Intervista con Laura Luchetti intorno alla serie “Nudes”.
Autore: Flavia Salierno
Si parla sempre più spesso di revenge porn, nella sua drammatica attualità. E anche il cinema sta fornendo il suo contributo nel denunciare quelle che sono pratiche sempre più diffuse di abuso e di violenza di genere.
Infatti, è stato assegnato l’Orso d’Oro 2021 al Festival di Berlino a “Bad Luck, Banging or Loony porn” del regista Radu Jude e alla Mostra d’Arte Cinematografica del 2020 è stato presentato il cortometraggio “Revenge Room” per la regia di Diego Botta. La serie “Nudes”, con la regia di Laura Luchetti, spinge nuovamente lo spettatore a porre l’attenzione sul tema, concentrandolo sul delicato mondo dell’adolescenza.
Ho conosciuto Laura Luchetti in occasione di una delle sue tante premiazioni per il film Fiore Gemello (del 2018), al Fano Film Festival, dove avevo l’onore di far parte della giuria. Ho sentito l’esigenza, quindi, di sentire da lei stessa, come regista, vissuti e pareri intorno a una serie che tratta un tema così presente e delicato.
Cara Laura, ci ritroviamo, dopo “Fiore Gemello”, e sono contenta di scrivere sulla tua serie , che mi ha veramente toccato, come donna e come psicoanalista. Credo che questa serie abbia una importante risonanza per il tema trattato.
Come pensi che il cinema possa o debba avere un linguaggio e un messaggio che arrivi agli adolescenti? Il tema trattato è molto complesso, come pensi debba essere adattato agli adolescenti?
Non credo ci sia una ricetta e non sono nessuno per averne una. Penso, però, che il cinema possa essere vicino agli adolescenti nella stessa misura in cui gli adulti devono essere loro vicini. Cioè in ascolto. Molto da vicino. Credo sia un’età bellissima e complicata e l’unica maniera per tentare di mettersi in ascolto è molto vicino a loro, mai da un punto di vista troppo lontano, o troppo alto. Ma cercando di mettere le mani nella nella mischia. Almeno io ho fatto così.
Tecnicamente, come come ti sei organizzata proprio rispetto a questo?
Stando con la cinepresa sempre addosso, sulla loro pelle, sul loro sudore, le loro espressioni, la loro fisicità. Per cercare di rubare loro lo sguardo. Di vedere attraverso il loro sguardo. È un’età che amo molto, e i ragazzi mi hanno dato tanto. Hanno permesso che io potessi rivolgermi a loro con uno sguardo da dentro. Anche i provini, non li ho fatti sulle battute, ma sulla interazione che si veniva a creare tra noi. Da questo capisco se possiamo lavorare insieme. Quindi all’inizio abbiamo dei momenti in cui ho cercato di suscitare emozioni intense.
La serie tocca il delicato tema dell’uso del corpo in adolescenza, come lo hai trattato?
Ho cercato di trattarlo con grande rispetto e grande amore nei loro confronti. Nei confronti del loro corpo e dei loro sentimenti. La sessualità a quell’età è meravigliosa, fatta di scoperta, di pudori, o totale incoscienza. Quindi ho cercato di stare loro sempre vicina e mai di spiarli, ma di vivere le loro cose. Non credo di aver fatto un lavoro voyeristico, non è nella mia indole. Sono stata loro molto addosso. Penso sia una sessualità che va molto rispettata, ma anche molto amata, perché è anche un momento bello della vita. Tutti noi l’abbiamo vissuta. E possiamo riviverla attraverso di loro. Faccio un lavoro molto istintivo, non ho studiato cinema, lo dico sempre. Quindi non lo so “come si fa”, non ho un formulario.
Abbiamo parlato di adolescenza ma il revenge porn è molto presente, ovviamente, anche tra gli adulti. Una serie sullo stesso tema ma riguardante gli adulti, come lo riadatteresti?
