Autore: Maria Grazia Gallo
Titolo: Musica, psicoanalisi e le colonne sonore delle nostre vite (riflessioni intorno al film “Ennio”)
“La musica è intangibile, non ha sembianze,
è come un sogno”.
E. Morricone
La musica, diceva Fornari, si può definire “accensione dell’anima”, è “un mistero singolarissimo, un linguaggio che, presentandosi in questo mondo, vi porta in modo privilegiato…in un altro mondo, per sempre perduto, ma senza del quale sembra non possiamo vivere”.
E di questo si tratta vedendo/ascoltando il bellissimo e commovente docu-film di G. Tornatore la cui narrazione è a sua volta una grande partitura musicale, un mosaico di voci narranti, memorie e testimonianze del genio musicale Ennio Morricone e del mistero che si cela dietro la creatività e genialità unita in questo caso alla semplicità ed estrema umiltà dell’uomo.
Nel raccontare la singolare e straordinaria storia musicale e umana del compositore che unisce “istinto pop a rigorosa cultura classica” si alternano musicisti, compositori, cantanti, i suoi Maestri, registi, produttori e attori: da Gianni Morandi a Bruce Springsteen, Joan Baez e Pat Metheny, da Quentin Tarantino a Bertolucci, Bellocchio, Pasolini e i fratelli Taviani, G.Petrassi, suo Maestro di composizione a Clint Eastwood che ebbe anche l’onore di consegnargli l’Oscar alla carriera nel 2007.
E infine i Metallica che aprono i loro concerti con una sua composizione.
Il film inizia in modo singolare e significativo con le parole di Roland Joffé :”Osservare Ennio Morricone mentre lavorava era come osservare un atleta” e seguono immagini del compositore mentre esegue esercizi di ginnastica mattutina (sua abitudine nota e che mantenne tutta la vita); alle sequenze e ritmi ginnici si alternano sequenze e ritmi musicali di suoi momenti di direzione d’orchestra.
Di fatto la musica di Ennio Morricone è una musica corporea, mi verrebbe da dire “carnale” e incarnata, qualcuno ha detto che “portava il corpo nella musica” a partire dalla riproduzione evocativa e apparentemente prosaica del brontolio di uno stomaco vuoto a quella del verso del coyote o dei ritmi scanditi e ripetuti di una manifestazione di protesta, e nel contempo è pura spiritualità, è il “flauto di panna” vellutato (citato da C.Verdone) ed elevazione a suoni celestiali.
Il tutto utilizzando e combinando le sonorità strumentali più varie: dal pianoforte alla chitarra elettrica, al mandolino e clavicembalo, alle percussioni o campane, armonica a bocca, fruste e rumori, Wagner e Bach insieme alla canzone popolare e alla musica dodecafonica; arrangiamenti arditi che mischiano il sacro al profano, integrano ciò che non sembra integrabile: e il risultato è un‘assoluta armonia.
Un bagno di suoni, ritmi e sonorità che evocano quelle primordiali: il battito cardiaco materno, la voce materna, ma anche quella paterna, suoni pre-natali: tutte, insomma, quelle esperienze primarie e quei dati pre-verbali della vita intra-uterina ed extra-uterina e di una memoria implicita (Mancia, 2004) che “aprono la danza onirica della vita” (Fornari, 1986) il cui significato inconscio è strettamente legato al significato inconscio della musica.
La musica, dice Fornari, ha il significato inconscio di recupero della situazione intrauterina, il “paradiso perduto”, un mondo totalmente cancellato dalla memoria vigile, ma (Mancia) presente in una memoria implicita o inconscio non rimosso, potentemente evocato dalla musica stessa.
Il significato, quindi, della musica, si può considerare il “significato di tutti i significati l’ur- significato” collegabile all’Idea platonica del Bene – dell’esistenza di un bene originario portatore di senso, andato perduto e da ritrovare, risignificare e ri-creare – e alla concezione Kantiana degli elementi a priori (protomentale) e della conoscenza trascendentale.
