Interruption
Yorgos Zois, Grecia, Francia, Croazia, 109′
Sezione Orizzonti
Commento di Elisabetta Marchiori
Diretto dal regista greco Yorgos Zois, Interruption è un film che evoca la condizione psichica che ci possiamo trovare a vivere quando si è coinvolti collettivamente in un evento estremo e inatteso, dall’attacco terroristico agli scontri di piazza, ai morti annegati in mare, fino alle catastrofi naturali.
Un’analoga condizione traumatica, in misura contenuta, può essere sperimentata in una sala cinematografica, come sembra accadere durante la visione di questo film. Recenti ricerche in ambito neurobiologico hanno dimostrato che queste condizioni hanno lo stesso fondamento della psicosi, quando ogni minimo elemento di realtà assume una rilevanza eccezionale, a volte persecutoria, a volte di rivelazione. La catastrofe psichica appare comunque imminente, qualsiasi ne sia il substrato biologico, domina il senso di iperrealtà.
Sin dal suo incipit la narrazione filmica perturbante, spiazzante e nello stesso tempo familiare, interrompe bruscamente le modalità del processo primario del pensiero e le costringe a quelle del secondario. Entrando nella dimensione del sogno, tuttavia, lo scarto percepito a tratti con la costanza di alcuni elementi di realtà costringe lo spettatore a mantenere uno stato di divisione (più che dissociazione) interna.
Zois si è ispirato alla drammatica “interruzione” di uno spettacolo in scena al teatro Dubrovka di Mosca il 23 ottobre 2002, quando un gruppo di ceceni armati preso in ostaggio gli ottocentocinquanta spettatori presenti in sala. Il bilancio fu terribile, con l’irruzione delle forze speciali russe: più di centosessanta morti, di cui centotrenta civili, i più a causa del gas usato dai militari.
Il film è interamente girato dentro un teatro di Atene ai nostri giorni. Stiamo assistendo ad un adattamento post-moderno de l’Orestea di Eschilo, con la novità che sarà il pubblico a giudicare della colpevolezza di Oreste.
Dopo un breve black out, riaccese le luci, gli attori “originali” si trovano chiusi in un cubo di vetro trasparente e la scena viene occupata da giovani vestiti di nero e armati che si presenta come “il coro”, che guiderà lo spettacolo. Il nuovo “regista”, di una bellezza disarmante e di una seduttività irresistibile, invita alcuni spettatori a fare parte del nuovo spettacolo. Chi accetta è ignaro che non si tratta più di finzione, ma di realtà. I componenti del nuovo cast improvvisato e improbabile non comprendono subito che si sta consumando una vera tragedia, così come gli spettatori (sia nella sala del cinema, sia nel teatro del film). Io ho avuto alla fine “la rivelazione” mentre, durante la visione, la sensazione più forte era di perplessità e spaesamento. Il senso di disagio e la tensione, con ritmo serrato e angoscioso, aumentano tra gli attori improvvisati, la curiosità e la partecipazione si trasformano in ansia e via via in spavento e poi terrore. Lo si vede dagli sguardi sempre più angosciati. Dal pubblico del teatro (mi trovo a dover sempre specificare!), che in parte scompare misteriosamente (rievoca le vittime dell’attentato?), che non può o non vuole capire, arrivano applausi incongrui. Lo spettatore del film diventa, come i protagonisti della finzione, in un sapiente gioco di riflessi e rispecchiamenti, contemporaneamente spettatore e attore della messa in scena teatrale, intrappolato in una rete di identificazioni incrociate. La camera inquadra alternativamente il pubblico e la scena: mi sono accorta che potevo vedermi lì seduta davanti a me, la sala del cinema incredibilmente simile a quella del teatro proiettato sullo schermo, istintivamente mi sono scoperta voltarmi quasi a verificare di non essere “altrove”, dentro al film stesso.
Il regista ha così presentato la sua opera: “Interruption è una storia che si svolge all’interno di un teatro. Interruption è un film sull’atto del vedere. Durante i primi minuti dell’attacco, il pubblico, ammaliato dall’ambivalenza del momento, pensa che tutto ciò faccia parte dello spettacolo. In questi attimi cruciali, finzione e realtà, verità e menzogna, logica e assurdità si mescolano. Il film è un ampliamento di questi primi minuti di ambiguità“.
Non c’è catarsi, in questa tragedia della realtà, in questa finzione che ci sbatte in faccia la nostra limitatezza nel comprendere le tragedie che si consumano sotto i nostri occhi ogni giorno, che tentiamo di non vedere, ma interrompono violentemente la nostra capacità di pensare.
Il verdetto finale sembra essere lasciato a chi non ha capito. Anche il limite tra colpevolezza e innocenza è interrotto.
8 settembre 2015