Tribeca Film Festival 2015
New York, 15-26 Aprile 2015
MoMa (Museum of Modern Art): Bruce La Bruce (23/4 – 2/5)
Cronaca di Rossella Valdrè
Il Tribeca Film Festival, la prestigiosa e innovativa rassegna cinematografica che, inizialmente ideata da Robert De Niro, Jane Rosenthal e altri artisti nel 2001, come immediata risposta alla tragedia dell’attentato alle Torri Gemelle, giunge a questa odierna edizione sempre più ricca e partecipata.
Novantadue, infatti, i film presentati; centodiciannove i registi di cui quaranta esordienti e, per la prima volta, una ricca rappresentanza femminile che vede in gara trenta registe, tra film e documentari. Il TFF, infatti, come è sua specifica tradizione, dedica un’attenzione particolare ai documentari, compresi i corti e i cortissimi, più di qualunque altro festival; alle premiazioni dell’ultimo giorno, il documentario ha, infatti, una sua sezione speciale.
Saremo presenti al TFF, come per la precedente edizione http://bit.ly/1OtjmcA, solo per gli ultimi due giorni; ci accontenteremo, quindi, della possibilità limitata, ma sempre preziosa, di poter recensire in anteprima sugli schermi e in tempo reale, soltanto non più di tre o quattro film. Una visione, quindi, necessariamente parziale in coda alla fine del Festival, ma è pur sempre un assaggio significativo del Tribeca…
Come scrissi l’anno scorso, amo particolarmente questo Festival. Non è solo una ghiotta occasione per appassionati di cinema e psicoanalisi (quasi tutti i film presentati, infatti, sono di alta qualità per il nostro specifico interesse), il TFF rappresenta anche una splendida occasione e uno straordinario esempio di come, dalle ceneri di un grande lutto collettivo, la forza dell’arte, la magia del cinema, possano aiutare a simbolizzare e trasformare in nuove forme condivisibili di rappresentabilità. In questo senso, lo trovo un’operazione squisitamente psicoanalitica. Non a caso – e costituisce un fortissimo valore aggiunto al Festival in sé – la collocazione nella zona di New York che vi dà il nome: Tribeca. Quartiere ai margini di Soho, col quale in parte si confonde, percorso dalla vecchia ferrovia da tempo dismessa, pieno di edifici classici dai tipici mattoni rossi, loft ed ex magazzini industriali, Tribeca rischiava di diventare un vuoto quartiere senz’anima, né antico né nuovo, spoglio d’identità. E’ avvenuto tutt’altro. Grazie all’immane sforzo delle amministrazioni che si sono succedute, alla presenza del Festival che, dislocato in sei cinema, tra Tribeca e Soho ne ha rivitalizzato la frequentazione, grazie soprattutto al geniale lavoro di riconversione architettonica della vecchia ferrovia diventata la ormai nota High Line, una delle più belle passeggiate di Manhattan, Tribeca è rifiorito ed è oggi uno dei quartieri più glamour, eccentrici, eleganti, architettonicamente audaci e vitali della città.
Parlare di riconversione, come si usa in questi casi, mi pare riduttivo. Con il contributo di artisti di ogni tipo e nazionalità, è di una vera e propria trasformazione che si tratta: da ciò che rischiava di morire a ciò che oggi è artisticamente vivo, il paesaggio dell’intera parte sud della città, Lower Manhattan, sta conoscendo una nuova vita.
Un cantiere aperto, un laboratorio, che ogni anno ci sorprende con nuovi edifici, nuovi tratti di passeggiata, nuovi scorci. Quest’anno, quasi in contemporanea al TFF, l’attesa apertura del nuovo Whitney Museum di Renzo Piano, che aprirà al pubblico il primo Maggio, ma con un pre-opening party (riservato alle celebrità, purtroppo per me!) il 24 aprile.
Il nuovo spazio museale-culturale (come per il MoMa, è del tutto riduttivo definire questi poli multimediali di cultura come musei, nella tradizionale accezione del termine), alle spalle dei cinema, brilla come un magico contenitore di cristallo e getta sul Festival e sul quartiere una nuova luce. Secondo le parole di Renzo Piano, “Il design del nuovo museo nasce sia dallo studio approfondito dei bisogni del Whitney che dal tentativo di dare una risposta a questo posto notevole. Volevamo che vitalità e slancio fossero le sue caratteristiche”. Nove piani tra mostre e teatri di un contenitore di vetro aperto al pubblico, alla città – ha detto Piano – tra l’High Line e il fiume Hudson, tra l’acqua, i giardini, il parco, “di modo che portasse tutti noi a concentrarci su un nuovo modo di fruire dell’arte”.
