Cultura e Società

Alla luce del sole

31/10/08

Dicono che quando lo uccisero sorridesse. Un sorriso che il regista Faenza traspone in un dolce commiato nell’ultima scena di un film essenziale e lucido, che senza enfasi apologetica e con sobria esposizione dei fatti, cattura il pubblico ad un accorato coinvolgimento. Vi si narra gli ultimi anni di vita di Padre Pino Puglisi; del suo ritorno alla parrocchia della natìa Brancaccio, di un apostolato amorosamente dedito al riscatto “dell’infanzia negata”, dell’assassinio di mafia che rende eterna la memoria di quest’uomo descritto da tutti dai modi semplici e dall’aspetto fragile ma così tenace da muovere le montagne.

Vi si narra di un sogno, della fede nella verità, della determinazione ad agire in nome di un amore senza riserve verso tutti i bambini. Ed ai bambini il bel film è dedicato. Con sguardo partecipe e sensibile ai problemi di una terra, la Sicilia, dalla bellezza esausta e insanguinata, Faenza ridà vita al sogno di Don Puglisi in un affresco straordinariamente intuitivo del mondo dell’infanzia; il registra mostra con abilissima e commossa adesione come Padre Puglisi riesca “a toccare il cuore dei bambini” conquistandoli con il gioco, restituendo loro il sorriso e la gioia ed al tempo stesso sviluppando i rudimenti di una intenzionalità consapevole in grado di allontanarli dalla realtà mafiosa. Vengono proposte così nuove regole che cementeranno con l’amore principi di amicizia, lealtà e legalità. Lì dove impera il volere iniquo e corruttivo della mafia, Padre Puglisi insinua pensieri e modi di giustizia, dignità e condivisione di ruoli in grado di mettere al riparo i bambini dal trauma sociale e dall’ abbrutimento morale, il più terribile che si possa immaginare: la convivenza forzata con la criminalità del proprio padre, della propria famiglia mafiosa.

La qualità espressiva di Faenza coinvolge lo spettatore così come ne è coinvolta l’intera troupe che partecipa al sogno di Don Puglisi, l’amore per i bambini, facendolo proprio. Lo splendido Zingaretti, quasi austero nella sua maestria recitativa, si prende cura dei bambini anche al di là del set, li va a prendere a casa, li tiene in braccio con trasporto, li guida, come mostra l’ottimo corollario al film: il documentario che ne fa Filippo Macelloni. In un “Intorno al set”, che è molto di più che un “dietro le quinte”, componendo come una matrioska in un fluido intersecare realtà ed immaginazione scenica, tecnica recitativa ed interviste e testimonianze, il lavoro di Macelloni condivide il disegno del regista: non lasciare alcuno spazio alla fuga, all’indifferenza, ad una apatica ignoranza; esporre i fatti a cui il film si riferisce nella loro verità talora aspra e cruda, come nella descrizione di un degrado geografico e morale, e tuttavia tenera e carica di promesse nel rivelare la storia di Padre Puglisi e i bambini. Una verità che non si smentisce anche dopo la morte di Don Pino, quando nel tentativo di comprendere le ragioni di un omicidio per certi versi inusuale furono avanzate varie ipotesi.

Fu detto che la mafia uccise nel timore che, essendo la zona di Brancaccio covo e rifugio di latitanza, dentro il Centro di Accoglienza parrocchiale si celasse un nucleo investigativo in borghese. Ma nulla di questo fu mai provato. La verità di Don Pino era altra: “nei suoi armadietti vi erano solo cibo, abiti per bambini, giocattoli”. Così la lettura del film si apre a ventaglio sui grandi temi del nostro tempo, non solo la mafia e quella lotta al crimine che non dovrebbe mai desistere, ma più profondamente sui molti tradimenti dei padri, ricordandoci come dovrebbero essere i rapporti con i nostri figli. Di questo ed altro si parla in un interessante seminario organizzato in occasione del giorno della prima del film in seno al Corso di Laurea in Filosofia e Scienze Etiche all’Università di Palermo. Adeguata cornice; infatti se il discorso sul pensiero eticamente connotato si volge oggi allo studio e alla comprensione delle molte matrici socio-culturali, compito proprio delle nuove Scienze Etiche è di individuare norme e valori il cui abiuro comprometta irrimediabilmente la dignità dell’uomo.

Il film, così come elaborato dall’abilità di Macelloni nel documentario proiettato all’università, diviene quindi spunto di riflessione comune che mobilita in una risposta calorosa e sorprendente un uditorio il più vasto possibile. L’Aula Magna, gremita in ogni suo spazio, ospita studenti, insegnanti, professionisti. Ma anche i bambini di Brancaccio, i piccoli attori del film seduti per terra, le gambe intrecciate, e i genitori e la gente, la gente della città bianca, come è stato detto. In una atmosfera corale, senza alcuna formalità accademica, ci si raccoglie in ricordo di Padre Puglisi: il regista, gli attori, una psicoanalista della SPI docente in Scienze Etiche organizzatrice del Seminario ed i Relatori, che rispondono alle tante domande del pubblico.

Aveva spinto all’incontro l’idea di prendere in considerazione tre grandi temi sottesi al film: la lotta contro il flagello dell’organizzazione mafiosa e la ricerca della verità e della giustizia; la salvaguardia dei bambini contro la sofferenza e gli abusi fisici e morali e la tutela dei diritti inviolabili dell’infanzia e infine, terzo ambito se possibile ancor più difficile e complesso che pur non essendo citato nel film ne appare ineludibile implicito: la redenzione del carnefice, il più utopico degli ideali pastorali. Insieme al Procuratore Capo della Repubblica Piero Grasso sempre sensibile e generoso nel parlare del suo lavoro e del suo sforzo di vita, a quella grande testimone della storia che è divenuta Maria Falcone, ai giovani magistrati del Tribunale dei Minori, in un silenzio d’ascolto assoluto, grande impressione ha suscitato in tutti la direttrice del carcere “Pagliarelli” di Palermo, dott.ssa Brancato. Donna dall’apparenza forte e dura come il suo ruolo richiede, parla tuttavia con grande tenerezza dell’attenzione e della cura verso i suoi “protetti”. In loro delega un detenuto “in trasferta” esprime agli astanti, con sofferta dignità lo “sgomento nel ricordare ciò che ha commesso” e descrive quella che definisce la “trasformazione salvifica della detenzione.”

E l’ideale di Don Puglisi, riacceso con efficacia artistica dal film, contestualizzato tra sogno e realtà dal documentario, prende tutti nella sua luce come se davvero il mondo fosse salvabile. Così non è sembrato difficile rispondere alla domanda con cui la piccola Francesca, una esile ragazzina di 8 anni, sorprende la platea: “Noi bambini, come possiamo aiutare i bambini di Brancaccio?” Fra tutte, la risposta del giovane attore Corrado Fortuna: “Cosa fare? Con i tuoi compagni, domanda alla maestra di accompagnarvi. E tutti insieme andate ad insegnare ai bambini di Brancaccio i vostri giochi. Insegnate loro a giocare”.

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