Cultura e Società

Les beaux jours d’Aranjuez (I bei giorni di Aranjuez)

3/09/16

Les beaux jours d’Aranjuez (I bei giorni di Aranjuez)

Di Wim Wenders – Francia 2016

Selezione ufficiale – In concorso

Commento di Rossella Valdrè

L’atteso ritorno della coppia Wim Wenders-Peter Handke (rimasta memorabile per “Il cielo sopra Berlino”) è da sorprendere come abbia potuto trovare alloggio in concorso al Festival; forse perché, come scrive “Il Fatto quotidiano”, a chi ha “un nome” una sedia a un festival non si nega mai, poiché sono in difficoltà a trovare le parole per recensire (persino il termine è fuori luogo) un film più mal riuscito e, detto in una parola, infelicemente brutto di questo.

Tratto da una pièce teatrale di Handke (e forse unicamente adatto al teatro) l’idea poteva anche essere oniricamente ingegnosa: uno scrittore, inquieto davanti alla sua macchina da scrivere in un casale nel sud della Francia, fa parlare i suoi personaggi, un uomo e una donna seduti in giardino, di fronte a lui, dialogano sui “grandi” temi della vita: l’amore, il sesso, la bellezza, l’uomo e la donna. Ogni tanto lo scrittore si alza, sente musica, anche la musica si incarna in un musicista per poi scomparire, e la scena resta la stessa per tutto il film. Lo scrittore scrive, i due personaggi della sua fantasia – mal interpretati da attori che sembrano leziose marionette – continuano a parlare, mentre gli spettatori, quatti quatti, cominciano a lasciare la sala.

Solo il senso del dovere e il compito di scriverne per spiweb, mi ha trattenuta sulla sedia, perdippiù con inutili occhiali in 3D (che non ho mai gradito, ma qui assolutamente fuori luogo in quanto non vi è alcuna profondità da valorizzare), segno che quando un ex- genio si affida al tecnicismo, deve avere assolutamente, come si dice, perso la vena.

Credo di essere uscita a metà di un film una o due volte in vita mia, amando il cinema nel suo insieme, curiosa anche dei suoi prodotti più acerbi, più modesti o più sperimentali. Devo dire che qui, è stata dura non farlo; né mai avevo visto un tal fuggi fuggi del pubblico che evidentemente parla da sé.

“I bei giorni d’Aranjez”, paesino spagnolo che il lui maschile ricorda in questa conversazione proustiana sulle loro rimembranze, sono quelli trascorsi in un’estate passata dove non si comprende il motivo della nostalgia. Sorprende anche che il testo di un autore del calibro di Peter Handke (“La donna mancina”, “Infelictà senza desideri”) abbia potuto elaborare un dialogo così manierato, privo di anima e di ritmo, vuoto nei contenuti che vogliono essere “alti” ma non producono alcuna risonanza emotiva, né curiosità a sentirne il seguito. Non si comprende l’infelice ambientazione, in un giardinetto alla Renoir circondato da fiori, che rende il tutto ancora più stucchevole.

Nulla, spiace dirlo, è salvabile in questo film.

Drammaticamente manierata la regia, quasi caricaturale e finta la recitazione (che sia un effetto voluto? Ancora peggio…), debole il soggetto e persino il testo, che vuole sì toccare i grandi temi dell’amore, ma lo fa con una narrazione talmente noiosa e superata, manierata ed impostata, da risultare assolutamente inautentica, nessun senso drammaturgico. Pura maniera. Gioco intellettualistico mal riuscito da parte di chi sembra vivere di rendita: ai personaggi incarnati che potevano acquisire la luce di genutini personaggi interni in una sorta di teatro del sogno, è affidata quella che Lacan chiamava la ‘parola vuota’: un dire senza dire, un dire senza desiderio.

La coppia Wender-Handke è caduta nella peggiore, a mio avviso, delle trappole di chi non ha più nulla da dire: intellettualismo al posto di intelligenza, maniera al posto di stile, sentimentalismo in luogo dei sentimenti. Siamo lontani, insomma, dai primi film di Wenders (regista che ho tuttavia sempre trovato sopravvalutato) e dalla struggente bellezza di “Infelictià senza desideri” di Handke.

Se anche quale critico può averli faticosamente lodati, niente come l’uscita in massa del pubblico parla da sé.

I comici hanno spesso ragione:

  “Il cinema è composto di due cose: le sedie e lo schermo. Il problema è riempirli entrambi.”

                                                                               (Roberto Benigni)

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