Dal XX Congresso della SPI Oltre Narciso e le solitudini: quale sogno per il futuro? gli eventi a cura del gruppo “Cinema e psicoanalisi”: “La solitudine della maternità. Riflessioni a partire dal film “Quando la notte” con Cristina Comencini e proiezione del film “Il buco in testa” con Antonio Capuano.
Report di Elisabetta Marchiori
Durante il XX Congresso della SPI si sono susseguiti il 27 maggio due eventi curati dal “Gruppo Cinema e Psicoanalisi” della SPI di cui l’attuale Esecutivo si è fatto promotore in tempi recenti e ha come referenti Sergio Anastasia, Fabio Castriota, Simonetta Diena, Elisabetta Marchiori e Rossella Valdrè.
Nel tardo pomeriggio si è svolto il panel “La solitudine della maternità. Riflessioni a partire dal film “Quando la notte“, durante il quale Cristina Comencini ha affrontato questo tema sempre attuale e scottante, proposto attraverso una discussione che ha coinvolto non solo me e Rossella Valdè, ma anche un pubblico numeroso, molto interessato e partecipe.
Cristina Comencini è una regista e scrittrice italiana di fama internazionale, che ha una grande familiarità con la psicoanalisi e che, attraverso il linguaggio cinematografico e narrativo, ha contribuito a darne diffusione, tanto che lo scorso anno la SPI le ha conferito il “Premio Musatti”. Lo ha meritato, più specificamente, per la sua attenzione al mondo femminile e alle sue sofferenze, affrontando i temi del trauma e del segreto individuale e transgenerazionale, sondando aree di indicibilità che porta alla luce e disvela attraverso le immagini e le storie dei suoi film. In questa occasione a Vincenza Quattrocchi del Centro Psicoanalitico di Firenze ha rilasciato una intensa intervista del 2021 (https://www.spiweb.it/multimedia/video/cristina-comencini-intervistata-in-occasione-del-xix-congresso-spi-inconscio-inconsci-4-7-2-2021/), in cui parla diffusamente del suo rapporto con la psicoanalisi e della sua poetica.
Quello della maternità è uno tra i temi più esplorati da Comencini, approfondito in un’altra intervista a cura di Silvia Vessella del 2012 (https://www.spiweb.it/multimedia/video/videointervista-a-cristina-comencini-3/), inserita nel dossier “Donne/madri/cattivi pensieri” (https://www.spiweb.it/dossier/donne-madri-cattivi-pensieri-marzo-2012/). Comencini ha continuato ad occuparsene, come dimostra un suo articolo su La Repubblica del 30 maggio dal titolo “La libertà di essere madre” (https://www.centrovenetodipsicoanalisi.it/la-solitudine-della-maternita-riflessioni-a-partire-dal-film-quando-la-notte/), che sfida anche noi psicoanalisti a ripensare e proporre un concetto nuovo di maternità, al passo con l’evoluzione sociale e culturale in corso.
Tra i suoi film vogliamo ricordare i più significativi in questo ambito: l’ultimo “Tornare” (2019), “La bestia nel cuore” (2006), candidato all’Oscar per miglior film straniero, recensito da Gabriella Giustino (https://www.spiweb.it/cultura-e-societa/cinema/recensioni-cinema/la-bestia-nel-cuore/) e “Quando la notte” (2011), anch’esso commentato da Giustino (https://www.spiweb.it/dossier/donne-madri-cattivi-pensieri-marzo-2012/cinema-e-maternita-psichica-i-cattivi-pensieri-delle-madri-gravidanza-aborto-maternita/) tratto dal suo omonimo romanzo (2009) e presentato alla 68esima Mostra d’Arte Cinematografica di Venezia, attraverso il quale ha preso avvio la serata.
Infatti ne è stata proiettata una breve sequenza, di grande impatto emotivo, che mostra o, meglio, fa sentire sulla pelle dello spettatore, l’estrema solitudine della giovane madre Marina (Claudia Pandolfi).
