di Cesare Secchi, Guaraldi, 2007.
Recensione di Elisabetta Marchiori
Il 9 maggio 2008, presso la Mediateca dell’Università di Modena e Reggio Emilia, sono stata invitata a presentare, con Nicola Dusi (docente di Semeiotica del cinema e dei nuovi media) il Catalogo audiovisivo multimediale (in CD-rom) Cinema e follia di Cesare Secchi. (1)
Il catalogo (2) raccoglie attualmente (ma si tratta di un work in progress) circa 500 titoli di opere filmiche relative alla sofferenza psichica che fanno parte dell’archivio audiovisivo (in DVD) del Centro di Documentazione di Storia della Psichiatria San Lazzaro di Reggio Emilia (3). Quest’ultimo è stato istituito nel 1991 con la finalità di proteggere, conservare e favorire la conoscenza e l’utilizzo del ricco patrimonio dell’ex-Ospedale Psichiatrico San Lazzaro e promuovere la riflessione critica sull’esercizio e la pratica della psichiatria (e delle discipline correlate), sulla sua storia e sulle sue attuali problematiche. Su questa linea, nel 2003 ha deliberato la costituzione del suddetto archivio audiovisivo, attraverso l’acquisto di film, la registrazione dai canali televisivi, il riversamento di materiale in formato VHS.
A curare questo poderoso lavoro è Cesare Secchi, membro del Comitato Scientifico del Centro, psichiatra, membro associato della Società Psicoanalitica Italiana, ricercatore presso il Dipartimento di Neuroscienze dell’Università di Modena e Reggio Emilia. Appassionato cinefilo, ha curato rassegne cinematografiche sui rapporti tra cinema e follia, ha collaborato per anni con la rivista Cineforum, è Redattore della Rivista Sperimentale di Freniatria ed è autore di scritti quali La fascinazione (Pratiche 1994), Lampi e speroni danzanti (Lindau 2000) e La sindrome delle molestie assillanti (Bollati 2003) e L’infinita sfumatura (ETS, 2007).
Il catalogo, accompagnato da un breve testo di presentazione, si propone come una "guida" per avvicinarsi a questo tema complesso, con indicazioni ricche, precise e puntuali.
Quest’opera, unica nel suo genere, tiene conto dell’aumento esponenziale verificatosi in questi ultimi anni dell’interesse per l’utilizzo dei mezzi audiovisivi in ambito psicologico, psichiatrico e psicoanalitico, confermata dal crescente numero di pubblicazioni sull’argomento.
L’evoluzione degli studi sul rapporto tra psiche e immagine ha portato a superare definitivamente la tendenza ad applicare concetti tratti dalla psicoanalisi o dalla psichiatria per "interpretare" i film, tanto da sviluppare un proficuo lavoro interdisciplinare fra diverse culture (vedi Sabbadini, 2006).
Sappiamo che psicoanalisi e cinema sono nati negli stessi anni e "sono cresciuti insieme", come suona l’incipit del famoso libro dei Gabbard (1999) Psichiatria e cinema.
Il cinema si presta bene ad essere coniugato con le scienze della psiche, essendo arte e, contemporaneamente, medium, quindi caratterizzato da una dimensione comunicativa peculiare.
Il cinema, per usare parole di Brunetta (2006), è un "luogo comune, per la cultura del ‘900, un punto d’interazione ed ibridazione di molti linguaggi. Tra tutte le discipline rispetto alle quali il cinema intrattiene commerci e relazioni più o meno visibili, psichiatria e psicoanalisi mostrano maggiori affinità elettive e possibilità di relazioni durevoli e profonde" (p. 48).
