Autore: Laura Ravaioli
Titolo: “18 regali”
Dati sul film: regia di Francesco Amato, Italia, 2020, 115 min.
Genere: drammatico
Il film “18 regali” è stato ispirato dalla storia di Elisa Girotto, portata via ai suoi familiari, e in particolare alla figlioletta di appena un anno, da un tumore aggressivo e incurabile al seno. Con tenacia e creatività Elisa ha ideato un modo per accompagnare la figlia nella sua crescita: preparandole un regalo per ogni compleanno fino alla maggiore età. La sua morte, qualche anno fa, ha commosso l’Italia, la sua storia ha girato il mondo ed è diventata ora un film alla cui sceneggiatura ha collaborato il marito Alessio Vicenzotto. La narrazione filmica rappresenta la figlia, chiamata Anna, già diciottenne e in procinto di ricevere l’ultimo regalo. È un’adolescente problematica, arrabbiata, con comportamenti antisociali (mette in pericolo la vita di una compagna, ruba un’auto) che sono correttamente considerati dai familiari conseguenze traumatiche del lutto non elaborato per la perdita della madre, ma esplicitando questo in modo forse troppo compassionevole provocano la reazione orgogliosa e ancora più estrema di Anna. Da un punto di vista psicoanalitico il film sembra ricordarci che non basta conoscerne l’origine, perché il dolore si dissolva.
Donald W. Winnicott (1984) riconduce la tendenza antisociale a una deprivazione nella vita del bambino e dell’adolescente a una buona esperienza che viene a mancare improvvisamente. Lo psicoanalista e pediatra inglese la distingue dalla privazione, in cui è assente quest’esperienza e che porta a patologie psicotiche, più gravi. Negli agiti antisociali egli trova una certa dose di speranza, quella che il mondo restituisca ciò che è stato tolto, che ripari al tiro mancino.
Grazie all’ampliamento dei fili narrativi dove si intrecciano sogno e realtà, passato e presente, la madre e la figlia hanno quindi l’opportunità di ricucire, di intessere quel legame interrotto di cui Anna non ha ricordo. L’incontro è tutt’altro che idilliaco e, anzi, prende l’avvio da un incidente, in cui Elisa investe la figlia – letteralmente, ma anche simbolicamente, capiamo poi, con la proiezione delle sue idealizzazioni, desideri, aspettative testimoniate dai regali – e prosegue con numerosi scontri mentre cercano di conoscersi con passi avanti e indietro, e passi falsi. Anna accusa la madre di non avere nulla in comune con lei, di desiderare “una bambola” e reclama di essere vista nella sua soggettività. E questo diritto è lo stesso che chiedono infine anche Elisa e Alessio, il padre: di essere accettati e perdonati per quei regali sbagliati, fuori moda o fuori taglia, come spesso sono i consigli e gli avvertimenti genitoriali.
Il film mi ha portato a riflettere su quanto spesso, al di là dei concreti eventi luttuosi, genitori e figli corrano il medesimo rischio di non incontrarsi e ha il merito di mostrarci le difficoltà e il faticoso percorso di costruzione di una relazione. La frase che presenta il film nel trailer “ci sono ricordi che ti cambieranno per sempre”, si trasforma in “ci sono emozioni che rimangono per sempre” e sottolinea la connessione tra ricordi ed emozioni, che uno psicoterapeuta conosce bene. La narrazione filmica mi è sembrata metafora di un percorso analitico che permette di tornare indietro nel tempo della propria storia personale e familiare e che, attraverso l’immaginazione e l’esercizio empatico, consente di figurarsi realtà alternative alla propria e costruire nuove esperienze, o come direbbe Thomas H. Ogden “sognare quei sogni non sognati” (2005). Gli obiettivi sono solitamente quelli di comprendere la sofferenza e rimarginare qualche piccola o grande ferita, ma spesso essi portano l’effetto collaterale del pacificarci con il passato e con le persone che lo hanno abitato.
Riferimenti bibliografici:
Winnicott, D.W. (1984) Il Bambino deprivato. Le origini della tendenza antisociale. Raffaello Cortina Editore, 1986.
Ogden T.H. (2005) L’arte della psicoanalisi. Sognare sogni non sognati. Raffaello Cortina Editore, 2008.