Autore: Anna Cordioli
Titolo: “Hollywood”
Dati sulla serie: creata da Ryan Murphy e Ian Brennan, USA, 2020, Netflix
Genere: drammatico
Negli ultimi anni, il genere distopico si è imposto tanto nella letteratura quanto nelle produzioni filmiche. La parola “distopia” significa etimologicamente “luogo cattivo” e viene usata per quei racconti che immaginano mondi oscuri e disgraziati in cui, ad un certo punto, trionfa il male. Ci sarebbe molto da riflettere sul fatto che in questa parte di secolo ci sia così tanto bisogno di prepararsi al peggio… Forse proprio per il grande successo di questo genere filmico, mi ha fatto ancor più riflettere l’apparizione su Netflix di una miniserie di segno totalmente opposto: “Hollywood”. La storia si svolge nella Los Angeles del 1947, all’ombra degli studios cinematografici e prende le mosse da persone realmente esistite mescolate con personaggi di finzione. Al centro delle vicende c’è l’immaginaria produzione di un film sulla tragica morte di Peg Entwistle, starlette che si lanciò dalla monumentale insegna di Hollywood. Questo intenso script viene proposto da uno sconosciuto sceneggiatore omosessuale e di colore, pertanto, a causa del codice Hays, che discriminò le minoranze nel cinema dal 1930 al 1967, il film viene osteggiato. E qui nella narrazione si introduce un “what if”: come sarebbero andate le cose se, attraverso una serie intrecci, alcuni attori, sceneggiatori e produttori fossero stati in grado di infrangere il codice Hays? Ed è da questo vertice, da questa domanda “come sarebbe il mondo se” che “Hollywood” smette di essere una favola e diviene qualcosa di più ambizioso: una “eutopia” (passatemi il neologismo), ovvero una storia che si svolge in un mondo parallelo ma, per una volta, luminoso e inclusivo.
Se può avere un valore appassionarsi alle distopie – come “I racconti dell’ancella” di Margaret Atwood (1985) e “La svastica sul sole” di Philip Dick (1962) – perché non dovrebbe averne altrettanto immaginare cosa sarebbe successo se la società americana fosse stata in grado di riconoscere pari diritti a tutti i suoi cittadini già nel 1948?
Questa “Hollywood” è veramente la Dreamland in cui tutto è possibile, forse fin troppo. In rete non sono mancate le perplessità: in particolare si è discusso il poco spazio lasciato alle reali fatiche e ai dolorosi sforzi patiti dalle minoranze per avere davvero il riconoscimento dei loro diritti, ma non è questo il registro in cui si muovono i bravissimi sceneggiatori Murphy e Brennan. Ciò nonostante il loro impegno per una maggiore inclusività sociale va avanti da quindici anni e si è articolato in decine di produzioni, creando un vera e propria poetica di lotta a favore delle minoranze. Un altro tema centrale è la rappresentazione di scene di sessualità meno ritratte nel cinema: in “Hollywood” c’è spazio per infinite sfumature della sessualità.
E qui si possono citare le parole di Freud del 1898 in “La sessualità nell’etiologia delle nevrosi”: “È nell’interesse di noi tutti che un maggior grado di onestà riguardo le cose sessuali divenga un dovere per gli uomini e per le donne. In materia di sessualità oggi noi, uno per uno, siamo, malati o sani, nient’altro che degli ipocriti. Sarebbe un bene per tutti noi se, come risultato di tale onestà generale, venisse raggiunto un certo grado di tolleranza nelle cose sessuali.”
Riferimenti bibliografici
Freud, S. (1898), La sessualità nell’etiologia delle nevrosi, O.S.F, 2, Bollati Borighieri, 1979.
Maggio 2020