Rimandiamo al commento di Gabriella Giustino (https://www.spiweb.it/dossier/donne-madri-cattivi-pensieri-marzo-2012/cinema-e-maternita-psichica-i-cattivi-pensieri-delle-madri-gravidanza-aborto-maternita/per quanto riguarda la trama e una visione psicoanalitica più dettagliata dell’opera. Qui possiamo aggiungere sinteticamente che il film affronta la nascita della protagonista come madre, immergendo lo spettatore in quelle infinite sfumature dei vissuti ambivalenti della maternità con una forza a tratti brutale, per arrivare a far comprendere, come afferma Winnicott che “è necessario che una madre possa tollerare di odiare il suo bambino” (1947, p. 243) per poterlo anche amare.
Comencini si è mostrata estremamente generosa nel raccontare dei sentimenti di solitudine provati a seguito dell’accoglienza negativa avuta dal film alla sua uscita e il fatto di aver potuto condividerli durante il suo percorso analitico le ha fatto comprendere di aver voluto esplorare un terreno pieno di insidie, un vero e proprio “campo minato”. Il film è stato rivalutato nel tempo, insieme ai cambiamenti sociali e culturali avvenuti in questo decennio, che hanno portato nelle donne una maggiore consapevolezza dei propri desideri e delle proprie possibilità, malgrado il sistema non si sia altrettanto evoluto .
In serata è stato proiettato il film “Il buco in testa” (2020) seguito dall’incontro, organizzato da Simonetta Diena e Sergio Anastasia, con il regista Antonio Capuano, che è anche scenografo, autore teatrale, televisivo e cinematografico, nonché titolare della cattedra di Scenografia all’Accademia di Belle Arti di Napoli. Considerato uno dei personaggi più significativi del cinema italiano, proprio in questo 2022 ha ricevuto il Premio alla Carriera nel corso della 67ª edizione dei Premi David di Donatello. Pur essendo considerato un Maestro del Cinema, è diventato davvero famoso per essere il protagonista della scena considerata il fulcro narrativo del film di Paolo Sorrentino ”È stata la mano di Dio” (2021). Qui il personaggio di Antonio Capuano (interpretato da Ciro Capano) intima a Fabietto (Filippo Scotti, il giovane Sorrentino): “Non ti disunire”. Una battuta evocativa, che si presta a molteplici interpretazioni, pur essendo un’espressione che proviene, a detta dello stesso Capuano, dal gergo calcistico. È infatti una raccomandazione che gli allenatori fanno ai loro calciatori: se la squadra si “disunisce”, non rimane compatta, la linea difensiva cede e la rende vulnerabile alla sconfitta. Anche in gergo psicoanalitico entriamo nel campo delle difese, che possono impedire al soggetto di mantenere l’Io coeso e restare fedele al proprio Sè più autentico e profondo. “Non ti disunire” si potrebbe quindi tradurre in questi termini: non dissociarti, non frammentarti, non lasciare che il trauma della perdita e il dolore prendano il sopravvento, altrimenti perderai di vista i tuoi obbiettivi, non riuscirai a raccontare agli altri una storia, la tua storia.
Questa idea ci sembra di poterla ritrovare, in altre declinazioni, anche nel film “Il buco in testa”, di cui Ornella Moschella ha scritto una bella recensione (https://www.spiweb.it/cultura-e-societa/cinema/recensioni-cinema/il-buco-in-testa-di-a-capuano-recensione-di-o-moschella/).
La storia, intensa e coinvolgente, è liberamente ispirata a quella di Antonia Custra, figlia del vicebrigadiere Antonio, ucciso poco più che ventenne da un colpo di pistola il 14 maggio 1977 durante una manifestazione. Capuano immagina le ricadute psichiche di quell’episodio su tutti coloro che ne sono stati coinvolti: una moglie, una figlia, un killer in cerca di redenzione, una generazione perduta. La forza delle immagini è intensificata dalla colonna sonora e dai suoni penetranti della lingua napoletana.
