Cultura e Società

“Crimes of the future” di D. Cronenbeg. Recensione di A. Moroni

26/08/22
"Crimes of the future" di D. Cronenbeg. Recensione di A. Moroni

Autore: Angelo Moroni

Titolo: “Crimes of the future”

Dati sul film: regia di David Cronenbeg, Canada, Gran Bretagna, Grecia, 2022, 107’

Genere: Fantasy, Horror, Drammatico

Film iperbolico, visionario, eccessivo e che fa dell’eccesso la sua cifra fondamentale, “Crimes of the Future”, ultima opera di David Cronenberg si presta a molteplici sguardi, in particolare se visto da una prospettiva psicoanalitica. Il film mette infatti al centro della sua poetica il corpo e le sue possibili trasformazioni operate dal progresso incalzante della tecnologia. Ambientato in un cupo futuro distopico che richiama atmosfere alla “Blade Runner” (Ridley Scott, 1982), il film parla di due famosi artisti performativi,Saul Tenser (Viggo Mortensen) e la sua partner Caprice (Léa Seydoux), che si esibiscono in pubblico effettuando operazioni chirurgiche senza anestesia, dal momento che il dolore, sia fisico che psichico, è stato da tempo per loro abolito. La loro ricerca artistica, sorta di neo-avanguardia robotica, si spinge fino a modificare gli organi interni o a generarne di nuovi dalle funzioni sconosciute. In questo fosco, catacombale futuro, che ci appare come segnato da precedenti, imprecisati eventi apocalittici, l’idea stessa di corpo è totalmente mutata, essendo ormai l’organismo considerato un sistema psichico, una massa indifferenzita ma “pensante”, in quanto organismo, non in quanto “mente”. 

Un giorno, durante un allestimento dal vivo in una galleria di body art, Saul viene avvicinato da un uomo il cui figlio è stato ucciso dalla madre, il quale chiede una performance particolare, utilizzando il corpo del bambino. 

Presentato in Concorso a Cannes 2022, “Crimes of the future” è un’opera difficile e insieme polisemica. Difficile anche perché certamente indigesta e respingente allo sguardo di uno spettatore non abituato alle sperimentazioni filmiche di Cronenberg. 

Al di là della violenza visiva di molte inquadrature, è un film poliedrico che indaga sul futuro dell’uomo, sull’idea di un suo possibile tramonto, di una sua estinzione ad opera del potere onnipervasivo di una tecnologia che ci sta portando verso un nuovo oggetto-sè fusionale che potremmo definire “corpo-mente-macchina”,in cui non si distingue più, cioè, l’umano dal tecnologico-macchinico. L’uomo cioè sta creando un futuro abitato da residui di una umanità ibrida, cangiante, geneticamente modifica e/o clonata a piacimento. Si tratta del tema dell’onnipotenza distruttiva dell’uomo, del suo desiderio di generare continui sconfinamenti tra differenziato e differenziato, tra Sè e Altro. Un’attitudine che, in questo film, si ammanta di intenti creativi e di ricerca estetica estrema che riguarda comunque il senso dell’Essere dell’uomo, non ancora reperibile nemmeno in un universo futuribile, iper-pecnologico, che non si presta ad alcun tipo di idealizzazione. “Tutti percepivano che il corpo fosse vuoto. Volevamo averne la conferma, per riempirlo di significato”, dice a un certo punto Caprice, voce narrante fuoricampo. Un “corpo vuoto” che è il vessillo, sembra dirci Cronenberg, di una umanità che si sta svuotando dei suoi fondamentali distintivi, trascinata nel vortice di continui slittamenti e liquefazioni del soggetto, sia individuale che collettivo. Un Sé somato-psichico dislocato, transeunte, sempre più in fuga dalle sue origini, antopologiche, filosofiche, storiche. 

ll film riprende temi cari al regista, quali il ritorno all’organico/allucinatorio, come ne “Il pasto nudo” (1992), ma anche riferimenti più strettamente psicoanalitici, come quelli trattati in “A Dangerous Method” (2011), opera dedicata a Sigmund Freud, dove descrive la psicoanalisi come creazione rivoluzionaria di un nuovo paradigma capace di portare l’umano a un altro livello di consapevolezza, in cui è possibile pensare a una realtà psichica attraversata dal corpo. Il sintomo doveva, per Freud, passare poi dal linguaggio per trasformarsi in una nuova verità affettiva, relazionale: una vera rivoluzione del pensiero compiuta all’inizio del Novecento. In “Crimes of the future” Cronenberg ci spinge invece, in modo violento, in un futuro molto lontano dalle vicende viennesi a cavallo tra Ottocento e Novecento. Dalle origini della “peste” portata all’uomo da Freud è ora di volgere lo sguardo verso l’estinguersi graduale dell’umano. Ciò avverrà perché l’uomo del futuro eliminerà appunto ogni sintomo, ogni sofferenza, ma non il desiderio inconscio che lo muove, e tutta la sua violenza, aprendo davanti a questo desiderio praterie di libertà tanto seducenti, quanto pericolose, tossicomaniche, autodistruttive. Questo film ci mette davanti alla realizzazione di quell’“uomo senza inconscio” di cui scrive Recalcati (2010), privo di garanti metapsichici (Kaës, 2009) sia esterni che interni, destino cui l’uomo è condannato dal progresso tecnologico da lui stesso creato. Con questa chiave di lettura, troviamo echi letterari che rimandano all’archetipo di “Frankenstein” di Mary Shelley: anche quello di Saul e Caprice è un “dangerous method”, come quello di Freud o del Dottor Victor Frankenstein. Saul sta infatti vivendo una fase di creatività maniacale, incontrollabile, generativa di continui nuovi tumori, escrescenze, neoformazioni che non necessariamente diventeranno organi, con una loro normale funzionalità. 

 In “Crimes of the Future” mente e corpo diventano una cosa sola, il dualismo cartesiano è definitivamente superato, come quello freudiano Io/Es. L’unità organica interagisce con un ambiente che è, ormai, totalmente artificiale, manipolato da un uomo-macchina, vero tumore del mondo, organismo che infesta la Terra che abita.

Riferimenti bibliografici

Kaës, R., Le alleanze inconsce (2009), Borla, Roma, 2010.

Recalcati, M. (2010), L’uomo senza inconscio, Raffaello Cortina, Milano.

Shelley, M. (1818), Frankenstein, o il moderno Prometeo, Feltrinelli, Milano, 2013

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