Autore: Elisabetta Marchiori
Titolo: L’intrepido
Sezione: Orizzonti
Dati sul film: regia di Gianni Amelio, Italia, 2013, 104 min.
Genere: commedia, drammatico
‘Intrepido’, si legge sul dizionario etimologico: dal latino ‘in’, negativo, e ‘trepìdus’, tremante, timido, quindi qualcuno che non ha paura, che non si lascia distogliere dalla paura. E proprio questa è la principale caratteristica del protagonista del film di Amelio, interpretato da Albanese.
Si chiama Antonio Pane e non a caso, credo, perché non solo è intrepido, ma anche buono ‘come il pane’. Pur avendo l’ambizione di fare il maestro elementare, è costretto, ma non si lamenta, a fare ‘il rimpiazzo’, ovvero sostituire chi si assenta per un’ora, al massimo qualche giorno, di qualsiasi lavoro, purché onesto. Incoraggia e sostiene con convinzione il figlio, che vorrebbe fare il musicista, ma è preoccupato per il suo futuro. È rispettoso e non giudica la ex-moglie, benché sia legata ad un imprenditore disonesto. È disponibile, gentile e mite con chiunque incontri. Sa stare vicino alle persone sofferenti e, pur non potendo cambiare il loro destino, sa condividere il loro dolore con autenticità, le sa ascoltarle e ci sa parlare. Talvolta Antonio cade nei luoghi comuni, che però si addicono al suo personaggio, che un po’ricorda l’angelo di ‘Il cielo sopra Berlino’, di Wim Wenders.
Sullo sfondo una Milano autunnale, grigia, che rivela scorci inediti, con i vecchi tram che non esistono più.
Amelio non nega di aver costruito il film intorno al personaggio di Albanese, con cui da tempo desiderava lavorare. Il loro è un sodalizio riuscito, e forse dipende anche dal fatto che elementi delle loro vite si intrecciano e li avvicina un sentire comune. In qualche modo, entrambi sono stati due ‘intrepidi’ e nel film c’è anche la loro storia: sono stata colpita leggendo questi passaggi di interviste pubblicate su La Rubblica in giorni diversi, che riporto.
Amelio racconta di essere figlio di un autista, immigrato da solo in Argentina e tornato quando il figlio era adolescente, e di essere cresciuto con una madre che definisce ‘buona come il pane’.
Il regista dichiara: ‘era quasi un obbligo cercare altre strade…me ne sono andato e basta…il cinema per me è stata una via di fuga…a vent’anni ho avuto la sfrontatezza di fare una telefonata a Vittorio De Seta (regista e sceneggiatore) e mi ha ingaggiato…penso di aver conservato nonostante tutto un’innocenza da spettatore bambino’.
Albanese, nato a Milano da genitori operai immigrati dalla Sicilia, afferma: ‘I miei genitori si accontentavano, io invece no, avevo le mie ambizioni, sognavo e non ho ancora smesso. Forse sono buono anche io, ma anche un po’ vendicativo, se necessario. Antonio Pane invece è un puro totale, se lo feriscono gli pare che sia così la vita. Per questo lo considero, malgrado la sua dolcezza e arrendevolezza, uno forte, che non si lascia vincere dalle delusioni e dalle sconfitte, che vuole conservare la sua dignità e onestà’.
Questo film Amelio sembra svilupparsi tra il registro del mondo esterno e quello del mondo interno, riuscendo a fonderli senza confonderli. Tra metafora e realtà, tra fiaba e fatti, tra sogno e vita vissuta, momenti riusciti e altri meno convincenti (ma così è la vita), mi pare possa rimandare al bisogno/desiderio di ognuno di noi di una figura di riferimento affidabile, che sia là dove si va a cercarla, che ‘non si lasci distogliere dalla paura’, che si possa interiorizzare. Una figura paterna? Amelio forse ce la fa sognare anche troppo buona, ma ci dice anche che, prima o poi, i conti con il proprio padre e con la vita dobbiamo farli tutti. Meglio farlo da intrepidi.