e che recuperi nel delirio, ma oggetti che si sintonizzano col tuo bisogno perché rimanga vivo e insaturo. Per questo troverai la ragazzina che ti presterà il cellulare perché tu possa ricontattare il Conclave e nel teatro: “si sente bene? Vuole un po’ d’acqua?”
2. Cercare sintonie…
Perché si dovrebbe entrare nel Conclave? Ovvio: perché la mente ne ha diritto, ma non si tratta di conoscerne i segreti, ma di contattare una zona dove si sparigliano le certezze date. All’esterno scommettono sui segreti: “Lei cardinale Gregori era dato 3 a 1 dai bookmakers!” ; “ed io? Qual’era la mia quotazione?”: “ma lo vuole capire che lei non era neanche classificato?”. Forse non è un caso che il film decida di non seguire i segreti del Conclave, ma l’inatteso e l‘unheimlich (Freud, 1919), portato dal vento che spariglia i paramenti. L’incontro con l’analista Buy, ovviamente non può essere di alcun aiuto per Melville perché lui non sta cercando di conoscere la natura del suo trauma infantile (la sorella? il teatro?: a volerli trovare i traumi sono infiniti e tutti plausibili…), ma è scappato dal Conclave per lasciare finalmente un luogo dove non puoi partecipare alla tua vita e non puoi sentire le emozioni degli altri (un analista inglese, ha chiamato questo processo “oggettivazione”, diverso e più violento dell’identificazione proiettiva...). Il film intuisce che i processi di cura si compiono per sintonie e le sintonie, quando l’analisi funziona, si trovano nella stanza di analisi quando questa è permeabile a fenomeni vitali (ma la stanza di analisi non e giusto diventi mai il mondo esterno…): nella metropolitana ascolti quelli che stanno perdendo una storia d’amore e ti si guarda con sospetto quando stai finalmente provando ad alta voce il discorso che da tempo (molto prima del Conclave e che il Conclave semplicemente ha reso urgente…) vuoi dire al mondo. Finalmente il Conclave si trasforma in un teatro dove altri recitano qualcosa che tu conosci da tanto tempo e che finalmente puoi recitare a voce alta: non è il trauma abreagito, ma una “disposizione potenziale” (Damasio, 1994; 1999) che ha trovato luogo e personaggi dove poter essere finalmente realizzata. Mi hanno molto toccato le note di “Todo Cambia” che a quel punto, a partire proprio dalla stanza che Melville avrebbe dovuto occupare, pervade ogni luogo, sia dentro che fuori il Conclave e fa muovere i corpi al suo ritmo. E’ un bel momento, commovente, del film: Todo Cambia diventa “la musica di ciò che accade” (Heaney, 1979) ed è una musica inattesa a te stesso e al Conclave dove ora i cardinali danzano e giocano e la musica ora lega il dentro e il fuori. E’ bello che Melville venga rintracciato dalla propria musica prima che dal portavoce vaticano il quale, nonostante il gran dispiegamento di risorse e le contorte soluzioni diplomatiche, dovrà ammettere il proprio fallimento. Melville però ha diritto di ritornare al Conclave, perché la sua non era una fuga, ma un particolare percorso perché il Conclave diventasse anche il teatro di Cecov. Il film intuisce che, a differenza dell’analista Buy, gli analisti devono andare ad incontrare il paziente laddove il paziente si sente vivo (non era già successo ne La stanza del figlio?) e tutti verranno da te in modo solenne non per scovarti mentre fuggi per riportarti indietro, ma per applaudirti riconoscendoti vivo mentre occupi il tuo teatro che per te significa che puoi incidere nella vita degli altri i quali hanno rinunciato al luogo del Conclave per venire da te. I percorsi dell’analisi sono, alla fine, percorsi convergenti: fuori dal Conclave e verso il teatro, dove il pubblico vede la tua passione viva e non la fumata bianca che tutti, passivamente, attendevano con ansia.
…e le tue voci.
Nel Conclave viene invitato un altro psicoanalista: “abbiamo chiamato lei, dott. Brezzi, perché è il più bravo!”. Non credo si tratti di uno psicoanalista, ma della voce di Melville, che infinite volte ha accettato le regole del Conclave, ma che ora ha un nuovo suono: “era indubbio che la signora L. parlava, con genuina vitalità nella sua voce…” (Ogden 2007, 131). E’ speculare al balbettare muto di Melville: Brezzi è una voce che si impone e che viveva solo fuori dal Conclave e non avrebbe mai dovuto essere ammessa al Conclave. Il nuovo suono della voce di Melville ora non deve subire i toni, ma può sintonizzarsi con la fragilità del luogo e diventa la voce dei cardinali che possono presentarsi ansiosi o insonni, bisognosi di ansiolitici ed è Brezzi che ne spiega l’uso e dialoga con loro: “spesso penso che l’esito di un’analisi possa essere valutato in rapporto al livello raggiunto dall’analizzando (e dall’analista) nell’intrattenere (…) conversazioni più ricche, più interessanti e più vivaci con se stesso…” (Ogden 2001, 13). La nuova voce di Melville, una volta entrata (per svista, sicuramente, ma non c’è altra via che il lapsus in questi casi: “qualcuno ha avuto l’accortezza di verificare che il professore sia un credente?”) da un lato introduce gioco ed inatteso entusiasmo nella rigida organizzazione del Conclave, mentre dall’altro lato viene essa stessa modificata dalla nuova situazione: “questo è l’elenco dei pazienti da avvisare… non ho mai saltato una seduta con i miei pazienti… dica che sono ammalato… quanto durerà – secondo lei – la mia malattia?” Mentre l’analista Buy continuerà la propria professione e la propria vita nonostante l’incontro con Melville, Brezzi sarà profondamente trasformato dall’esperienza dell’incontro con Melville che conoscerà nella sua essenza, nonostante la distanza, anzi, l’assenza: “Peccato: era un caso così interessante, ma io oramai conosco chi è, e quindi non posso occuparmene!”. E’ importante che, quando Melville ritorna al Conclave, Brezzi scompaia nettamente dalla scena: Brezzi è la nuova voce di Melville e, giustamente, non ha senso che stia lì quando Melville ritorna, soprattutto perché ora Melville possiede e parla la sua nuova voce: “non so se sono capace dell’incarico per cui sono stato scelto… non posso accettare!”
“E ciò che è cambiato ieri
di nuovo cambierà domani”
(Julio Numhauser, Todo Cambia,)
26 aprile 2011