Le immagini cinematografiche comunicano con il singolo spettatore, a livello conscio e inconscio. Per quanto concerne la percezione conscia, ogni film risulta, come afferma Edgar Morin (2001), "l’incarnazione dell’immaginario nella realtà esterna", "lo sdoppiamento dell’universo in un universo riflesso" (p. 119). Con l’inconscio, d’altra parte, il cinema ha una comunicazione diretta, come bene ha spiegato Musatti (1961): esso ha la capacità di risuonare emotivamente di fronte alle immagini filmiche e questo per la particolare somiglianza che presentano con le fantasie inconsce; inoltre, per effetto dell’identificazione, lo spettatore è di volta in volta tutti i singoli personaggi, mentre per effetto della proiezione tutti i singoli personaggi sono sempre lo stesso spettatore.
Il titolo del Catalogo, Cinema e follia, rimanda alla constatazione che il cinema si è mostrato, sin dall’inizio, una forma espressiva molto adatta a trasmettere, esemplificare e comprendere situazioni di disagio psichico spesso difficili da descrivere in parole.
Oggi, nel terzo millennio, con l’avanzare dei nuovi media telematici ed interattivi e della realtà virtuale, il cinema continua a rappresentare una risorsa preziosa: come strumento d’espressione, come dispositivo comunicativo, come "spazio privilegiato in cui l’inconscio diffonde a pioggia i propri raggi luminosi per rendere visibile l’invisibile" (Brunetta, 2006, p. 48) e pensabile l’impensabile.
Questo perché, da un lato, il cinema mantiene intatta la capacità di fornire immagini pregnanti e condivisibili della realtà, di elaborare rappresentazioni utilizzabili per interpretare il mondo.
Dall’altro lato, il cinema si conferma come zona di confine e passaggio tra percezione e parola, con una grammatica di base accessibile sensorialmente a chiunque, strumento di narrazione che permette, tramite la parola, di condurci oltre le immagini, i suoni, i dialoghi, le emozioni e gli affetti che fa esperire.
Il cinema è un’arte ancora a suo agio in questo tempo culturale di mutazioni in atto, dove, come dice Baricco (2006) "il sapere che conta è quello in grado di entrare in sequenza con gli altri saperi, dove l’essenza delle cose non è il punto ma la traiettoria, la sequenza dei passaggi, che permette di incontrare un senso nel fare esperienza" (p. 121).
Il cinema, nel suo susseguirsi narrativo di immagini, soddisfa il bisogno sempre più urgente di fare esperienza di movimento, di confrontarci con lo scorrere del tempo, con il senso della trasformazione e della prospettiva.
Il cinema è un simbolo riassuntivo della nostra cultura in mutazione (televisione, video, videogames sono figli del cinema), la creazione di un sistema "passante" che permette di individuare traiettorie e poi produce senso: prima lo annebbia, poi lo rischiara. Un po’come la "luccicanza", il "sesto senso" del bambino protagonista di Shining (S. Kubrick, 1980): l’intensità del mondo sta nel bagliore di una sequenza.
Secchi sottolinea come il cinema giochi sul registro evocativo "nel senso che le singole immagini e la loro articolazione in sequenze sono in grado di mobilitare in chi guarda stati d’animo, emozioni, fantasie, ad un livello d’immediatezza e vivacità, più difficilmente attingibili attraverso altri media".
Psicoanalisti e psichiatri possono creativamente e produttivamente avvalersi dei propri strumenti conoscitivi per affrontare, attraverso i film, temi di loro competenza rimanendo nella "corrente della mutazione".
Il lavoro intrapreso da Secchi è difficile: come cinefili e cultori della psiche andiamo al cinema, parliamo e scriviamo di cinema, con il rischio, sempre presente, di manipolare ed utilizzare troppo soggettivamente o in eccessiva conformità alle nostre talvolta arroccate "deformazioni professionali", una forma d’arte così "pubblica" e oggi anche molto spettacolare.
Secchi se ne assume il rischio e la responsabilità con un atteggiamento molto rispettoso nei confronti di questo materiale prezioso, che ha cercato, trovato, scelto, raggruppato, raccolto (concretamente e virtualmente) con pazienza con l’intento conservarlo di "con cura e attenzione" in vista dei suoi molteplici usi, primo fra tutti quello di fornire traiettorie per "navigare", attraverso il cinema, nei territori della psiche.