Anche noi analisti siamo immersi nella dimensione musicale, non solo delle nostre vite ma anche di ciò che di noi s’interseca e intreccia delle esperienze più profonde e significative nella relazione con il paziente.
Di Benedetto (2000) parla della reverie acustica per raggiungere “le inaudite voci dell’inconscio” e Mancia parla, riprendendo “la musica di ciò che avviene in seduta” di Ogden (1999), della “dimensione musicale del transfert”.
“La musica esige che prima si guardi dentro se stessi….”e “Io sono fatto di tutto quello che è la musica, che ho studiato” dice Ennio Morricone e le note come direbbe Bion (1962) per i pensieri, venivano a visitarlo, erano nella sua testa, nel corpo e nell’ immaginazione, intere improvvisazioni e partiture che si snodavano e si scrivevano mentalmente, non necessariamente provate, messe in pratica sulla tastiera del pianoforte: un tutt’uno psiche/soma, un ginnasta/atleta del ritmo e della mente dalla straordinaria elasticità, dinamicità, creatività.
Suzanne Maiello racconta della tradizione di una popolazione dell’Africa orientale: quando una donna scopre di essere incinta, si reca da sola sotto i piedi di un albero, lontano dal villaggio e attende fino a quando le arriva e ode una melodia. Allora rientra nella comunità, canta la melodia e la insegna alle donne del villaggio.
D’ora in poi questa sarà la musica del figlio che nascerà, che la madre e le altre donne canteranno a lui/lei durante la gravidanza e anche dopo, alla sua nascita come saluto di benvenuto e che lo accompagnerà sempre. E’ la sua melodia, il suo “nome sonoro” e farà parte della sua identità accompagnandolo fino alla fine della sua vita.
La musica è anche riparazione: “appare sospesa sopra la catastrofe (…) della cesura, della separazione originaria, ma “nello stesso tempo in cui appare legata alla catastrofe originaria dello sradicamento, la musica sembra costituirne una originaria e parziale riparazione” (Fornari, 1986).
Ciò che colpisce della parabola umana ed artistica del compositore così come viene da lui raccontato nell’intervista, è a mio avviso la straordinaria capacità e genialità riparativa e creativa della propria vita e del proprio destino proprio attraverso la musica.
Tutto sembra avere inizio paradossalmente da quella sua affermazione: ”non ho mai pensato che la musica fosse il mio destino” e da un pesante mandato paterno e familiare: il padre, musicista e trombettista di professione, passa il testimone al giovane figlio Ennio, ancora ragazzino, dicendogli che dovrà succedergli nel prossimo futuro e sostenere economicamente la famiglia suonando la tromba.
E’ facilmente immaginabile come il giovanissimo Ennio abbia sentito tutto l’enorme peso di questo mandato (avrebbe voluto fare il medico) e una grossa adesione doveristica: non si può evaderlo, non si può “tradire” e deludere il Padre.
Assunse quindi inizialmente suo malgrado tale compito pur, sempre comprensibilmente, non amando lo strumento della tromba verso la quale nutrì un sentimento piuttosto ostile che lo accompagnò tutta la vita; pertanto si votò e dedicò alla musica intraprendendo i severi studi preso il Conservatorio di S. Cecilia dove si diplomò con il Maestro Goffredo Petrassi, diligentemente, nella tromba e successivamente in Composizione. Del resto Ennio era cresciuto immerso nella musica, in un “bagno di suoni” e ben presto divenne tutt’uno con la stessa, vi si dedicò anima e corpo.
Ma proprio mentre vi si dedicava con rigore e nel contempo passione, avvenne in lui quella che io considero una “svolta”, una sorta di ribellione inconscia al mandato paterno e all’ambiente familiare e una rivisitazione “creativa e riparativa” degli stessi: sempre di più, forte di una sua rigorosissima e vastissima formazione classica musicale, si allontanò, senza tuttavia rinnegarla da quella stessa classicità così pretesa e voluta dai Padri Maestri.
