Cultura e Società

“A Chiara” di J. Carpignano. Recensione di G. Stanziano

25/10/21
"A Chiara" di J. Carpignano. Recensione di G. Stanziano

Autore: Giuseppe Stanziano

Titolo: “A Chiara”

Dati sul film: regia di Jonas Carpignano, Italia, 2021, 121ˈ

Genere: drammatico 

“Penso che l’unico modo di raggiungere l’universale sia di essere precisi, intimi e locali”, dichiara il regista Jonas Carpignano in un’intervista di presentazione di “A Chiara” (https://www.cineblog.it/post/a-chiara-film-trailer-trama-anticipazioni), in cui ci parla della sua lunga immersione nel territorio di Gioia Tauro, duro e resistente come il cemento che segna il paesaggio della città calabrese. Un’immersione lunga quasi un decennio, scandito da una trilogia filmica di cui questo film è l’ultimo capitolo, che va a definire una personale ricerca del vero, per cui il reale e il particolare si dissolvono in una visione profonda, che coglie la radice dei legami con le umane vicissitudini.

La vera famiglia Rotolo interpreta nel film la famiglia Guerrasio, giocando una commistione tra il reale e la finzione capace di esprimere sullo schermo la verità degli affetti: padre, madre e tre figlie ci introducono nell’intimità domestica, per poi trasportarci nella lunga sequenza di una gioiosa festa familiare per il diciottesimo compleanno della primogenita. Chiara, quindicenne secondogenita, emerge gradualmente imponendo il suo sguardo deciso, rivolto al padre amato che rivela una tenera fragilità, contraltare all’immagine di sè fiera e robusta.

Il mondo adolescenziale di Chiara, scanzonato con le amiche al mare e protetto nella apparente sicurezza degli affetti familiari, si incrina quando proprio nell’intimità domestica affiora qualcosa di sconosciuto. La notte intreccia percezioni diurne distratte conferendogli un nuovo senso perturbante e dischiude segreti che, come osserva Stefania Nicasi (2019), “conservano qualcosa di eccitante, cifra dell’infantile che è in noi” (p. 338). L’irruzione di qualcosa di ignoto non costituisce di per sé motivo di turbamento, ma è il suo oscuro emergere da ciò che appariva familiare a suscitare quell’effetto perturbante, come osserva Freud (1919) nel famoso saggio, per cui Unheimlich “è tutto ciò che avrebbe dovuto rimanere segreto, nascosto, e che è invece affiorato” (p. 86). Il vertiginoso e improvviso spaesamento, che nel film percepiamo attraverso sequenze rapide in cui la macchina da presa insegue Chiara alle spalle, spinge a guardare quell’oscurità sinistra, illuminata dal cortocircuito per cui il familiare si trasforma nel suo contrario.

Nottetempo, Chiara ascolta incuriosita discutere i genitori, ne percepisce una imprevista gravità minacciosa che la desta. Si aggira tra le ombre della casa quando i dubbi sono spazzati via da una violenta deflagrazione che distrugge la macchina del padre in strada. Scoprirà dai video sul suo cellulare da ragazzina che il padre è un latitante, ricercato in quanto esponente di una ‘ndrina. La rivelazione e la scomparsa del padre ridefiniscono violentemente il mondo. Le visioni notturne spalancano un mondo di sotto nel quale, caparbiamente, si inoltra in cerca del padre e di una verità necessaria: scopre bunker sotterranei in cui ritrova tracce del genitore in un doloroso cammino di individuazione e di ridefinizione della propria storia. Le immagini cupe, cadenzate da costanti suoni incalzanti, come la fatica del suo lavoro interno in cerca di una personale soggettivazione, sono sospese dal calore di un sogno notturno: il padre illuminato dal fuoco di un camino la abbraccia e la riporta a letto, condensando in un’unica visione tenerezza e sensualità.

Lo spaesamento dell’adolescenza include una quota di rischio, che ci appare nella sequenza in cui ragazzi si aggirano per strade desolate, lanciando petardi alla rinfusa: per tale incidente, Chiara viene allontanata dalla famiglia d’origine ed affidata ad una madre di Urbino. Fugge in cerca del padre, diventando lei stessa latitante, in direzione di una difficile identificazione paterna. Attraverserà la nebbia in aperta campagna per raggiungere il rifugio del genitore che emerge dal sottofondo come riesumato in una nuova rappresentazione più corrispondente alla verità, a cui porre finalmente domande legittime.

“Pensano che siamo tutti uguali, ma non è così”, afferma il padre: una denuncia della scissione che nella società separa la malavita dal resto, misconoscendo la complessità dei fenomeni e delle vite finite nel mezzo. Il film ha il merito di superare la frattura, consolidata negli stereotipi ripetuti sulla criminalità, e di svelare la prossimità di mondi in apparenza alieni, ritrovando nell’universalità dei legami affettivi una possibile traccia recondita del male e di un’estraneità che ci appartiene.  

Chiara ritroverà una possibile nuova vita a Urbino, con lo spettro della famiglia perduta alle spalle. Di certo l’allontanamento di minori da contesti familiari criminali è una estrema e dolorosissima soluzione, talvolta necessaria. Tuttavia, a meno di non immaginare deportazioni di massa, analizzare e curare i legami affettivi e familiari, cardini primari di molte organizzazioni criminali del nostro Paese e che alimentano affiliazioni e proseliti, è un dovere che ci riguarda. 

Bibliografia

Freud S. (1919), Il perturbante. O.S.F., 9.

Nicasi S. (2019), Editoriale. Psiche, 2, 337-345.

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