Cultura e Società

“Companion”di D. Hancock. Recensione di A. Moroni

18/03/25
"Companion"di D. Hancock. Recensione di A. Moroni

Parole chiave: Intelligenza Artificiale, coppia, disumanizzazione

Autore: Angelo Moroni

Titolo: “Companion” (Titolo originale: “Id”)

Dati sul film: regia di Drew Hancock, USA, 2025. Produzione: Warner Bros, 97’

Genere: Horror, Commedia

“Companion” è una horror comedy che fa molto riflettere sul rapporto uomo-tecnologia, nonchè sugli effetti negativi dell’Intelligenza Artificiale e dei suoi sviluppi robotico-domotici, all’interno delle relazioni umane. Il film è l’opera prima di Drew Hancock, giovane sceneggiatore e regista statunitense, che con sottile intelligenza e ironia gira un film che risulta imprevedibile nei suoi colpi di scena, anche quando viene svelato, al termine del primo atto, il meccanismo narrativo che lo supporta. Il plot è in realtà molto semplice: all’inizio del film vediamo una coppia di trentenni, Iris e Josh, recarsi in una villa di amici su un lago isolato. Una dimora iper-tecnologica immersa in un ambiente bucolico che sembra un vero paradiso terrestre. Gli amici sono una coppia gay, con l’aggiunta di un’amica senza peli sulla lingua, che sembrerebbe fidanzata con lo stravagante proprietario di casa: un mafioso russo dai tratti narcisistici evidenti. Tutto sembra, apparentemente, rientrare nei canoni classici del cinema hollywoodiano, ma a un terzo del girato, Hancock spariglia clamorosamente le carte davanti agli occhi dello spettatore. Un’incredibile agnizione  cambia infatti completamente la linearità narrativa del film. Carnefici e vittime di questa black comedy sembrano scambiarsi i ruoli, cortocircuitando i valori etico-sentimentali cui il regista ci aveva abituati fino a quel punto della storia. E’ proprio a questo livello della narrazione filmica che l’opera introduce, nei suoi sottotesti, alcune importanti riflessioni sull’invadenza della tecnologia all’interno del rapporto di coppia. Anche per questo “Companion” appare molto interessante se guardato da un vertice psicoanalitico. Le trasformazioni attuali delle identità in soggettività digitali, l’immersione ormai quotidiana e fusionale dell’essere umano e del suo Sé in mondi virtuali, divenuti, sopratutto per gli adolescenti, delle vere e proprie nuove realtà parallele onlife, sono tutti fenomeni che la psicoanalisi studia ormai da decenni (Bollas, 2018, Marchiori & Moroni, 2024). Si tratta di un’attenzione scientifica su esperienze del Sé attuali, che la psicoanalisi non può evitare di studiare, perchè investono sempre più sia l’individuo che il gruppo, che la stessa clinica psicoanalitica. Tale attenzione appare oggi davvero particolarmente urgente, anche per tentare di descrivere la natura quasi delirante, illogica, dei movimenti politico-tecnocratici che nella nostra epoca stanno emergendo in modo preoccupante, a livello globale. Esaminando analiticamente i discorsi di Trump, ad esempio, il filosofo Jianwei Xun (2025) ha parlato recentemente di “ipnocrazia”: di una modalità cioè di esercitare il potere facendo credere reali realtà fittizie, secondo una modalità francamente allucinatoria. Il film di Hancock è molto interessante proprio perchè si concentra sulle trasformazioni disumanizzanti che l’invasione della tecnologia in ambito umano produce nei rapporti della coppia erotica. E ha inoltre il pregio di farlo in modo non concettoso, ma al contrario utilizzando la tipica modalità della horror comedy, cioè divertendo e sorprendendo con il suo black humor. Ma non è solo questo aspetto a suggerire la visione di questo film. Esso infatti è innanzitutto un film sugli aspetti disfunzionali presenti in molte relazioni di coppia in generale, soprattutto relativamente al vedere l’oggetto d’amore come oggetto parziale, oppure come possesso, spesso anche in modo predatorio. In fondo il regista ci avverte, attraverso questa sua opera prima, di quanto l’umanità rischi oggi, molto più facilmente di quanto ci immaginiamo, di vivere regressioni tribali, proprio a partire da quel primo nucleo sociale che è la coppia che si viene a creare durante la tardo-adolescenza. Hancock ci ricorda questo rischio, a partire dal concetto di “mascolinità tossica” che ci mostra un maschile sempre più immaturo e fragile: un uomo che preferisce avere accanto una donna più debole, meno intelligente, per non confrontarsi con la propria porosità identitaria. Una dinamica di controllo, di gaslighting, che spesso può portare a esplosioni di violenza primitiva, all’arma bianca, nella normale dinamica di conflitto tra i sessi. Nell’interpretare tutto questo, il notevole magnetismo della protagonista, Sophie Thatcher (Iris) contribuisce oltremodo ad imprimere un’atmosfera perturbante a tutto il film. Pregevole anche lo stile attoriale di Jack Quaid (Josh), il cui cinismo perverso si disvela gradualmente e in modo ugualmente inquietante durante il corso del minutaggio.

Riferimenti bibliografici

Bollas, C. (2018), Meaning and Melancholia. Life in the Age of Bewilderment, London, Routledge, 2018.

Freud, S. (1919), Il Perturbante, O.S.F. 9.

Marchiori, E., Moroni, A.A., (2024) Adolescenza e identità digitali. Una sfida per la psicoanalisi,  in Rivista di Psicoanalisi, 2024/3

Xun, J. (2025), Ipnocrazia. Trump, Musk e la nuova architettura della realtà, Roma, Edizioni Tlon.

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