Maid – Commento di R. Mariani e V. Condino

Maid – Commento di R. Mariani e V. Condino

23/11/21
Maid -  Commento di R. Mariani e V. Condino

Autore: Rachele Mariani e Valeria Condino

Titolo: “Maid”

Dati sulla serie: creata da Molly Smith Metzler, USA, mini serie 10 puntate, Netflix

Genere: drammatico

In occasione del 25 novembre, Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza sulle donne, “Maid”, miniserie di dieci puntate, ci offre l’opportunità di riflettere e confrontarci rispetto alle difficoltà incontrate da una donna nel chiedere aiuto in situazioni di Intimate Partner Violence (IPV)[1].

La serie mette sotto i riflettori la vita di Alex, interpretata da una incredibile Margaret Qualley, evidenziando in particolare la violenza emotiva e il ricatto economico subiti, due sfaccettature dell’IPV spesso sottovalutate. Senza retorica e con sensibile rispetto racconta come Alex, giovane madre, tenti di sopravvivere ad abusi e sopraffazioni, in un contesto disarmante, privo di una vera e propria rete di sostegno, dove vuoto e povertà riempiono lo schermo.

Ispirata al memoir autobiografico di Stephanie Land Maid: Hard work, Low Pay and a Mother’s Will to Survive, la seriesi apre con la fuga tormentata di Alex insieme alla figlia Maddy di due anni, dal compagno alcolista e violento. La giovanesi ritrova ad affrontare la vita senza un piano, un’idea, un progetto su quello che accadrà ed è inizialmente inconsapevole di quello che realmente la spinge a fuggire. La partecipazione dello spettatore è catturata dalla fragilità e contemporaneamente dalla potente energia della protagonista, che sembra aggrapparsi con unghie e denti all’idea che possa meritare di poter riscrivere per sé e la sua bambina una nuova storia.

Alex è una donna capace, estremante dotata e sensibile, con il sogno di diventare una scrittrice, progetto che naufraga quando rimane incinta e decide di tenere la bambina, nonostante l’opposizione del compagno. Questa scelta sembra lasciare il passo a una storia già scritta, frutto di ripetizioni transgenerazionali che paiono condurla nel solito vicolo cieco. Si scorge difatti una sovrapposizione tra la sua vita di e quella della madre Paula, interpretata da una brillante Andie MacDowell (madre nella realtà di Qualley). Anche lei è stata vittima di un rapporto abusante con l’ex-marito compagno, padre di Alex, e ci conduce nella nera disorganizzazione di una vita caotica e senza regole. Una madre sofferente di disturbo bipolare, a momenti delirante, che nega a se stessa e alla propria figlia la sofferenza subita.

Alex, inconsapevole di avere subito abusi psicologici da parte del compagno, impara a poco a poco a riconoscere la realtà e a nominare i suoi sentimenti, ad acquisire la coscienza necessaria per conquistare una stanza tutta per sé, per citare il saggio di Virginia Woolf.

L’incontro e la condivisione con altre donne di una casa rifugio per donne vittime di IPV è il cuore della storia, il punto di svolta. Il confronto con il femminile è il cardine dei Centri Anti Violenza (CAV), realtà di fondamentale importanza anche sul nostro territorio. “Maid”, come lo sguardo delle donne attiviste dei CAV, si concentra sul processo di rafforzamento delle donne, per riguadagnare potere e controllo su loro stesse e rispondere ai propri bisogni ed a quelli dei propri figli.

Pulendo le case altrui per guadagnarsi la libertà, Alex trova il senso della sua esistenza: rimettendo in ordine la vita degli altri, fa via via ordine nella sua e in quella delle donne che incontra, trasferendo questo principio di solidarietà. Le case diventano incontri, opportunità, possibilità di trasformarsi e di lasciare che anche gli altri si trasformino.

Purtroppo, come spesso accade in situazioni simili, Alex deve fare i conti con una realtà in cui le istituzioni sono spesso cieche e inadeguate. Il rischio di vittimizzazione secondaria è in agguato, le prassi in taluni casi denigratorie e colpevolizzanti riscontrate nelle aule di tribunale non solo vanificano le conquiste raggiunte sul piano normativo, ma alimentano diffidenza nei confronti del sistema di giustizia.

La serie offre uno sguardo veritiero che ci impone domande su cosa si possa fare di più nella nostra realtà sociale come nella nostra pratica clinica, dove spesso assistiamo ad un ripetersi degli eventi che sembra inevitabile. Il processo di cura per realizzarsi necessita di un contesto nuovo all’interno del quale la donna possa ricreare quelle funzioni psichiche che sono state danneggiate o deformate dall’esperienza traumatica. Queste funzioni includono capacità di base come fiducia, autonomia, capacità d’iniziativa, senso di competenza, identità e intimità (Guerrini Degl’Innocenti, 2013).

Questi sviluppi sono possibili a partire da una riflessione che tenga continuamente a mente le premesse storiche, culturali e simboliche entro cui leggere e dare senso a ciò che avviene nell’ambito di una violenza, motivo per cui questo processo di consapevolezza delle donne è condizione necessaria tuttavia non è sufficiente per arrivare ad una trasformazione significativa. Tale processo riguarda tanto le donne quanto gli uomini, al fine di riconoscersi, senza che ci si richiuda nel segreto delle proprie case.


[1] Secondo Home Office United Kingdom. Domestic violence and abuse. London: Home Office, (2019) è definita come «qualunque episodio di comportamento controllante, coercitivo, minaccioso, di violenza o abuso tra le persone dai 16 anni in su che sono, o sono stati, partner intimi […], indipendentemente dal genere o dall’inclinazione sessuale. L’abuso può essere psicologico, fisico, sessuale, finanziario ed emotivo»

Vedi anche:
l’articolo Relazioni pericolose: brevi note introduttive al tema della violenza di genere di Benedetta Guerrini Degl’Innocenti nel Dossier Femminicidio – Marzo 2013

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