Nel film la protagonista, nata due mesi dopo la morte del padre e morta di malattia due anni dopo aver incontrato l’assassino del padre, si chiama Maria ed è interpretata da una Teresa Saponangelo di bravura eccezionale (è stata vincitrice del David di Donatello come migliore attrice non protagonista per “È stata la mano di Dio”): rabbiosa, ribelle, pronta a mandare tutti a quel paese, in costante ricerca di risposte, tormentata da un’angoscia senza nome che però ha il volto da eterno ragazzo di suo padre.
Maria vive vicino al mare, a Torre del Greco, con la madre Alba, che non parla e cucina tutto il giorno per conto di una panetteria, “si ammazza di lavori”. Maria si arrangia con lavoretti precari, ha un’amica del cuore disperata come lei, frequenta un poliziotto e un’insegnate soli come lei. Quando apprende che l’omicida del padre ha un nome e un volto, che ha scontato la sua pena e vive a Milano pensa: “Adesso so chi odiare”. Si taglia e si tinge i capelli, prende un treno veloce per andare a incontrarlo, incoraggiata dalla sua psicoterapeuta. Porta con sé una pistola, che non userà.
Quel buco in testa del titolo rimanda alla ferita mortale riportata dal giovane uomo ammazzato, ma anche al trauma della perdita che crea un vuoto incolmabile e che condiziona le vite di Maria e Alba, congelate al giorno dell’omicidio.
Al termine del film, Capuano ha svelato alla platea di avere avuto “bisogno” di raccontare questa storia, per dare visibilità a ciò che la cronaca non può mostrare, a quel dolore e a quell’odio che, possiamo dire, “disuniscono”.
Maria, ci ha detto Capuano, solo grazie all’aiuto della sua terapeuta e di chi, come lei, attraversa faticosamente le stesse difficoltà può smettere di affermare ciecamente le sue convinzioni dense di rabbia e odio, attraverso le quali sentirsi protetta dalla ferita narcisistica di essere rimasta orfana, resa vulnerabile, relegata ai margini della società e abbandonata dallo Stato che avrebbe dovuto proteggerla.
Essere dalla parte del “giusto” e della “verità” può divenire in questi casi una difesa, che Maria impara a sue spese di dover abbandonare, per riconoscere il valore dell’Altro come specchio. Capuano ci ha voluto mostrare, anche nel vivace dibattito che ha seguito la serata, quali siano i rischi di aderire a una visione narcisistica di sé, che costringe a mostrarci grandiosi e potenti. Maria ha dovuto sopravvivere anche a una madre uccisa dal “fine pena mai”, cui l’omicidio del marito l’ha condannata.
Tutti noi, allo stesso modo abbiamo bisogno di abbandonare le nostre cecità per accettare le colpe e le mancanze dei nostri padri.
In un’epoca di visioni polarizzate e contrapposte, di un’illusoria relazionalità anogettuale, che pretende di prescindere dall’altro, il film apre a una possibilità verso quella che Gherardo Colombo chiama il “Perdono responsabile” (2020), ovverosia la via per permette all’individuo di comprendere la propria natura fragile, riconoscendola negli altri, anche coloro che pensiamo essere i nemici, o gli aggressori.
Perché in fondo, ci dice Capuano citando De Filippo: “Se cerchi la bellezza incontri la morte. Se cerchi la vita, incontri la bellezza”.
Bibliografia
Colombo G. (2020). Il perdono responsabile. Perchè il carcere non serve a nulla. Ponte delle Grazie, Firenze.
Comencini F. (1990). Quando la notte. Feltrinelli, Milano.
Winnicott D.W. (1947). L’odio nel controtransfert. In Dalla pediatria alla psicoanalisi, 234-246. Martinelli, Firenze (1975)
Giugno 2022