Cultura e Società

Commento finale e Premi

8/09/14

Commento di Elisabetta Marchiori

La 71esima edizione della Mostra del cinema di Venezia si è conclusa con mia grande soddisfazione: il Leone d’oro l’ha vinto il film ‘Il piccione su un ramo che riflette l’esistenza’. Benché il suo humor nero e disorientante non sia stato apprezzato da tutti, ad ascoltare i commenti del pubblico. E qui mi fermo, ricordando il bel libro di Giorgio Sacerdoti ‘L’ironia attraverso la psicoanalisi’ (1987).

Il film vincitore del Leone d’argento, di Končaloski, ‘Le notti bianche del postino’, si contrappone per stile e poetica narrativa a quello di Anderson, benché, a mio avviso, il tema sia lo stesso: l’esistenza umana e la sua miseria. Tanto le immagini di Anderson sono claustrofobiche, tanto quelle di Končaloski sono agorafobiche. Il postino di Anderson si muove in paesaggi meravigliosi attraverso lunghi percorsi in barca, in autobus, a piedi. Intorno al lui tanti altri ‘poveri cristi’, ubriaconi, pescatori di frodo, pensionati, una ex compagna di scuola di cui è innamorato, non ricambiato, madre di un ragazzino che gli si affeziona. Sembra che il tempo si sia fermato, laggiù, mentre la storia va avanti, rappresentata da un immenso reattore lanciato nello spazio, che il postino non vede: è seduto e gli gira le spalle. A fargli compagnia un gatto grigio (conseguenza del suo passato da alcolista) che corrisponde al ‘micino’ di peluche del suo amico bambino. Elementi che, come le storie di streghe, i ricordi d’infanzia, le riflessioni del protagonista, danno al film tocchi di poesia e di lieve ironia. Una pellicola fluida, che scorre senza ostacoli e avvolge con dolcezza lo spettatore. Malgrado tutto, c’è la vita.

La morte e l’orrore, invece, sono protagonisti assoluti del documentario di Joshua Oppenheimer ‘The look of silence’, che ha vinto il Gran Premio della Giuria. Il coraggioso regista texano ripropone la storia del genocidio indonesiano già affrontata in un suo lavoro precedente, ‘The act of killing’, di cui riutilizza molte sequenze, dove i massacratori anticomunisti (ancora al potere) raccontavano e mimavano con orgoglio le loro gesta. In quest’opera mette a confronto diretto vittime e assassini, nel tentativo fallimentare di evocare un senso di colpa totalmente assente o impossibile da provare, perché sarebbe così forte da ‘fare impazzire’. Gli assassini, infatti, ritenevano di prevenire la pazzia per ‘avere ucciso troppi uomini’ bevendo il sangue delle vittime. Dobbiamo tener conto che in Estremo Oriente, come si vede anche nel già commentato ‘Red Amnesia’, il senso di colpa tende ad essere sostituito dalla vergogna. Un film terrificante, che ripropone la questione della possibilità di dare ‘immagine’ all’orrore del genocidio, trattata da Didi-Huberman nel libro ‘Immagini malgrado tutto’ (2003).

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