Questa è una grande domanda, il mio istinto mi dice che sarei stata sulla spalla degli adulti, in silenzio, a cercare di capire le dinamiche di affidamento nei confronti della persona a cui mandi delle immagini, e qual è il tassello che manca nell’educazione ai sentimenti della persona che si appropria di una cosa che non gli appartiene, e la divulga. Forse perché non sa gestire una serie di emozioni. Queste persone non sono educate alla rabbia, all’amore non corrisposto, alla gelosia. Mi piacerebbe proprio essere in silenzio, sia dalla parte della vittima che del carnefice, a studiare quali possano essere le motivazioni delle dinamiche di fiducia e tradimento della stessa.
Tornando alla tua serie, per come l’hai impostata riguardo agli adolescenti, consiglieresti di guardarla insieme, genitori e figli?
Penso sia utile vederla anche per le famiglie. Certo, possono esserci momenti di imbarazzo. Magari un’adolescente vuole vedere certe cose da solo o da sola. Era un sogno mio e del produttore fornire la possibilità ai genitori di imbattersi in una problematica che non conosceva ancora, in modo da poterla capire. La visione della serie può far riflettere un genitore su eventuali comportamenti dei figli, che a volte si riconoscono, ma spesso no. Magari guardiamo certi “sintomi”, che sono relativi a una problematica, ma che non consideriamo perché non la conosciamo. Il nostro mestiere è quello che di mettere la luce su un problema, non abbiamo le soluzioni. Capire per un genitore che può esserci qualcosa “fuori”, che può essere la causa di questi sintomi, non può non fare bene. Una volta feci un corso sugli effetti digitali. L’insegnante ci disse: “Se voi non conoscete cosa potete fare con queste macchine, come potreste scrivere o descrivere degli effetti speciali in una sceneggiatura”? Se io non so che mio figlio ha ricevuto o inviato un video e viene a casa turbato, come faccio io genitore ad interpretarlo?
Mi aggancio a questo per chiederti, quanto ha influito il fatto che tu sia madre nell’approcciarti a questa tematica?
Tantissimo. La mia “spia” interna è stata mia figlia. Avevo il nemico, o l’amico, in casa. Quando mi hanno offerto il lavoro, ho parlato con lei. Mi ha risposto che era sicuramente una cosa da fare. Per la presenza di questo problema tra adolescenti. Anche la foto di questi ragazzi, è una foto immaginaria quando guardo furi dalla scuola di mia figlia. La facilità o difficoltà nell’approccio, gli orientamenti sessuali, l’uso smodato del telefono. Io ho fatto una foto, e avere una adolescente in casa e tanti adolescenti che vanno e vengono mi sono stati di tantissimo aiuto.
Nella caratterizzazione dei personaggi di che cosa hai tenuto conto per quelli maschili e femminili?
Innanzitutto ho tenuto presente il format originale, quello norvegese. Statisticamente il numero delle donne vittime è molto più alto, quindi ci siamo concentrati mantenendo una base meramente statistica. Anche l’originale norvegese ha dovuto fare delle scelte. Vittorio è un carnefice, ma anche lui è vittima, perché gli è mancata l’educazione sentimentale. Ha sentimenti come la rabbia, la gelosia, il mancato successo con la ragazza che desiderava. O Ada, che cade in quella mostruosità che è la competizione con le amiche, e fa cose inaspettate. Non c’è il bianco e il nero. E spero che i ragazzi possano rivedersi perché non abbiamo usato il tutto buono o il tutto cattivo.
Hai dovuto appunto riadattare il telefilm norvegese alla nostra cultura. In che cosa l’hai cambiato? Che cosa, cioè, hai sentito di dover modificare?
Nell’adattamento italiano gli sceneggiatori hanno puntato il fuoco sulle relazioni, che sono molto importanti, sul gruppo, Cioè sul gruppo degli amici, sul clan. Io quello che ho fatto è aver lavorato molto sulla sensualità nell’adolescenza, sulla passionalità. Nella serie norvegese c’era la middle class, senza scene di sesso. Io invece ho voluto lavorare su una cosa molto specifica, che è la sensualità, e la sessualità. E tutto ciò che si nomina, va visto. Credo quindi che ne sia venuta fuori una visione moto veritiera. Ci sono i corpi, c’è l’amore, la sessualità. Mi hanno dato fiducia e me lo hanno lasciato fare. Del resto, quella è una parte fondamentale dell’adolescenza.
Maggio 2021