Cultura e Società

“Belfast” di K. Branagh. Recensione di G. Mattei

26/04/22
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Parole chiave: Europa; Guerra; Area transizionale

Autore: Giorgio Mattei
Titolo: “Belfast”
Dati sul film: regia di Kenneth Branagh, Regno Unito, 2021, 97’
Genere: drammatico, biografico, storico


In “Belfast” il regista Kenneth Branagh racconta, attraverso una narrazione largamente autobiografica, l’inizio della guerra in Irlanda del Nord: il film è infatti ambientato tra il 1969 e il 1970, e ci porta all’origine dei Troubles. Con questo termine viene designato il trentennio che va dal 1968 al 1998, segnato da lotte e scontri tra protestanti e cattolici, in
particolare in Irlanda del Nord e nelle sue principali città, tra cui la capitale Belfast.
Il film adotta un punto di vista originale, forse nuovo per il pubblico italiano, in quanto non approfondisce gli scontri tra protestanti e cattolici, ma le divisioni interne agli stessi protestanti, divisi tra correnti più moderate e altre più “massimaliste” e violente. Ciò è di particolare interesse perché, come più volte è accaduto nella storia, le divisioni più accese si verificano spesso nei gruppi che combattono apparentemente per i medesimi fini. Le ragioni di ciò possono essere molteplici, ad esempio potere, denaro, controllo del territorio.
Personalmente tendo a rappresentarmi le dinamiche di gruppo di “attacco e fuga” (Bion, 1961) come un processo analogo alla fissione dell’atomo. Così, da “potenti aggregatori” (Freud, 1921), tali dinamiche possono favorire al contrario la parcellizzazione, generando sottogruppi sempre più numerosi, fino alla dissoluzione degli stessi.
Il film, che ha vinto l’Oscar alla migliore sceneggiatura originale nel 2022 (di cui è autore lo stesso Branagh) è ricco di suggestioni musicali: da Van Morrison, originario di Belfast come il regista, ai Love Affair con la celebre Everlasting Love, che inevitabilmente richiama alle orecchie la cover degli U2. Allo stesso modo, le scene dei tank che girano per le strade della capitale dell’Irlanda del Nord stritolando tutto quello che incontrano evocano il riff martellante di Zombie dei Cranberries.
La visione di questo film mi ha riportato indietro di molti anni, a quando ho visitato Belfast per la prima volta. Rimasi colpito dai muri che dividevano i quartieri protestanti e cattolici, quali, rispettivamente, Shankill e Falls. Era molto tempo prima che la “logica dei muri” tornasse a diffondersi in Occidente, pur non essendo di fatto mai tramontata. Allo stesso tempo era prima che la guerra tornasse ad essere una minaccia concreta per l’Europa.
Rileggere oggi la storia dei trent’anni di guerra irlandese porta inevitabilmente a riflettere sui venti di guerra che attualmente soffiano sull’Europa e ad attivarsi per trovare una risposta collettiva in grado di imbrigliare le potenti correnti carsiche della pulsione di morte (Fornari, 1958, 1964).
Una di queste risposte è certamente l’Europa, un progetto politico nato nel dopoguerra che necessita di essere rivitalizzato, in particolare nel fine per cui è stato concepito: mantenere, stabilmente, la pace. Sulla scia dello sgomento e del vissuto di impotenza provocati dalla recente invasione dell’Ucraina ad opera della Russia, viene lecito
domandarsi se sia realmente possibile “apprendere dall’esperienza” (Bion, 1963), e se questo non sia un concetto un po’ utopistico e, nel migliore dei casi, asintotico. Davvero la storia dell’umanità sembra essersi svolta più all’insegna della coazione a ripetere piuttosto che dell’apprendimento trasformativo e creativo su base esperienziale.
A fare da contraltare a questa visione un po’ pessimistica, credo possa essere la concezione dell’Europa come un terzo spazio, un’area transizionale (Winnicott, 1971), che certo non può essere data per scontata, ma va nutrita, in qualche modo. Forse più che come mercato comune (e per arrivare a pensarla anche come mercato comune), potremmo provare a rappresentarci l’Europa come uno spazio intermedio e potenziale che i nostri Stati possono arrivare a condividere. È una possibilità, quindi, non una certezza; ma quello della relazione è un rischio che vale la pena di correre, in particolare se l’alternativa consiste, nel migliore dei casi, nella costruzione di muri, come quelli di Belfast.

Riferimenti bibliografici
Bion W.R. (1961). Esperienze nei gruppi ed altri saggi. Roma, Armando, 1971.
Bion W.R. (1963). Apprendere dall’esperienza. Roma, Armando, 1972.
Fornari F. (1958). Thanatos e la guerra assoluta. Rivista di Psicoanalisi, 4 (3):215-221
Fornari F. (1964). La psicoanalisi della guerra. Rivista Psicoanalisi, 10 (3):209-289
Freud S. (1921). Psicologia delle masse e analisi dell’Io. O.S.F. 9. ,
Winnicott D.J. (1971). Gioco e realtà. Roma, Armando, 1974.

Aprile 2022

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