Autore: Angelo Moroni
Titolo: Gretel e Hansel
Dati sul film: regia Osgood Perkins , USA, 2020, 87’
Genere: fantasy, horror
Il nuovo film di Osgood Perkins è un esperimento, ben riuscito, di pura avanguardia horror, che ammicca al filone folk horror contemporaneo, e ai suoi principali esponenti, tra cui certamente Ari Aster (“Midsommar”, 2019) e soprattutto Robert Eggers (“The Witch: A New England Folktale”, 2015). La sceneggiatura rimane in sé completamente fedele, nei suoi tratti essenziali, alla fiaba dei Fratelli Grimm. Tuttavia, Perkins ne dilata a suo piacimento, secondo una cifra squisitamente onirica e visionaria, tempistiche, atmosfere e “morale”. Già il titolo, che capovolge la classica sequenza onomastica che dà il nome alla storia, rende bene l’idea di come il regista desideri imprimere un suo personalissimo marchio di fabbrica alla nota storia dei due fratelli abbandonati nel bosco. Lo fa innestando sul genere fantasy-horror una forte matrice espressionistica che ricorda a tratti Herzog, ma anche Von Trier, mediante movimenti di macchina che utilizza copiosamente – il grandangolo e la sfocatura insistita dello sfondo – per accentuare l’immersione nel fiabesco. Il taglio espressionistico è, inoltre, sottolineato dalla cupa, ma suggestiva, fotografia di Galo Olivares, in particolare quando illumina le appuntite architetture nordiche di una casa della strega che sembra disegnata da Alvar Aalto. Si tratta di una fotografia che è anche materica, tutta basata sul contrasto tra i colori accesi e la prorompente presenza di una natura viscerale, boschiva, muschiosa, dalla quale non si può facilmente sfuggire (un rimando al Covid-19 e alla sua inafferrabile, quanto ineludibile presenza?). Una sorta di Natura Matrigna, quindi, che non ha pietà per nessuno, una specie di Foresta Nera materna che accompagna il percorso iniziatico dell’adolescente Gretel. Troviamo una ragazza totalmente presa dal contatto con il suo potere femminile in statu nascendi, mediato dal sovrannaturale e dall’onnipotenza maligna rappresentati dalla Strega.
Ci accorgiamo ben presto che la lettura della fiaba dei Grimm di Perkins è tutta centrata sulla figura di Gretel e che il fratello, Hansel, non è altro che una sua parte scissa, dalla quale la ragazza deve differenziarsi per sconfiggere la vecchia strega-madre e la sua invidia per la giovinezza incipiente della figlia. Il film permette dunque, in un’ottica psicoanalitica, di riflettere sull’identità femminile e sulla complessità dell’Edipo femminile. L’opera infatti risulta asciutta, disegnata in quadri fotografici definiti e geometrici, ben lontana dal ricercare qualsiasi tipo di effetto spavento o un eventuale gusto splatter dello spettatore. L’attenzione è, al contrario, tutta rivolta alla relazione tra la strega (Alice Krige legnosa, atarissica e ben calata nella sua parte) e Gretel (Sophia Lillis, già ottima co-protagonista di “It” di Andy Muschietti) qui protagonista assoluta, alle prese con il “lato oscuro” di se stessa, ereditato dalla madre che l’ha abbandonata, ma dal cui potere distruttivo si sente comunque sedotta. “Chi è il nemico?”, sembra chiederci sottilmente Perkins. “Forse più vicino a noi stessi di quanto pensiamo”, potremmo rispondere dopo aver visto questo film, perché “il nemico” si trova dentro noi stessi, anche se, talvolta, cerchiamo di nasconderci questa fastidiosa verità, magari assaggiando, per consolarci, funghi allucinogeni di vario tipo, come quelli che Gretel trova nel bosco, accorgendosi dei loro effetti collaterali solo successivamente.
Agosto 2020