Cultura e Società

“Dadapolis” di C. Luglio e F. Gargano. Recensione di P. Cotrufo 

2/09/24
“Dadapolis” di C. Luglio e F. Gargano

Parole chiave: confini, psicoanalisi dell’arte, memoria

Autore: Paolo Cotrufo

Titolo: “Dadapolis”

Dati sul film: di Carlo Luglio e Fabio Gargano, Italia, 2024, 82 min. Venezia 2024 – Giornate degli Autori

Genere: Documentario

Il film di Carlo Luglio e Fabio Gargano si fa apprezzare per le immagini, per la musica, per le riprese in esterno su una città, Napoli, che non si nasconde, che non si “pitta” per ingannare chi la guarda e chi ci vive. Il film Dadapolis vuol dirci la verità. La Sibilla Cumana, costretta alla verità, trova la sua rappresentazione iconica con la “Sirena Ciaciona” che nel corso del film lo street artist Trallalà realizza su un vecchio peschereccio. La paradossalità di una sirena grassa può essere la chiave di lettura di questo bel film.

Ispirato al testo caleidoscopico di Fabrizia Ramondino e Andreas Friedrich Müller (1989) nel film documentario ascoltiamo il dialogo tra molti artisti legati alla città di Napoli, non tutti riconoscibili fino ai titoli di coda, che affrontano temi complessi attraverso forme di linguaggio differenti. Sono artisti molto diversi tra loro, per età, per forma d’arte, per provenienza culturale; voci intellettuali dialogano con la saggezza popolare, sempre alla pari. I dialoghi sono intervallati da performance musicali molto interessanti e godibili. I temi intorno ai quali procede la ricerca di Luglio e Gargano sono il passato e il futuro, la vita e la morte, il significato del tempo, la verità e la menzogna, le partenze e gli arrivi. Fuoco, terra, acqua e aria, capitoli del film, richiamano il passato della creazione, della nascita, dell’origine di sé e della città, e volgono lo sguardo al futuro remoto in una continua tensione tra opposti che confliggono e convivono, caratteristica di Napoli.

I dialoghi spontanei, senza testo scritto, tra le persone (non si tratta di personaggi) rendono il lavoro di montaggio del film davvero notevole, e questi dialoghi avvengono sotto la guida di un analista, Guelfo Margherita, che induce il gruppo a riflettere sulla riconoscibilità di alcuni valori, ad esempio la libertà, nella produzione artistica. L’artista è davvero libero come crede? Quanto il mercato limita la libertà, inclusa quella artistica? Il prodotto cinematografico “Dadapolis” stesso ci dà la sua risposta: pur essendo molto ben confezionato il film non è pensato per il grande pubblico.

Su temi cogenti ascoltiamo pensieri acuti e taglienti alternarsi con luoghi comuni portati avanti senza infingimenti che testimoniano l’appartenenza ad un luogo, appunto, comune. L’attendibilità di questi pensieri risiede nella tradizione e nella condivisione popolare facendone delle verità. Le tradizioni, il vecchio e il nuovo, la voce della città, l’alternanza tra l’uso del dialetto (sempre sottotitolato) e l’italiano colto sono accompagnati da una fotografia splendida. L’ambientazione costante è il limine, la linea di confine tra terra a mare, tra chiusura ed apertura, tra asfissia e pieno respiro. Banchine del porto, spiagge, terrazze sul mare… protagonista sono le rive del golfo di Napoli, lo sfondo del Vesuvio nascosto da enormi gru del porto, fabbriche abbandonate, vecchi scafi arrugginiti, barche da pesca dismesse, grotte di tufo e grattacieli del centro direzionale.

Le rive del golfo di Napoli sono il confine permeabile ad ogni sorta di passaggio, dalla Sirena Partenope, disperata per non aver ammaliato Ulisse, fino alle portaerei americane. Ma non tutti gli arrivi sembrano graditi allo stesso modo. Stona la critica alla popolarità turistica che sta vivendo Napoli negli ultimi anni e all’effetto che l’occasione sta dando ai napoletani. Pizze, “panzarotti” e “paste cresciute”, alcune voci nel film sembrano critiche rispetto alla risposta commerciale, inautentica, che la città dà a questi arrivi. Ma sarà vero? Io credo che Napoli dia a chi arriva ciò che egli cerca. Accoglie con curiosità chi arriva proprio perché è diverso, è l’interesse per la diversità che nutre lo spirito napoletano, soprattutto quello artistico. Napoli assorbe e resiste, accoglie e trasmette il suo spirito. Napoli resiste e rinasce, “’o napulitan si fa sicc ma nun more”.

Guelfo Margherita, alla fine del film, definisce Napoli una città porosa e fangosa, che accoglie e trattiene, piena di futuro colmo di passato mai completamente passato, è questo il fondo di quella spinta creativa che rende speciale la nostra città.

Ramondino F., Müller A.F. (1989) “Dadapolis. Napoli al caleidoscopio”, Torino, Einaudi.

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