Cultura e Società

En Therapie – Commento di P. Ferri

16/04/21
En Therapie - Commento di P. Ferri

Autore: Paola Ferri

Titolo: En Therapie

Dati sulla serie: creata da Eric Toledano e Olivier Nakache 2021, Canale Arte, Francia, Prima Stagione, 35 episodi 25’

Genere: commedia

 

 

 

 

 

Volentieri commento il libero adattamento di una serie da noi  conosciuta nelle sue edizioni americana e in seguito italiana (“In Treatment”), già recensite su questo sito a cura di Roberto Goisis. Si tratta di “EnTherapie”, trasmessa sul canale francese Arte a partire dal febbraio 2021.

Dopo sei settimane di diffusione, è divenuta la serie televisiva più vista trasmessa da questo canale, considerato molto ricercato e intellettualmente vivace in Francia.

È ambientata nel periodo appena successivo alla strage del Bataclan, a Parigi, nel novembre 2015, e lo psicoanalista Philippe Dayan (interpretato da Frederic Pierrot), segue nel suo studio, adiacente l’appartamento di famiglia dove vive con moglie e tre figli, quattro tipologie di pazienti nei primi quattro giorni della settimana. Il quinto giorno, il venerdì, va lui dalla sua supervisora Esther (una sempre magnifica Carole Bouquet).

, che potremmo forse definire mentore, amica, e collega a conoscenza di buona parte della sua vita privata.

Il lunedì vede Ariane, giovane chirurga, il martedì Adel, poliziotto di origini algerine che è intervenuto nel massacro del Bataclan, il mercoledì Camille, adolescente sportiva di alto livello vittima di un incidente in bicicletta per cui si sospetta un intento suicidario, il giovedì Léonora et Damien, una coppia in crisi, e il venerdì Esther, che è amica e vedova del suo vecchio mentore.

L’ambientazione di interni quindi è simile a quella della serie americana, ma la collocazione temporale è molto particolare, e il particolare stile cinematografico francese riecheggia per quanto riguarda atmosfere, battute, doppi sensi, ambiguità ed esprit.

Si sente da subito un’atmosfera leggermente ambigue, come direbbero i nostri cugini d’oltralpe, che è però tipica della loro cinematografia, e letteratura e cultura.

 

Il Dottor Dayan è in crisi anche personale, e il trauma della strage del Bataclan, in cui sono morte più di cento persone, si inserisce nelle storie dei pazienti e dell’analista medesimo: é un trauma collettivo, che si registra nelle menti e che fa da sottofondo mortifero a tutte le sedute. Rappresenta un monito rispetto al senso di distruttività che pervade la nostra epoca, che può portare a una dissoluzione collettiva. Ne sarà eco la pandemia che seguirà qualche anno dopo, a testimoniare il compromesso rapporto tra uomo e natura, tra civiltà e istinto primitivo, tra elaborazione sofisticata e pulsione primordiale.

Così viene in buona sostanza descritto il conflitto all’interno della serie, che credo si sia avvalsa di supervisione lacaniana, con esplicito riferimento al Freud del “Disagio nella civiltà” (1929), in un confessato dilemma tra il sofisticato pensiero che sottende la pratica psicoanalitica e lo spirito distruttivo che pervade i tempi e le menti dei pazienti di Philippe. Come egli stesso denuncia a Esther, è in crisi di mezza età, oltre che essere sconvolto da quanto accaduto a Parigi, e con un matrimonio in crisi, forse a causa dell’eccesso di indipendenza ed emancipazione della moglie docente in una università di Strasburgo, e quindi spesso assente da casa. Ha inoltre tre figli ormai cresciuti, adolescenti scontrosi che gli rimproverano il suo averli trascurati per la professione; salvo ora proiettare questi aspetti di sé sulla moglie finalmente divenuta più libera e consapevole.

All’interno di questa crisi, non poteva che diventare fatale l’incontro con Ariane, giovane chirurga dall’affettività instabile, fragile/forte donna contemporanea, che lo seduce ed è da lui sedotta, vivendolo come mentore e riferimento assoluto nella relazione transferale. Philippe alla fine si scoprirà coinvolto e tormentato, sul punto di agire una particolare forma di innamoramento, come sappiamo essere quella che si può creare nella stanza di analisi. Non lo farà, trattenuto dall’etica professionale, ma forse anche dalla mancanza di coraggio, che sembra essere così tipica di molti uomini moderni, attratti e terrificati dalla nuova possibile potenza femminile.

La particolarità rispetto alla serie americana, che avevo visto a suo tempo, è che qui il rapporto tra i due appare molto più tormentato, raffinato e oscuro. Forse è velato da una certa maggior perversità, da un compiacimento per le proprie capacità intellettuali, e una consapevolezza molto intellettualistica della impossibilità di agire, ma sembra essere proprio questo il suo maggior fascino.

