Cultura e Società

Mukti Bhawan (Hotel Salvation)

5/09/16

Mukti Bhawan (Hotel Salvation)

Regia di Shubhashish Bhutiani (India, 2016)

Biennale College Cinema

Genere drammatico

Commento di Elisabetta Marchiori

Un film girato, a mio avviso, su due registri ben calibrati tra loro: della delicata ironia e della emozionante profondità.  Questo primo lungometraggio del promettente Bhutiani prende avvio dalla scoperta dello stesso regista dell’esistenza, nella città sacra di Varansi sulle rive del Gange, di alberghi che accolgono le persone che si sentono prossime a morire per “traghettarle”  verso la  “salvezza”, come prevedono i dettami  della loro religione. È uno di questi, l’Hotel Salvation, il set del film.

L’anziano Daya (Lalit Behl), vedovo, annuncia alla famiglia del figlio Rajia (Hadil Hussain), con cui vive, di sentirsi  “pronto a morire” e desidera recarsi a Varasi, pur sembrando ancora in buona salute. Rajiv, sua moglie e sua figlia cercano inutilmente, seppure con modalità ambivalenti, di dissuaderlo: quell’uomo ripetitivo e testardo, abituato a comandare, è diventato un peso per loro, ma non possono ammetterlo. Poiché Daya minaccia di partire da solo, Rajiv si sente obbligato ad accompagnarlo, anche se il suo lavoro non glielo permetterebbe e poi, con il padre, ha un rapporto teso, imbarazzato, rancoroso.  Era stato suo maestro a scuola e con lui era particolarmente severo, rendendolo insicuro e incapace di sviluppare le sue autentiche inclinazioni. “Per me eravate tutti uguali”, gli ribadisce, battuta cui Rajiav risponde con rabbia infantile.

Il viaggio di padre e figlio e la loro permanenza all’Hotel Salvation, con scene che fanno sorridere e commuovere, si traduce nella “salvezza” del loro rapporto, nell’unione che permette infine la separazione, nello spezzare la catena transgenerazionale di frustrazione nel rapporto  con il genitore. Infatti,  parallelamente, si conflittualizza ed evolve anche il rapporto tra Rajiv e la figlia, ponendo le premesse perché possa emanciparsi dalle aspettative paterne, grazie anche alla fiducia e all’empatia che le dimostra il nonno, forse cercando di riparare gli errori commessi con Rajiv.

Un figlio adulto che lascia andare il padre anziano, un padre che lascia andare la figlia ormai adulta. Sono in gioco, in questo film, il tema della separazione in tante delle sue molteplici sfumature, e quello del rapporto tra generazioni: il regista riesce ad offrirne una lettura che si percepisce autentica e condivisibile.  Lo spettatore può essergliene molto grato! 

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