Non dimentichiamoci che il termine cercare deriva dal greco "kirkos", anello, che rimanda a qualcuno che continua a girare in cerchio perché vuole trovare qualcosa, con tanta pazienza (Baricco, 2006, p. 121).
Secchi ci apre porte che si affacciano su questo territorio impervio, verso questa "selva oscura", che è anche il paese delle meraviglie, offrendo potenziali traiettorie e mappe che ciascuno di noi potrà disegnare come ne ha bisogno, ben consapevole che la mappa non è il territorio, come diceva Gregory Bateson (1979), e aprendo un cantiere dove la scritta "lavori in corso" sarà permanente (come si diceva, un work in progress).
Credo che i termini "cura e attenzione" siano particolarmente adatti a definire lo sforzo e la passione che muovono l’autore di questo lavoro: solidamente ancorato alla realtà della "materia", delle opere nella loro concretezza di oggetti, ci offre la possibilità di attingere dal contenitore dove le ha ordinate amorevolmente dandoci gli strumenti per trovare, come in un puzzle, l’immagine che cerchiamo o imbatterci, con stupore, in un’immagine "altra" che non avremmo pensato di trovare (Campo, 1987, p. 169). Questo in un tempo in cui "viviamo sotto una pioggia ininterrotta di immagini, che i più potenti media non fanno che moltiplicare in una fantasmagoria di giochi di specchi, immagini che in gran parte sembrano prive della necessità interna che dovrebbe caratterizzare ogni immagine, come forma e come significato, come forza di imporsi all’attenzione, come ricchezza di significati possibili" (Calvino, 1988, p. 67).
Così diventa importante la cura quotidiana, l’attenzione, il vigilare, che consente un intelligente navigare nella corrente, capace di rotta. Mai come in questi tempi di mutazione è necessario essere capaci di decidere cosa si vuole salvare, mettere al sicuro, non dalla mutazione, ma nella mutazione: perché quello che si salva non è quello che abbiamo tenuto al riparo dai tempi, ma quello che si lascia mutare, perché ridiventi sé stesso in un tempo nuovo (Baricco, 2006).
Sulla base di una precisa revisione di studi precedenti, Secchi ci introduce al suo metodo di lavoro e hai contenuti del CD.
Il criterio di selezione del materiale filmico è definito dall’autore "estensivo", in quanto include opere della cinematografia internazionale sonore e mute, narrative e documentaristiche, sia ad argomento specificamente psichiatrico, sia a contenuti di particolare pregnanza per le loro risonanze psicologiche, seppure non cristallizzate in un disturbo definito. Possiamo trovare inoltre materiali concernenti particolari esperienze in campo psicologico e psichiatrico e aree di confine (quali il disagio psicologico nell’handicap somatico e nelle malattie organiche).
Sono stati invece escluse quelle produzioni cinematografiche dove il ricorso alla psicopatologia appare forzato e pretestuoso, privo di qualsiasi autentico interesse (vedi film di serial killer).
Tutto il materiale è stato classificato tramite una scheda di quindici campi, inclusi quelli che forniscono indicazioni tecniche dell’opera conservata. I parametri più significativi sono quelli psicopatologici/psichiatrici.
E’ interessante che alla voce "genere", accanto alle categorie classiche (quali drammatico, commedia, fantastico, orrore, noir, fantascienza, western, documentario) sia stata aggiunta quella della "storia clinica", che permette di individuare opere in cui le situazioni patologiche sono il perno centrale del racconto (come Creature del cielo, di P. Jackson, 1994), di cui è riportata la trama.
Il repertorio delle parole chiave è ampio e aperto, non riconducibile a categorie precostituite, il che permette, attraverso la loro combinazione, di attribuire alla singola opera una sua specificità.
