EUROPEAN PSYCHOANALYTIC FILM FESTIVAL (EPFF7)
“SECRETS”
LONDRA, 31/10-3/11/2013
di Massimo De Mari
Record di presenze per l’European Psychoanalytic Film Festival di Londra, giunto quest’anno alla sua settima edizione (EPFF7).
Trecentocinquanta delegati da più di venti nazioni europee ed extraeuropee sono il segno di un successo ormai consolidato della manifestazione, organizzata dal 2001 con cadenza biennale, da Andrea Sabbadini, sotto l’egida del British Psychoanalytic Institute.
La prestigiosa sede del BAFTA, l’associazione che premia le migliori opere in campo cinematografico e televisivo in Gran Bretagna, è stata dunque al top della capienza nei quattro giorni di proiezioni e dibattiti dell’EPFF7 che, quest’anno, aveva come titolo “Secrets”.
Dopo l’introduzione di Nick Temple (presidente della British Psychoanalytical Society) e di Andrea Sabbadini il tema del festival è stato introdotto dal cortometraggio “Colloque de Chiens” (Conversations among dogs) del 1977, di Raoul Ruiz, regista cileno scomparso due anni fa, trapiantato in Francia dopo la caduta di Allende. Poco conosciuto nell’ambito del cinema commerciale ma, secondo la definizione della moglie, Valeria Sarmiento, un vero “bulimico” nel produrre film, circa centoventi, prevalentemente di tipo sperimentale. Ruiz è l’autore de “I misteri di Lisbona”, lungometraggio uscito nelle sale nel 2010, poco prima della morte, considerato il suo capolavoro.
La storia di “Conversazioni tra cani” è tratta da una novella di Cervantes in cui un gruppo di cani di periferia “parlano” tra loro della vita dei loro padroni. I cani in realtà non parlano, ma sono gli spettatori abbaianti che fanno da contrappunto alla vita di un gruppo di personaggi avvolti in una catena di segreti che, come in una family novel, si trasmettono in modo transgenerazionale, creando un circolo vizioso che trascina i protagonisti in una coazione ripetitiva.
Il giorno dopo lo psicoanalista Kannan Navartatnem, il critico cinematografico Peter Evans e la scrittrice anglo-canadese Lisa Appignanesi hanno dibattuto sul tema del segreto, parola di origine latina che ha il significato di “separare”: i segreti sono fatti o realtà che sono consapevolmente o inconsapevolmente nascosti sia agli altri sia a noi stessi.
C’è un lungo elenco di possibili segreti espressi dalla cinematografia, da quelli di stato e militari, a quelli corporativi, di famiglia, dell’infanzia, a quelli tra amanti e persone care, fino a quelli legati alla colpa, all’omicidio o all’incesto.
Un altro esempio, come ha sottolineato Navartatnem, sono i segreti “aperti”, cioè quei fatti o realtà generalmente conosciute, ma che nessuna delle persone più intimamente implicate è disposta ad accettare.
Il primo film in programma, il bellissimo “Atmen” (Breathing) di Karl Marcovics (Austria, 2011) ha subito catturato l’attenzione sul tema con una storia densa, asciutta e ricca di spunti di riflessione. Il protagonista, Roman, svolge un percorso riabilitativo in un riformatorio per l’omicidio di un coetaneo che, durante una zuffa, gli aveva stretto il collo, l’ultimo di una serie di eventi traumatici che hanno caratterizzato la sua vita fin dall’infanzia.
Il suo è un percorso psicologico, come ha sottolineato Don Campbell nella sua presentazione, che gli permette di elaborare i propri vissuti traumatici e ricostruire l’origine della sua paura di rimanere senza fiato. Roman trova lavoro in un’agenzia di pompe funebri e questo gli consente, attraverso il confronto quotidiano con la morte, di elaborare gradualmente i vissuti legati all’omicidio.
Riesce, allora, a rintracciare la madre che lo aveva abbandonato da piccolo e viene così a sapere che lo aveva dato in adozione per salvargli la vita perché, incapace di sopportare i suoi pianti: era già accaduto che, per farlo stare zitto, lo aveva quasi ucciso, tentando di soffocarlo con un cuscino.
