Autore: Cristiano Nichini
Titolo: “Ariaferma”
Dati sul film: regia di Leonardo di Costanzo, Italia, 2021, 117’
Genere: drammatico
Ariaferma è un film di Leonardo Di Costanzo, presentato nella sezione Fuori Concorso alla 78.Mostra del Cinema di Venezia.
La storia è ambientata in un ottocentesco carcere in dismissione. Sono rimasti da trasferire gli ultimi dodici detenuti ma, improvvisamente, arriva un ordine che blocca il passaggio. La reazione tra i prigionieri è quella di rabbia e di preoccupazione, tra i pochi agenti penitenziari rimasti serpeggia spaesamento e delusione. L’ex-direttrice del carcere individua nell’agente penitenziario Gaetano Gargiulo (Toni Servillo) l’uomo che dovrà assumere la responsabilità di gestire questa fase presentata come transitoria.
Nonostante lo stato di sospensione, è necessario ripristinare in breve tempo un minimo funzionamento della casa di reclusione, che possa garantire un’adeguata custodia e nel contempo la fornitura di cibo, la cucina ormai è in disuso. In questa nuova cornice si attivano intense dinamiche relazionali che diventano matrice e veicolo di trasformazioni interne ed esterne.
Il film si apre con un ritrovo degli agenti penitenziari attorno al fuoco dopo una battuta di caccia. Gargiulo rievoca il ricordo di quando suo padre catturò una tortora che rimase sul prato ferita. Il padre la voleva abbattere, ma lui lo implorò di portarla a casa per curarla. Dopo questo racconto un collega, tronfio del suo bottino di caccia, si rivolge a Gargiulo dicendo: «Tu sei un’anima fragile».
Sarà proprio questa “fragilità dell’anima” che consentirà l’incontro con l’umanità dolente a vario modo rappresentata da tutti i protagonisti del film.
Inizialmente i fronti contrapposti costituiti da agenti penitenziari e carcerati si fronteggiano rimarcando la loro differenza. Il nucleo del film è infatti ben rappresentato dal breve ma intenso scambio tra Don Carmine Lagioia e l’agente Gargiulo. Il boss è dietro le sbarre, guarda l’agente e afferma: «Dura stare in carcere, eh ?». Risponde Gargiulo: «Tu stai in carcere, Lagioia, io no». Don Carmine ribatte: «Ah si ? Non me ne ero accorto».
Riconoscersi nell’altro, sentirsi accomunati dallo stesso destino, può essere inizialmente troppo perturbante. «Fai un passo indietro!», esclama Gargiulo quando si sente minacciato dall’eccessiva vicinanza di don Carmine. Ma la “fragilità dell’anima” di Gargiulo costituirà quel varco che manterrà aperta la domanda di senso e di condivisione dell’esperienza.
Il clima di sospensione fa correre il pensiero a Dino Buzzati con il suo Deserto dei Tartari, ma nel film scorre la tensione di una necessaria ed ineludibile ricerca di senso che rimanda più facilmente a La ginestra di Leopardi. In quel carcere non succede nulla (“Ariaferma”, appunto), ma succede tutto.
I dialoghi sono scarni ed essenziali. È la loro potenza evocativa, che può essere senza remore collocata nella dimensione poetica, che conduce immediatamente lo spettatore nel dramma umano rappresentato. Non solo la letteratura e la poesia, ma le suggestioni portano anche a De Andrè e al carcere di Poggioreale descritto nella sua memorabile canzone Don Raffaè. L’ambiguità, il calore, la corruzione e l’umanità dei personaggi vengono descritti con stile minimalista, che tuttavia non diventa mai ermetico. Un gesto o una parola riescono a condensare con eloquenza weltanshaungen esistenziali che nessuna analisi sociologica riuscirebbe a descrivere in modo così preciso.
Un film di questo tipo correva molti rischi, soprattutto quello di esasperare la rappresentazione dei vissuti emotivi di un’esperienza dura come quella del carcere, facendolo diventare una sorta di denuncia sociale, sicuramente legittima ed opportuna. Molte recensioni e commenti infatti hanno sottolineato questo aspetto.
Lo sguardo psicoanalitico consente una lettura più ampia.
Il carcere del film è quello di Mortana, un luogo immaginario che, proprio in quanto non reale, si presta bene a rappresentare un funzionamento psichico scissionale dove gli affetti, le angosce e le paure vengono sequestrate in aree psichiche che si vorrebbero irraggiungibili, cercando di ottenere un ordine e una sicurezza che mettano al riparo da elementi pulsionali avvertiti come eccessivamente minacciosi.
Il lavoro di Di Costanzo appare pertanto come un’impresa squisitamente psicoanalitica. Narra infatti di un paziente e faticoso lavoro di integrazione e di riconoscimento di aspetti di sé tenuti inizialmente “incarcerati” e a debita distanza. “The inner cage” è il titolo internazionale del film ed è l’indizio più evidente di questa nostra tesi.
Questo è lo specifico contributo della lettura psicoanalitica. L’istituzione totale, carcere e manicomio (e poi le forme più estreme di degradazione umana come i campi di concentramento), non possono essere descritti solo come esperienza storica e sociale. Limitarsi ad una lettura di questo tipo, rischia di metterci solo illusoriamente al riparo da una loro riattualizzazione. Riconoscere in sé la possibilità che si riattivino meccanismi di disconoscimento intrapsichico scissionale, significa mantenere attiva quella “fragilità dell’anima” che ci unisce nel comune destino di essere umani.
Riferimenti Bibliografici
Buzzati D. (1940). Il deserto dei tartari. Milano, Mondadori, 2016.
Leopardi G. (1845). La ginestra. Roma, Edizioni dell’Asino, 2020.
Dicembre 2021