Il TFF si è aperto con uno dei film più attesi, Slow West di John MacLean con Michael Fassbender, ben accolto dalla critica, una rarefatta, malinconica epopea con momenti surreali. Tra i titoli più attesi spiccano inoltre l’horror Maggie di Henry Hobson con Arnold Schwarzenegger, il thriller The Adderall Diaries di Pamela Romanowsky con James Franco (purtroppo, esaurito), il documentario dedicato a Kurt Kobain e il drammatico Franny di Andrew Renzi con Richard Gere, che fortunosamente riusciremo a vedere,
L’Italia partecipa quest’anno con Hungry Hearts di Saverio Costanzo (Coppa Volpi a Venezia ai due attori protagonisti, l’americano Adam Driver e Alba Rohrwacher), liberamente ispirato al romanzo “Il bambino indaco”di Marco Franzoso, doloroso racconto contemporaneo di una difficile genitorialità. Presenza indicata al TFF, il film di Costanzo, oltre che per la sua qualità, per il desiderio espresso dal regista (che lo ambienta a New York e con attore americano) che il film varcasse le soglie del nostri confini. Ma il cinema made in Italy è rappresentato anche, nelle sezioni collaterali, da Meraviglioso Boccaccio dei fratelli Taviani e dall’interessante presenza del Palio di Siena, che arriva in gara con ‘Palio’, diretto da Cosima Spender; presentato in anteprima mondiale. Si tratterebbe, in realtà, di un documentario-denuncia, una sorta di sguardo “dal di dentro” di una delle corse di cavalli più antiche e famose al mondo, ma all’interno di un ambiente ‘macchiato’, secondo il film, da corruzione e corse apparentemente ‘aggiustate’, che minacciano di far sparire la passione per la competizione sportiva in sé. Sarà interessante vedere le ‘reazioni’ dei senesi…
Non mancano i classici rivisitati e riproposti, come Star Wars di George Lucas, Quei bravi ragazzi con lo stesso De Niro, Ritorno al futuro, un’intera rassegna-omaggio dedicata a Frank Sinatra (tanto che qualcuno ha parlato di una ‘primavera italiana) e moltissimo altro ancora.
Segnalo inoltre che, indipendente dal TFF, è presente nelle sale newyorkesi il nostro Anime Nere (Black Souls) di Francesco Munzi, anch’esso presentato nell’ultima edizione veneziana http://bit.ly/1dhnHim ed eccellentemente recensito dal New York Times che lo definisce opera nera, sublime tragedia famigliare che nulla a che a vedere con i consueti film su gangster, mafia o camorra ma, conclude il giornalista “non si tratta di intrattenimento: si tratta di vita e morte”. Segni di una ripresa, di una rinnovata vitalità nel cinema italiano?
Il clima è informale, al Tribeca; ogni film è brevemente presentato dal regista e da uno degli organizzatori e spesso, dopo la proiezione, lo stesso regista (esordiente o famoso) è a disposizione per le domande del pubblico (il quale però, per non mancare ad un altro film e non sempre i cinema sono vicini, lo si vede in genere scappare via a malincuore…). Tutti i film qui presentati, sono in anteprima mondiale.
Concluderemo la nostra passeggiata cinematografica newyorkese con un salto al MoMa (Museum of Modern Art) dove si tiene in contemporanea al TFF una particolarissima, a mio avviso, coraggiosa e imperdibile rassegna dedicata al controverso regista canadese Bruce La Bruce. Forse non molto noto al grande pubblico, La Bruce è un giovane regista con una ricca filmografia alle spalle, che dall’Ontario è approdato ai festival internazionali tra cui Venezia nel 2013 (con Gerontophilia http://bit.ly/1Gxdxqj ) e dove qui presenta, tra gli altri, il suo ultimo film in anteprima il 27 Aprile, che vedremo, Pierrot Lunaire. Impossibile anticipare qualcosa non solo per non sottrarre, anche a me stessa, la sorpresa, ma perché La Bruce è un vero sperimentatore, un frequentatore che contamina generi, di difficile ‘classificazione’, che ha attraversato il genere queery, come diversi registi omosessuali soprattutto canadesi e nordamericani (ma anche europei, come il primo Almodovar), per poi affrancarsene ed approdare oggi ad un’elaborazione senz’altro differente, che ne mantiene le tematiche di fondo ma con una narrativa nuova, sempre ironica e spiazzante.
Per concludere, ho scelto La Bruce, nella ricchissima offerta newyorkese, non solo perche avevamo già avuto modo di apprezzarne l’originalità del linguaggio a Venezia, ma perché il suo spirito ben si colloca in ciò che, come detto, amo particolarmente in questo Festival: il gusto instancabile della sperimentazione, della ricerca in ogni espressione artistica umana, la passione per il cinema e per un cinema per tutti, anti-divistico (benché non manchino le star, naturalmente), lontano dai ‘red carpet’ e intrecciato quasi anonimamente con la vita pulsante della città, accessibile a chiunque purché armato di pazienza, curiosità e infinita passione per il cinema.
Al TFF e al MoMa, basta amare il cinema e mettersi in coda…..
Buona visione!