Il secondo film della giornata, lo svedese “Beyond” di Pernilla August, è la storia, meno originale ma certamente ben fatta, di una figlia che rievoca sul letto di morte della madre la sua infanzia, segnata dalle ambivalenze e dagli scontri quotidiani tra i genitori, ambedue alcolisti.
Il clou della prima giornata è stata la proiezione dell’ultimo film di Bernardo Bertolucci, “Io e te”, a cui è seguito l’incontro, emozionante e intenso, con il regista settantaduenne, ormai costretto in sedia a rotelle da gravi problemi alla colonna vertebrale.
Bertolucci è stato vivace e generoso sia nel raccontare aneddoti tratti dalla sua vita personale e dalla sua lunga carriera cinematografica, sia nello svelare alcuni segreti di “Io e te”, primo film che ha girato da quando non è più in grado di camminare e che per questo risente di un “punto di vista” del tutto diverso dai film precedenti.
Veniamo a sapere così che Lorenzo, l’adolescente protagonista del film, è di per sé “un segreto”, perché non si sa quello che pensa e la cantina dove si rifugia è la “casa dell’inconscio”, in mezzo a tanti edifici anonimi, dove può effettuare una specie di rito di passaggio, che diventa una “terapia a due” quando incontra la sorellastra Olivia.
Alla fine del film la “cantina-inconscio”, inizialmente sporca e disordinata, attraverso il lavoro di rielaborazione dei rispettivi traumi dei due giovani protagonisti, diventa quasi una “suite”.
Bertolucci ha rivelato che la scena finale è una citazione in omaggio a Godard e che l’idea di far portare a Lorenzo la scatola con un formicaio nella cantina non è stata sua, ma della moglie, nata durante una conversazione serale.
Qualcuno gli ha chiesto perché nel film Lorenzo sogni suo padre nelle vesti dello psicoterapeuta e Bertolucci ha sorpreso tutti, ancora una volta, rispondendo che la scelta è stata assolutamente “casuale”, frutto di quello stato di “reverie” con cui è solito girare i film.
Il giorno in cui è stata girata quella scena, infatti, l’unica persona disponibile sul set era quell’attore ma, ha osservato Bertolucci, quando certe scelte sono motivate dal caso c’è sempre l’inconscio che fa capolino dietro quella porta che, come teorizzava Jean Renoir, deve sempre rimanere aperta sul set perché “qualcuno potrebbe entrare” e far sì che la storia, pensata da regista e sceneggiatore, possa prendere strade imprevedibili anche per gli stessi autori.
Così anche il finale del film è un happy ending rispetto al libro di Ammaniti da cui è tratto, in cui Olivia muore, perché Bertolucci, dopo aver visto insieme i due protagonisti, non se l’è sentita di “ucciderla”.
La seconda giornata è stata catalizzata dal film francese “Augustine” di Alice Winocour, un’interessante ricostruzione del clima che si viveva nell’epoca pre-psicoanalitica nell’ospedale Salpetrière di Parigi, dove Charcot conduceva le sue osservazioni sulle pazienti isteriche che tanto affascinarono anche Freud. Augustine, personaggio romanzato che, in qualche modo, rappresenta il prototipo di quel tipo di paziente, finisce per sedurre lo stesso Charcot perché alla fine, nelle parole della Winocour: “Questa è la storia di una ragazza che si accorge di avere un cervello e di un uomo che si accorge di avere un corpo”.
Il bosniaco “Halimin put” (Halima’s path) di Arsen Anton Ostojic, e l’ungherese “Bizalom” (Confidence) di Istvan Szabo, indagano in modo crudo e drammatico i terribili segreti e i traumi irrisolti che ogni guerra porta con sé.
Il primo film racconta la storia vera di una contadina travolta dalle drammatiche vicende della guerra bosniaca, emblema di tutte quelle donne costrette a subire violenze e abusi e a diventare madri dei figli dei loro torturatori.
Il secondo racconta i giorni della persecuzione nazista a Budapest, nell’ottica molto particolare di due persone che s’incontrano casualmente e sono costrette a fingersi marito e moglie e a contare sulla fiducia reciproca, per non tradirsi.
C’era grande attesa per “l’evento segreto” della manifestazione di cui proprio nessuno, eccetto il gruppo ristretto degli organizzatori, ha saputo nulla fino all’ultimo.