Iniziarono invece, al di là delle indicazioni paterne,le sue collaborazioni con la musica popolare e i suoi famosi arrangiamenti (e quanto più di riparativo c’è in questa magistrale operazione?) ma soprattutto con il cinema e le colonne sonore: quasi 500 film, da quello western (Trilogia del dollaro)con il grande Sergio Leone, suo ex compagno di classe in terza elementare, e via via con registi a volte non noti e ancora sconosciuti (lo stesso Tornatore) e con i grandi Maestri : Bertolucci, Pasolini, Argento, Malick, Tarantino, I fratelli Taviani; l’elenco è lunghissimo.
Più si affermava e più veniva richiesto da registi di tutto il mondo per le colonne sonore dei loro film, tanto meno veniva riconosciuto dai suoi Maestri e colleghi compositori che lo consideravano un “compositore di serie B” o “non un compositore serio”, un traditore della tradizione classica che si era allontanato dalla purezza e rigorosità di quest’ultima: “La sua non è musica”.
Ennio ne soffrì moltissimo, in particolare del disconoscimento del suo padre-Maestro Goffredo Petrassi. che evidentemente non tollerava che il figlio-allievo si discostasse dalla strada maestra e dal “mandato” della tradizione (e, direi, della “famiglia musicale”) per percorrere autonomamente e in modo creativo una propria via : fu per lui una vera e propria umiliazione che nell’intervista di Tornatore ripercorre tra le lacrime ,ma parla anche di come tutta la sua vita e quindi la sua musica, indissolubilmente legata alla stessa, sia stata all’insegna di una rivincita, di un riscatto e di una riparazione, diremmo noi psicoanalisti, di quel profondo senso di colpa per essersi allontanato dal mandato paterno.
E mai riparazione fu più geniale e creativa così come il riscatto più riuscito: accogliere un mandato, ma trasformarlo, fare della musica il proprio destino come mai avrebbe immaginato, portandola ovunque, entrando e conquistando i cuori di chiunque, facendola diventare colonna sonora delle nostre vite: tutto questo onorando il padre.
Fu riconosciuto anche da chi l’aveva denigrato: Boris Porena , suo collega e celebre compositore che ascoltiamo intervistato nel film, gli scrisse una lettera di scuse e di apprezzamenti riconoscendo di non averne compreso la genialità e la ricerca musicale.
Non sappiamo che madre avesse avuto Ennio: colpisce come nella lunga Intervista sia una grande assente e non compaia se non per cenni in quanto figura accudente.
Sappiamo però dell’unico e grande amore della sua vita: la moglie Maria alla quale dedicò commosso i suoi due Oscar, sua musa ispiratrice e mentore, grande personalità, ma presenza discreta e dolce, “sempre sorridente” e “angelica”, come la descrivono e soprannominarono gli amici; angelica come la sua musica alla quale poté dedicarsi e immergersi totalmente con molta serenità grazie a lei, tramite di quel paradiso perduto di cui ci ha reso partecipi.
A lei, nel suo necrologio scritto di suo pugno prima di morire, dà il suo “più doloroso addio”.
E anche noi ci congediamo dal grande compositore e musicista, portatore di una melodia condivisa (S. Maiello) divenuta melodia di tutti noi, che in chiusura del film, in primo piano, dice: “Sono davanti ad un foglio, mi accingo a scrivere la musica, ma non so dove andrà…”.
A noi le sue note sono arrivate e ci accompagneranno sempre come colonna sonora anche delle nostre vite.
Bibliografia
Bion W.R. A theory of thinking International Journal of Psychoanalysis 1962;43
Bion W.R. Transformations , Heinemann,1965
Fornari F. Psicoanalisi della musica, Longanesi ,1984
Maiello S. Rithmes et melodies de l’observation du bebè dans une culture non occidentale
in L’Autre 2019/2 (vol.20)
Maiello S. L’objet sonore: hypothèse d’une mémoire auditive prénatale, Journal de la psychanalyse de l’enfant, 1977;20
Mancia M. Sentire le parole, Boringhieri ,2004