Recensione di Maria Antoncecchi
Regia di Martin Scorsese
Titolo: “Al di là della vita”
Dati sul film: USA, 1999, 121’
Trailer:
Genere: drammatico
“Salvare la vita di qualcuno è come innamorarsi”
Un dialogo dal film
È uno dei film meno noti, ma non per questo meno significativo, di Martin Scorsese, uno dei maestri del cinema contemporaneo. In “Conversazioni su di me e tutto il resto”, un libro edito da Bompiani (2011), il regista spiega il suo interesse per le persone che si prendono cura degli altri, della compassione necessaria per fare questo lavoro e del senso di responsabilità che accompagna coloro che devono affrontare l’esperienza della perdita di vite umane.
In questo film, il protagonista Frank Pierce (interpretato da un Nicolas Cage che forse non è mai stato così espressivo) è un infermiere che gira di notte in ambulanza per la periferia di New York con il compito di rispondere alle chiamate di aiuto. Ci troviamo di fronte a una città degradata, povera, con storie di droga, alcolismo, disagio sociale e psichico: un quadro angosciante che mette a dura prova lo stato d’animo di Frank; anche il ritmo incalzante del film sembra voler sottolineare gli eventi drammatici che caratterizzano le notti della periferia di New York.
Il titolo originale del film è “Bringing Out The Dead”, letteralmente “portar fuori il morto” e inizia con un primo piano sul volto di Nicolas Cage che, parlando a se stesso, con un’espressione allucinata, descrive la sua situazione emotiva: “Ero bravo nel mio lavoro, ma nell’ultimo anno avevo perso il controllo, non salvavo qualcuno da mesi”. Frank si accorge che qualcosa è cambiato in lui: da sentirsi forte e in grado di ridare la vita si ritrova a veder passare i morti e questo lo conduce sull’orlo di un baratro psichico.
L’essere a contatto continuamente con persone che possono vivere o morire mette Frank nella condizione di sentirsi l’artefice del destino degli altri. Ciò che o mette in difficoltà è l’angoscia derivante dai sentimenti di colpa e d’impotenza di fronte alla morte delle persone che incontra. La fatica a tollerare la sofferenza e la morte lo spinge a sviluppare un atteggiamento di onnipotenza e di negazione della realtà. Coltiva la fantasia di poter salvare tutti ed entra così nei panni del “salvatore” nell’illusione, grandiosa, di tenere sotto controllo la situazione e di trionfare sulla morte. Questo atteggiamento maniacale ha l’obiettivo di metterlo al riparo da sentimenti depressivi-dolorosi che il suo lavoro comporta. Purtroppo però se il suo desiderio di donare la vita lo porta a credere che tutto dipenda da lui, l’incontro con l’ineluttabilità della morte non si fa aspettare e costringe Frank a fare i conti con la sua fallibilità.
Il sentimento di onnipotenza s’incrina chiaramente solo quando si scontra con la sua impossibilità di salvare una paziente. In una sequenza emblematica assistiamo, infatti, a una sorta di logoramento psichico causato dalla morte della ragazza, ad un’ossessione che non gli permette più di svolgere il suo lavoro. Non può più vedere le persone morire, non può accettarlo, ogni morte diventa un suo fallimento personale.
“Era impossibile superare un palazzo che non contenesse lo spirito di qualche cosa, gli occhi di un cadavere, le grida di un parente caro; tutti i corpi lasciano un segno, non puoi stare vicino a uno appena morto e non sentirlo. Questo lo potevo sopportare, quello che più mi perseguitava ora era più selvaggio: spiriti nati non completi, omicidi suicidi, overdose, che mi accusavano di essere stato presente, testimone di un umiliazione che non avrebbero mai potuto perdonarmi.”
Quello che vediamo, quindi, è lo sviluppo di uno stato patologico: il protagonista è travolto da visioni e allucinazioni, dovute al sentimento di colpa per non essere stato capace di impedire la morte. Tutte le persone che non è riuscito a salvare ritornano come fantasmi nei suoi deliri a ricordagli che aveva fallito, che era colpevole della loro fine.
La sua ossessione di salvare le persone è ben rappresentato dalla scena in cui un uomo che viene portato in pronto soccorso e viene tenuto in vita attraverso continui shock elettrici. L’accanimento terapeutico dei medici in ospedale è la rappresentazione del desiderio onnipotente del protagonista di ridare la vita a tutti, a qualunque costo. È attraverso questo paziente che comprende che il rispetto della vita è anche l’accettazione della morte e con essa il riconoscimento dei limiti umani. La morte non può essere sconfitta, va accettata. Il momento in cui stacca la spina implica l’accettazione di non poter decidere nulla. Può sembrare un paradosso ma non è cosi. Gli occhi del paziente che chiedono di morire sono quella parte di Frank che gli chiede di accettare la realtà, di uscire da questo meccanismo della colpa di non poter essere il salvatore-onnipotente, ma di farsi testimone della vita dell’altro, di essere colui che condivide e partecipa senza per questo desiderare di essere artefice della vita dell’altro.
“Mi resi conto che la mia preparazione era utile per meno del dieci per cento delle chiamate e salvare la vita a qualcuno era ancora più raro. Dopo un po’ arrivai a capire che il mio ruolo non era tanto salvare vite umane quanto essere testimone, ero uno straccio per il dolore, bastava fossi presente.”
Il contrasto tra lo stato psichico del protagonista e quello dei suoi compagni di lavoro è evidente. Il regista ci mostra le difese psichiche che i tre infermieri che lo accompagnano lungo le notti newyorkesi hanno sviluppato per far fronte al loro lavoro. Larry si protegge con l’indifferenza, non si fa toccare da nulla, pensa a mangiare cinese e mantiene un distacco da tutto ciò che gli accade intorno; Marcus, il mistico, è convinto che tutto sia nelle mani di Dio e questo lo aiuta a seguire la regola, come lui dice, di non farsi coinvolgere dai pazienti; infine c’è Tom, che ama la violenza, si sente un guerriero della notte e si eccita a vedere scorrere il sangue. Frank, a differenza di loro, non ha costruito delle difese così dure, si lascia travolgere dal dolore e va in pezzi. Attraverso la sua esperienza tuttavia capiamo l’importanza di essere dei testimoni partecipi .
Maggio 2017