Intendo dire che c’è un costante richiamo nella serie, alla cultura francese (e quindi europea), nel termini di tormento esistenziale, di non definibilità delle circostanze a meno di non rischiare di banalizzarle, di bisogno di trasgressione e necessità al contempo di controllare le proprie pulsioni, perché inadeguate, perché primitive, perché pericolose.

I pazienti di Philippe delineano il toro tormento nei termini della impossibilità di agirlo, nei termini di una distanza, un’assenza, uno iato tra le loro parole e i loro atti. Non conosco abbastanza Lacan per capire se ci sia una precisa influenza in questo senso, ma abbastanza la psicoanalisi francese per sapere che questo autore e personaggio tormentato e istrionico ne ha influenzato la storia, nonostante una scissione dalla Società di psicoanalisi. Credo anche i lacaniani siano molto più attenti all’analisi del testo e del linguaggio presente nella la coppia analitica, rispetto all’analisi delle dinamiche transferali e contro transferali.

Tutti i pazienti di Philippe si dibattono nella relazione con lui, lo accusano di essere troppo pretenzioso e borghese, intellettuale e bobò come direbbero i parigini (bohémien bourgeois) lontano dalla realtà, ma sono a lui attaccatissimi, non interrompono la terapia e sono grati per aver loro permesso di portare alla luce tanta sofferenza.

Adel è un poliziotto di ordine algerine che in un certo senso resta incastrato nel triangolo tra il dottore, lui e Ariane, essendo rimasto colpito dalla bellezza ed emancipazione di lei, incrociata alla fine di una seduta: modello però forse troppo distante dalle sue possibilità e veicolo di un transfert laterale altrimenti destinato al dottore, in un gioco pesante di proiezioni e identificazioni incrociate, che solo in parte Philippe riuscirà a dipanare. Philippe cercherà di riportare la natura dell’attaccamento da parte di entrambi alla sua persona, in quanto terapeuta, e alla sua stessa, infine confessata ad Ariane ed Esther, fragilità.

Camille è il prototipo di adolescente che credo abbiamo noi psicoanalisti di bambini e  adolescenti sovente avvicinato nei nostri studi: fragile e forte al tempo stesso, disperata e sola, all’interno di un conflitto con figure parentali inadeguate, qui espresse essenzialmente nella forma del padre. In stile tradizionalmente freudiano, Philippe la aiuta a ricostruire la sua storia e il conflitto edipico con un padre non accudente e prevaricante, la natura delle sue relazioni con uomini più adulti, come sfida e spostamento rispetto alla figura paterna dei suoi istinti aggressivi e distruttivi, e la sua impossibilità di riconoscere la rabbia, che si ritorcerà contro di lei, in un agito suicidario clamoroso.

La coppia di Leonora e Damien è innamoratissima ma eternamente conflittuale, e ognuno è veicolo di rabbie non esprimibili rispetto alla propria storia familiare e a genitori sottovalutanti e psichicamente maltrattanti. Siamo di fronte a una impossibilità di pensiero che li obbligherà a separarsi nonostante l’amore, per ritrovare un’identità individuale perduta o mai posseduta, necessaria premessa di qualsiasi legame.

Tutte le sedute sono permeate di spirito drammatico e malinconico, nel sottofondo del trauma collettivo, in una sempre più difficile dotazione di senso agli avvenimenti della nostra vita, nel tentativo di salvare innocenza e onestà, anche quelle terapeutiche, sia per parte dell’analista che per parte dei suoi pazienti. Parlo con il noi perché credo il problema riguardi noi tutti e l’attuale stato dell’umanità; e nel rendere questo senso di disfacimento collettivo, questa decadenza valoriale ed esistenziale, la serie nella versione francese mi sembra superiore a quella americana.

 

Anche il rapporto con Esther, la supervisora è piuttosto particolare. Noi non abbiamo una figura simile nella nostra pratica clinica. Di solito non si hanno rapporti così intensi e personali con i supervisori: un misto di figura terapeutica, supervisore e mentore. La loro relazione è però delineata in maniera interessante: c’è stima confidenza rabbia per antichi dissapori irrisolti sia sul piano professionale che personale, ma lei gli sarà di aiuto per dipanare il faticoso rapporto con Ariane.

Inoltre il fatto che Esther sia interpretata da Carol Bouquet, la rende intrigante e misteriosa, molto più della sua versione americana.

 

Consiglio la visione di questa serie, almeno nella prima stagione, non appena sarà disponibile su uno dei portali ricorrenti in questi tempi difficili, o direttamente facilmente reperibile in francese. Non è grandiosa, ma fa pensare.

 

 

Riferimenti bibliografici

Freud, S. (1929), Il disagio della civiltà, O.S.F., Vol. 10, Boringhieri, Torino, 1978.

 

Aprile 2021

 

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