Cultura e Società

“C’era una volta…a Hollywood” di Q. Tarantino. Commento di A. Moroni

24/09/19
"C’era una volta...a Hollywood" di Q. Tarantino. Commento di A. Moroni

Autore: Angelo Moroni

Titolo: C’era una volta…a Hollywood

Dati sul film: regia di Quentin Tarantino, 2019, USA, UK, Cina, 161’

Genere: commedia, drammatico

 

E’ un Tarantino a modo suo pieno di nostalgia, quello che incontriamo nel suo nono film, piuttosto lontano dallo stile violento e sfrenato che ha caratterizzato i suoi precedenti lavori. “C’era una volta … Hollywood” porta già nel titolo sia l’idea di un affresco storico della Hollywood del decennio ’60-’70, sia l’idea della fiaba. In tale contesto si svolge tutto il film, che pone sullo sfondo la tragedia della morte di Sharon Tate, moglie di Roman Polanski, uccisa nella sua casa di Beverly Hills da alcuni giovani seguaci di Charles Manson, l’8 agosto 1969. La tragica vicenda sembra tuttavia il pretesto per una riflessione sul cinema in generale e sui cambiamenti e i conflitti generazionali in particolare. La storia si concentra sui due protagonisti, Rick Dalton (Leonardo di Caprio),  star della televisione in declino, e Cliff Booth (Brad Pitt), sua controfigura negli anni d’oro delle serie tv western, girate a Spahn Ranch. Stuntman e autista tuttofare di Dalton, Cliff vive in una roulotte con un cane affettuoso e fedele, ma anche feroce se deve difendere il suo padrone, proprio come lui, che da anni condivide i malumori e i fallimenti dell’amico, sostenendolo in ogni occasione. La loro carriera è in declino, a causa della montante cultura hippy, e Rick e Cliff sono costretti ad accettare di recitare in Italia alcuni film in stile “spaghetti-western”.  Alcuni mesi dopo, i due fanno ritorno a Los Angeles dove avranno a che fare con i seguaci di Manson, e qui emerge l’aspetto della favola.

La visione di un film di Tarantino necessita di una sorta di preliminare epoché, di una necessaria sospensione del giudizio, poiché al regista non interessano la storia, la coerenza e la linearità del narrato, e per questo le sue pellicole possono apparire a prima vista come disarticolate e frutto di una visionarietà registica solamente autoreferenziale. Operata la necessaria epoché visiva ed esperienziale, diventa subito evidente che ciò cui mira Tarantino è una riflessione – a trecentosessanta gradi- sul potere estetico-e sociale del Cinema. In questo senso anche quest’ultimo film è definibile come una sorta di matrioska meta-cinematografica, cioè come un discorso sul Cinema, i suoi stilemi, i suoi linguaggi: emblematiche le sequenze di Sharon Tate in una sala cinematografica mentre guarda un film da lei stessa interpretato, oppure le molte immagini di film in bianco e nero che Cliff e Rick guardano in tv. Lo stesso linguaggio filmico di Tarantino rimane qui immutato, e lo vediamo nel suo soffermarsi sui lunghi dialoghi tra i protagonisti, o nell’uso ricorsivo e, solo apparentemente, superfluo dei flash-back in alcune sequenze che lo spettatore non si attenderebbe, perché non funzionali alla fluidità della fruizione della storia. Lo stesso vale per l’utilizzo della violenza, che nel finale diventa climax nel quale l’eccesso ha una funzione anch’essa semplicemente meta-cinematografica. L’aspetto inedito di questo film, e che lo rende ulteriormente prezioso, aggiungendo un tassello fondamentale alla parabola estetica di questo regista la cui maestria, il cui talento e il genio sono immutati, rimane in ogni caso la tonalità melanconica, tonalità sottolineata egregiamente dalla fotografia di Robert Richardson e da una colonna sonora che riprende i successi pop dell’epoca. Uno sguardo melanconico che riflette sul passare del tempo, sull’invecchiamento, sulla difficoltà di trovare linguaggi condivisi con le nuove generazioni, con le quali spesso ci sembra, oggi come e più di ieri, di essere divisi da muri di vera e inquietante incomunicabilità. Uno sguardo al limite del romanticismo, quello di un Tarantino, che a tutti i costi vuole dirci che, nonostante tutto, il Cinema è ancora capace di cambiare il mondo, benché il mondo e l’umanità che lo abita non siano affatto più gli stessi. “C’era una volta” quel mondo, quell’umanità, appunto, ma c’è ancora il Cinema, strumento intersoggettivo, sociale e politico, dispositivo capace di farci sognare sogni non ancora sognati, capace di tenere vivi la memoria e il pensiero.

Settembre 2019

Chi ha letto questo articolo ha anche letto…

"The Animal Kingdom"di T. Cailley. Recensione di R. Valdrè

Leggi tutto

"Baby Reindeer" di W. Tofilska e J. Bornebusch. Recensione di F. Barosi

Leggi tutto