Le parole/chiave sono suddivisibili in sei gruppi, che individuano:
1) temi psicopatologici (37 voci, come agitazione psicomotoria, catatonia, depressione ecc.), alcuni divisi in sottoclassi, per la frequenza con cui tali tematiche emergono nel materiale considerato;
2) categorie nosografiche (20 voci, come alcolismo, attacchi di panico, disturbi dell’umore ecc.) in parte corrispondenti ai criteri DSM;
3) terapie psichiatriche (28 voci, come anonima alcolisti, psicoanalisi, trattamento sanitario obbligatorio ecc.);
4) psicoanalisi (25 voci, come angoscia di castrazione, inibizione, transfert ecc.). 5) temi socio-antropologico (20 voci, come abuso infantile, incesto, operatore psichiatrico ecc.)
6) temi psicologici (17 voci).
Secchi ammette che è risultato particolarmente difficile definire le tematiche psicoanalitiche, riferite a concetti di significato non univoco in letteratura e particolarmente complesso.
L’autore ribadisce la consapevolezza che la "catalogazione" di opere filmiche rispetto a parole chiave può incorrere in diversi rischi di riduttivismo e semplificazione. Per esempio, rileva la difficoltà nell’applicare le suddette parole/chiave ad alcune opere cinematografiche o per la loro povertà espressiva o, viceversa, per la loro ricchezza tematico/linguistica, che deborda da griglie troppo elementari.
Tuttavia l’utilizzo delle parole/chiave permette di individuare con grande facilità quello che l’utilizzatore di questo maneggevole strumento sta cercando (un film a scopo didattico, per una rassegna cinematografica, per un lavoro scritto, per interesse personale e qualsivoglia altra motivazione scientifica e culturale), comprese opere difficilmente reperibili altrove, quali video didattici, esercitazioni seminariali, documenti di divulgazione e registrazioni di esperienze cliniche.
Un’opera consistente, dunque, questa di Secchi, dotata della leggerezza e dell’esattezza di cui parla Calvino (1988): la leggerezza pensosa che dà senso alle cose e l’esattezza che rimanda ad "un disegno dell’opera ben definito e ben calcolato", "l’evocazione di immagini visuali nitide", "un linguaggio il più preciso possibile". Essa ha anche il pregio di essere consultata con "velocità", consentendo di transitare attraverso il mondo del cinema e della follia anche solo per farcene un’idea, cosa che le videoteche "classiche" non permettono. Basta un gesto per entrare e uno per uscire, semplice, immediato. Entrare nel cinema e finire altrove, nella follia, e viceversa: un sistema "passante", dinamico e bidirezionale.
Poi ciascuno si potrà avventurare alla profondità che desidera.
Bibliografia
Baricco A. (2006). I barbari. Gruppo Editoriale L’Espresso, Roma.
Bateson G. (1974). Mente e natura, Adelphi, Milano, 1984.
Brunetta G.P. (2006). "Il cinema nei territori della psiche", in M. De Mari, E. Marchiori, L. Pavan (a cura di) La mente altrove. Cinema e sofferenza mentale, Franco Angeli, Milano, 48-59.
Calvino I. (1988). Lezioni Americane. Sei proposte per il prossimo millennio. Mondadori, Milano.
Campo C. (1987). "Attenzione e poesia". In Gli imperdonabili, Adelphi, Milano.
Gabbard G.O., Gabbard K. (1999). Cinema e psichiatria, Cortina, Milano, 2000.
Morin E. (2002). L’identità umana. Raffaello Cortina, Milano.
Musatti C. (1965). "La psicologia degli spettatori al cinema", in Scritti sul cinema (a cura di) D. F. Romano, Testo&immagine, Torino, 2000, 25-64.
Sabbadini A. (2006). "Presentazione", in M. De Mari, E. Marchiori, L. Pavan (a cura di) La mente altrove. Cinema e sofferenza mentale, Franco Angeli, Milano, 9-13.
1 – La registrazione dell’evento può essere vista integralmente sul sito http://tv.unimore.it/index.php?option=com_content&task=view&id=161&Itemid=7
2 – Il catalogo si può richiedere sul sito www.libreriauniversitaria.it/libri-editore