Cultura e Società

“Diabolik – Ginko all’attacco!” di M. e A. Manetti. Recensione di A. Meneghini

28/11/22
"Diabolik – Ginko all’attacco!" di M. e A. Manetti. Recensione di A. Meneghini

Parole chiave: Doppio; Sosia; Negativo; Raffigurabilità

Autore: Alessandra Meneghini

Titolo: “Diabolik – Ginko all’attacco!”

Regia: Marco Manetti, Antonio Manetti; Italia, 2022, 111’.

Genere: giallo, drammatico

Non si sa mai, alla fine, se si è veramente capitani; un demone, un enigmatico ‘doppio’ può giunger sempre a rimettere tutto in discussione; una figura che sembra oscillare tra la malafede e l’ansia, o, all’opposto, chiusa in un suo impenetrabile istinto, è proiettata come un’ombra dall’io che si vorrebbe limpido e controllato” (Conrad, 1909).

Nato dalla celeberrima penna delle sorelle Angela e Luciana Giussani, Diabolik è il protagonista della seconda pellicola della trilogia a lui dedicata dai registi Antonio e Marco Manetti. Dopo un inizio in pieno stile “bondiano” il film, che prende le fila dall’omonimo albo delle sorelle milanesi, sviluppa il tema dell’ossessione dell’ispettore Ginko per la cattura del ladro mascherato, puntualmente vanificata dalle sue imprevedibili mosse. La volontà dei registi è stata quella di riprodurre fedelmente lo spirito del fumetto, per cui ogni pellicola della trilogia è indipendente dalle altre, proprio come le storie del personaggio.

I colpi di scena si susseguono, ad opera dei due protagonisti affiancati dalle loro compagne, un’affascinante e felina Eva Kant e una palpitante e generosa Altea di Vallenberg. L’ossessione personale di Ginko è rappresentata in uno spazio-tempo sospeso, irreale, grazie all’ambientazione nell’immaginaria cittadina di Clerville, che può solo esistere in un tempo che non è più, intessuto di nostalgici rimandi agli anni Sessanta fatti di auto d’epoca, di fumo nei locali e di cabine telefoniche. Vi è un continuo susseguirsi di stati e di identità: le scene girate alla luce del giorno si alternano a quelle che penetrano negli inaspettati nascondigli sotterranei dove Diabolik custodisce il suo bottino e studia i colpi a venire, analogamente alle maschere del ladro che si avvicendano al suo vero volto, in un incessante andirivieni tra realtà e finzione, dove i contorni tra ciò che è vero e ciò che non lo è si fanno sempre più sfumati.

La cattura di Diabolik è più importante di tutto, afferma Ginko, “anche più dell’amore”. Nei rocamboleschi quanto vani inseguimenti in cui è perennemente impegnato, è ben rappresentata la tensione dell’onesto l’ispettore verso l’altro, il doppio inconfessabile destinato a non essere mai raggiunto, in un incalzare di travestimenti, inseguimenti e depistaggi.

L’altro come depositario delle parti inassumibili dal Sé, da tenere ad una distanza tale da poter essere continuamente ritrovato e perduto, mai definitivamente. Una specie di “gemello immaginario” (Bion, 1970), di “sosia” (Freud, 1919), volto a scotomizzare la separatezza e, in ultima analisi, la morte. Non a caso, in una scena del film in cui tutto fa presagire che Ginko sia finalmente arrivato a catturare l’eterno nemico, l’espressione sul volto dell’ispettore lascia intuire una velata delusione.

La pellicola ben rappresenta questo gioco di specchi che ha per protagonisti indiscussi Diabolik/Ginko, con la controparte femminile formata da Eva/Altea. Associativamente parlando, il pensiero non può non andare alle preziose intuizioni di un’altra coppia, questa volta psicoanalitica, costituita da Cesar e Sara Botella con il loro lavoro “in doppio”. Secondo gli Autori (Botella & Bottella 2001) è grazie al “pensiero regrediente” dell’analista in seduta che diventa possibile intercettare zone dello psichismo del paziente rimaste prive di rappresentazione, attingendo al denso magma relativo all’inconscio non rimosso e al negativo del trauma. È tramite la regressione ad uno stato della mente quasi allucinatorio simile al sogno che i grumi di sensorialità rimasti muti possono imboccare la via della raffigurabilità, per poter essere poi dipanati in forme psichicamente rappresentabili e quindi simbolizzabili.

Seguendo questo fil rouge, a proposito di raffigurabilità, e quindi di cinema e di fumetti, potremmo fantasticare che la pellicola dei fratelli Manetti rappresenti in après coup il lavoro “in doppio” sulla relazione di “doppio” dei registi stessi (Marco/Antonio Manetti), e prima ancora, delle autrici del fumetto (Angela/Luciana Giussani), a ricordarci quanto il tema del “sosia” costituisca un aspetto del “Perturbante” (Freud, ibidem) che richiede alla psiche di essere continuamente lavorato.

Forse, la trilogia cinematografica su Diabolik dei Manetti Bros è il loro sogno proprio su questo.

BIBLIOGRAFIA

Bion W. R. (1970). “Il gemello immaginario”. In: Analisi degli schizofrenici e metodo psicoanalitico. Armando, Roma (2002).

Botella C. e Bottella S. (2001). La raffigurabilità psichica. Borla, Roma (2004).

Freud S. (1919). Il Perturbante. O.S.F. 9.

Conrad J. (1909). Il compagno segreto. Biblioteca Universale Rizzoli, Milano (1975).

Novembre 2022

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