Cultura e Società

“Diamanti” di F. Ozpetek. Recensione di M. Montemurro

7/03/25
"Diamanti" di F. Ozpetek. Recensione di M. Montemurro 1

Parole chiave: donna, femminile, relazioni

Autrice: Mirella Montemurro

Titolo del film: “Diamanti”

Dati sul film: regista Ferzan Ozpetek; 2024; 135 minuti; Italia

Genere: drammatico, commedia

“Diamanti”, l’ultima opera di Ferzan Özpetek, si presenta come un affresco corale che esplora e celebra l’universo femminile in tutta la sua complessità. Dopo una pausa cinematografica interrotta solo da “Nuovo Olimpo” su Netflix, il regista italo-turco torna nelle sale con un’opera che incarna l’essenza della sua poetica, intrecciando magistralmente realtà e dimensione onirica.

La narrazione si muove su due piani temporali: nel presente, un regista – alter ego di Özpetek – riunisce le attrici con cui ha collaborato per un progetto dedicato alle donne. La sua contemplazione del femminile lo trasporta, insieme alle sue muse, nella Roma degli anni Settanta, all’interno di una sartoria teatrale e cinematografica dove il ritmo delle macchine da cucire scandisce il fluire del tempo.

Nel cuore del racconto si erge la Sartoria Canova, guidata da due sorelle agli antipodi: l’autoritaria Alberta, cui Luisa Ranieri dona una performance di straordinaria intensità, e la vulnerabile Gabriella, interpretata con altrettanta profondità da Jasmine Trinca. Intorno a loro gravita un ensemble di diciotto attrici, ciascuna depositaria di una storia che si intesse nella trama principale come un prezioso ricamo.

La sartoria diventa uno spazio simbolico, un grembo accogliente dove convergono solitudini, passioni e dolori profondi. È un limbo tra realtà e rappresentazione, dove le vite delle attrici si fondono con i loro personaggi, e dove la competizione femminile si trasforma gradualmente in una sorellanza intima e autentica.

Nel film si affrontano temi importanti, quali il lutto per un figlio, la violenza contro le donne, il dramma di un adolescente ritirato sociale. “Diamanti”, parla anche di maternità: inespressa, interrotta, affrontata con difficoltà. Il lungometraggio celebra anche la potenza dei legami relazionali. Quanto il gruppo possa diventare un “gruppo di lavoro” (Bion, 1961) e quanto la sartoria funga da struttura per il gruppo stesso. Bion sosteneva che «L’organizzazione e la struttura sono strumenti del gruppo di lavoro. Sono il prodotto della cooperazione tra i membri del gruppo e, una volta consolidate nel gruppo, hanno l’effetto di esigere uno sforzo di cooperazione ancora maggiore da parte dei singoli» (1961).

L’estetica del film è meticolosamente curata, con un uso simbolico del colore – particolarmente del rosso – che dialoga con le profondità dell’inconscio e amplifica la portata emotiva della narrazione.

“Diamanti” si rivela una potente riflessione sulla forza delle donne, dove ogni personaggio, come una sfaccettatura di un prezioso diamante, riflette un aspetto dell’esperienza umana. Nell’insieme, queste figure compongono un mosaico universale delle sfide che ogni donna può incontrare nel suo cammino.

Il film si conclude con una riflessione meta-cinematografica di rara bellezza: “Ciò che rimane quando tutto il resto sparisce. Questa è l’eternità. Questo è il cinema”. Un’affermazione che sottolinea la capacità dell’arte cinematografica di cristallizzare l’essenza dell’esperienza umana, preservandola come un diamante per le generazioni future.

BIBLIOGRAFIA

Bion, W.R., (1961). Esperienze nei gruppi. Armando Editore, Roma, 1997.

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