
Parole chiave: femminilità, donne, rabbia, creatività
Autrice: Elisabetta Berardi
Titolo del film: “DIAMANTI”
Dati sul film: regista e co-scrittore Ferzan Ozpetek, 2024, durata 135’, Italia.
Genere: drammatico, commedia, sentimentale
“Certo che mi contraddico!
Sono vasto,
contengo moltitudini”
Walt Whitman
Spumeggiante, barocco, eccessivo eppure vero, il 15esimo film del regista Turco naturalizzato italiano, Ferzan Ozpetek riunisce 18 attrici e porta per mano lo spettatore in un brulichio di vita e di storie in cui ci si perde, si rimane storditi e ci si commuove. Il presente è rappresentato intorno ad un tavolo romano dove si può parlare e confrontarsi con il regista stesso, ma giusto un attimo, prima di tuffarsi nuovamente in quella dimensione fitta di colori, immagini, battute, emozioni collocata in un altro tempo, dove si svolge gran parte della scena. Un Ozpetek al quadrato, questa l’impressione che rimane addosso uscendo dal cinema, lieve e al contempo profondo, caotico e al contempo preciso, un eccesso di storie e di immagini a creare lo sfondo ma qualcuna che trafigge e rimane addosso.
Siamo alla fine degli anni ’70, Alberta (Ranieri) e Gabriella Canova (Trinca) gestiscono una grande sartoria specializzata in costumi per il cinema e per il teatro. All’interno la capo sarta Nina con un figlio ritirato (hikikomori), la ricamatrice Eleonora, vedova con una nipote ribelle, Beatrice, che diverrà portatrice di un estro creativo entrato nell’edificio clandestinamente, poi la tingitrice Carlotta, la modista Paolina con il piccolo figlio che si nasconde nella stanza dei bottoni, la sarta Nicoletta picchiata dal marito, la sarta Fausta single ironica e predatrice, la stagista Giuseppina e infine una sublime Mara Venier come umanissima ex ballerina e cuoca del palazzo, che si muove in sordina ma è onnipresente con parole puntuali di conforto e pasti per tutti.
Ad un certo punto la costumista premio oscar Bianca Vega (Scalera) commissiona alla sartoria Canova i costumi per un importante film, le lavoratrici si buttano a capofitto nell’impresa, fra urla, nevrosi, risate; avendo cura di non fare mai incontrare la regina del teatro Alida con la nuova promessa del cinema Sofia. Vicino ad Alberta e Gabriella c’è la zia Olga, sorella di una madre scomparsa troppo presto (Elena Sofia Ricci). La rabbia serpeggia all’interno della sartoria, emerge continuamente nei toni, nei modi, nella gerarchia che vede come capa la Ranieri, dietro di lei la Scalera e dietro ancora Accorsi, regista e committente. I tre sono tenuti insieme da una corrente fallica che, avvicinandosi alla matrice, Accorsi, si sgretola fino a diventare macchiettistica.
Il film ritrae una femminilità fatta della molteplicità che sta in tutti e che comprende anche attributi generalmente considerati maschili: la durezza, lo stile di leadership, il mostrarsi tutti d’un pezzo, lo strenuo tentativo di tenere sottochiave le emozioni, tutte salvo la rabbia. Un fenomeno al crocevia fra l’imitare il peggio di certi stereotipi legati al maschile, il dare voce a quanto soffocato in una cultura di origine patriarcale e infine la messa in campo di una sana aggressività volta all’affermazione di sé.
Una rabbia che fa venire in mente la Ferrante dell’ “amica geniale”:
“le donne combattevano tra loro più degli uomini, si prendevano per i capelli, si facevano male. Far male era una malattia..” (pp.33)
Tuttavia nel film di Ozpetek per ognuno di questi personaggi rocciosi arriva un momento di cedimento, in cui l’umanità erompe e allora si scopre che violenza e prevaricazione non riescono a vincere, ma permangono e alla fine prevalgono integrazione e complicità.
Penso al dialogo fra sorelle: la piccola, depressa e impigliata in un lutto, che dichiara di aver vissuto per la grande, tirannica e apparentemente gelida, di essere rimasta dal padre, in passato, per lei. E’ così che la tiranna può sciogliersi, nel lasciarsi toccare da una sorella piccola apparentemente più fragile, che parla con il cuore in mano e le dichiara amore, nel lasciarsi toccare forse anche internamente da una parte di sé prima protetta da tanta rigidità. Solo allora il dialogo si può instaurare e la creatività dell’intero gruppo ripartire, grazie al contatto con aspetti depressivi non più rifuggiti.
La ragazza ospitata, nascosta di giorno e operante di notte, fa pensare ai nostri sogni, alla nostra funzione onirica, alla creatività, al Bolognini di “flussi vitali fra sé e non sé”, che parla di “gattaiole” atte a far comunicare oltre la coscienza.
La Scalena nel momento di massimo stress mostra come sotto un grande talento, ci possa essere un grande dolore e grandi mancanze che chiedono continue dimostrazioni, come a doversi conquistare costantemente un diritto all’esistenza. A nulla servono le parole incoraggianti che ricordano dei successi e dei riconoscimenti, solo la sorellina depressa riesce con le parole a raggiungere la famosa costumista, solo lei che non rifugge il dolore ma lo conosce molto bene.
Una specie di matriosca, l’intera opera: leggibile come la messa in scena di un unico mondo interno con tutte le sue sfumature o, al polo opposto, come un microcosmo metafora di una realtà sociale distopica dove le donne sono portatrici di una personalità complessa e gli uomini delle semplici comparse, dei valletti se non dei velini, quasi sempre nudi.
Impressionante infine, oltre lo svolazzare delle stoffe, la maestosa immagine ondeggiante dell’abito prodotto, la parte inferiore composta da una serie di cunicoli che fanno pensare ad altrettanti canali per comprendere e/o esprimere un femminile dalle tante sfaccettature, che nella realizzazione dell’abito possono urlare visivamente come le sarte urlavano durante la produzione e trionfare, perché la scena si presta ad essere letta come un trionfo, con tutto quanto ci può essere di non ancora risolto in tale posizione vendicativa, beffarda, ma anche ironica. E’ così che il “vaginodromo” (modo in cui Geppii Cucciari battezza ironicamente l’insieme di donne), fra urla, schiamazzi, spinte emancipative, identificazioni con l’aggressore riesce a creare infine bellezza e maestosità.
Riferimenti bibliografici
Bolognini S., 2019, “Flussi vitali fra sé e non sé. L’interpsichico”, Milano, Raffaello Cortina Ediitore.
Ferrante E., 2011, “L’amica geniale”, Roma, Edizioni e/o.