La sorpresa è stata l’incontro con un altro grande regista, il britannico Mike Leigh, autore di “Vera Drake” e “Secrets & lies”, che ha permesso ai partecipanti del Festival di conoscere alcuni dei segreti di lavorazione dei suoi film e la sua concezione del cinema, per molti versi simile a quella di Bertolucci, spesso citato.
In particolare Leigh ha parlato a lungo del suo modo di lavorare con gli attori, creando uno spazio all’interno del quale possano svilupparsi dinamiche in cui ci sia la possibilità di improvvisare, che diventano più importanti della storia, che gli attori conoscono solo in parte. “È la curiosità in relazione ai segreti che mi ha spinto a fare il regista”, ha sottolineato Leigh, i cui obiettivo è di realizzare dei film insaturi che lascino spazio ad una riflessione. “Ma io non sono come uno psicoanalista – ha concluso – anch’io lavoro con la vita in tutti i suoi aspetti ma, quando giro un film, io so come va a finire la storia, l’analista no”.
A completare il programma della manifestazione due piccoli film, l’estone “Disco & the atomic war” di Jaak Kilmi e il croato “Family meal”, della giovane e coraggiosa regista Dana Budisavljevic.
Divertente ed estroso il primo, che ha rappresentato il modo in cui la resistenza finlandese si opponeva alle tendenze egemoniche del vicino sovietico negli anni della guerra fredda, attraverso programmi televisivi vietati nei paesi del blocco sovietico, da cui però potevano essere visti, con un effetto potenzialmente eversivo, come il serial ultra-capitalistico “Dallas”, l’erotico “Emmanuelle” o i concerti rock.
La sorpresa di tutta la rassegna è stata senz’altro, a mio avviso, “Family meal”, film in cui protagonisti e interpreti sono i componenti della famiglia della regista, girato con una telecamera e un operatore che ha ripreso i diversi momenti conviviali in cui Dana si trova con padre, madre e fratello. Il tema delle loro conversazioni è l’omosessualità di Dana e del fratello, “segreto” di cui da tempo i genitori sono a conoscenza e ormai condiviso da tutti.
Ne emerge, grazie alla personalità ricca ed emotivamente intensa di tutti i componenti del nucleo familiare, una terapia di gruppo sincera, affettuosa, caratterizzata dal desiderio di capire, approfondire una non facile realtà, riuscendo a mettere in discussione i propri principi e riuscendo così a superare i propri limiti mentali.
Corollario della manifestazione sono stati altri eventi tradizionali, oltre agli interessantissimi panels paralleli, come la proiezione di un classico della cinematografia britannica, in questo caso “Third secret” di Charles Chricton, affascinante film in bianco e nero del 1964 e la sessione plenaria domenicale, in cui le fila di un week-end intenso sono state tirate da Sabbadini e dal critico Ian Christie. Christie ha raccontato altri aneddoti e storie “segrete” di film e registi con i conseguenti imprevedibili risvolti, citando la famosa battuta di Peter Ustinov che si chiedeva: “Cosa faccio se un cane attraversa il set davanti alla macchina da presa, lo tengo o no ?“.
Prima dei saluti finali c’è stato ancora il tempo per vedere due cortometraggi sperimentali del 1929 del regista Hans Richter, della stessa epoca del più conosciuto Georg Wilhelm Pabst, che aveva acquistato fama nel 1926 con “I misteri di un’anima”.
Nei due corti, una vera chicca per gli appassionati, commentati dal critico Andrew Webber, i segreti sono rappresentati dai primi effetti speciali, a rappresentare il perturbante psichico, con riferimenti a il “Gabinetto del dr. Caligari” di Robert Wiene del 1920.
Visitando il sito www.couchandscreen.org si possono vedere video e foto.
Per quanto alla fine Sabbadini, un po’ per scaramanzia, abbia dato solo per probabile una prossima edizione, qualche giorno fa è stata confermata la notizia: l’EPFF8 si farà. Appuntamento quindi a Londra nel 2015, dal 29 al 1 novembre!
Gennaio 2014
We would like to invite you to visit www.couchandscreen.org and click on epff7 where you will find a video and many wonderful photographs of our recent festival.
Also, to let you know that the dates for epff8 are 29 October to 1 November 2015.
With best wishes.
Andrea Sabbadini