Capitan Tempesta e i … Mari perigliosi
Commento di Gemma Trapanese, Sarantis Thanopulos
Non è un caso che, malgrado sulla piazza televisiva circoli più di un commissario (basti pensare al più recente Ricciardi, che dà la caccia a quei bastardi di Pizzofalcone), Montalbano rimanga per tutti “il” Commissario. Il suo personaggio, vero purosangue, mai tremerà di fronte all’imprevisto. Mai esitante nemmeno per copione, mai e poi mai tradirà la sua antica vocazione di investigatore. Non così per il nostro Mari, investigatore, anch’egli (di anime), la cui pur acclarata telegenicità non gli farà mai guadagnare quell’articolo determinativo capace di concedere la facoltà di rappresentare una intera categoria, quella degli psicoanalisti o sedicenti tali. A lui, stanco navigatore dei mari agitati dell’animo umano, psicoterapeuta ormai stagionato (cinquantasette anni, terza serie), strizzacervelli “pentito”, riconosceremo, a sorpresa, il merito di averci fatto riflettere sui rischi professionali che corre, con lui, tutta una variegata categoria, quella dei curatori della psiche. Se è vero che “lavorare stanca” e a volte anche ammala, l’incerta e vacillante posizione di Mari, dentro un processo…apposta “istruito”, condurrà ad un verdetto inappellabile: un allontanamento per il soggetto in questione e la chiusura della serie. In verità, voci di corridoio già dalla prima stagione davano per certa questa “fine”. Chi va per questi Mari…
Pensare lucidamente anche in mezzo alla tempesta: proprio in questo, il lavoro dello psicoanalista sarebbe simile a quello dell’ufficiale in guerra. Parola inappellabile di uno Psicoanalista del calibro di Bion che, forte della sua esperienza di allora ufficiale medico sul fronte di guerra, precisava che sarebbe capace di tanto solo chi, sopravvissuto a una Scuola seria di formazione, sia diventato una persona “viva”, capace di “sentire”, insomma una “feeling person”. A onor del vero, su questa lodevole dote, di essere capace di “sentire”, Mari ha sempre puntato e più che mai in questa stagione della sua vita, in cui, però, il sentimento si inquina con il pre-sentimento di una assai brutta malattia, che potrebbe avergli tramesso, “probabilmente” suo padre, affetto dalla stessa: il Parkinson. Malgrado tanto affannato di suo, Mari ci prova ancora, nel suo studio, fino a perdere il sonno, a tentare estremi salvataggi. Brutti risvegli, in settimana, se per questo, toccano pure alla collega Adele che, da spettatori indiscreti, sorprendiamo già sveglia, quell’“attimo prima” del suono della sua puntuale sveglia delle 7.00 e che attraverso un messaggio lasciato in segreteria convoca Mari. A lei, novella e placida Sibilla, che ha preso il posto della più carismatica ed elegante Anna, Mari fa capo ormai da settimane, di venerdi. A lei, in verità con scarsa devozione Mari si offre spettacolarmente in crisi e come a un Oracolo (comunque) si rivolge, per ricavarci magari almeno qualche pronostico per i suoi pazienti naufraghi. Ma con ostinazione no, la Sibilla televisiva proprio non ci sta a pronunciarsi ed emettere sentenze sui pazienti. Non vuole erogare super-visioni. Vuole solo curare-chi-cura, a maggior ragione se, come lui, non sa di mentire. Come la fatina turchina con Pinocchio, così Adele si prodiga assai con Mari, il cui sguardo sfuggente, che noi intanto non perdiamo di vista, si smarrisce seguendo la linea che disegna la rotondità evidente dell’addome di Adele, nell’ “attimo” in cui si è alzata e che proprio così scopriamo rivelare il suo stato “interessante”. Altrettanto “interessante”, ma in altro senso, pur comunque sconvolgente per Mari, è per sua ammissione, di lì a poco, il “caso” di Bianca, la paziente del giovedì, giovane donna che porta i lividi di un desiderio violentato, che ripropone anche nella stanza con Mari la sua esperienza traumatica, messa in scena per riviverla e padroneggiarla. Preso dall’esigenza, mai risolta, di tenere lontana dentro di sé la madre dal padre, Mari, scoperto l’inganno, è deluso senza riconoscerlo, quando comprende che Bianca si è inventata la sua aggressione da parte del marito.
La “cosa” non risolta sul piano del controtransfert nei confronti di Bianca, scivola buffamente per riapparire su un altro piano, quello del transfert nei confronti della sua analista incinta. La scoperta della gravidanza avvia, in una sorta di braccio di ferro con Adele, quella partita volta ad appurare, una volta e per sempre, chi è innamorato di chi: Adele di Mari, visto che gli ha telefonato di prim’ora per poterlo vedere, o Mari di Adele, creatura superiore in grado di procreare da sé, ma che lo fa però sentire inferiore, “ un vecchio pirla, incerto, incapace e disadattato”? Dopo la vista della pancia, che ancora Mari spera possa essere una semplice svista, in un attimo lo scenario cambia: è subito tempesta. Il mare si gonfia, le acque si agitano, si aprono per lasciare il posto a un baratro. Mari, proprio lui, da “patetico Amleto” in-treatment, si in-furia, e, in-contenibile, in-comincia a scalciare. Stentiamo davvero a riconoscerlo, allorchè, di lì a poco, proprio sul muso gliene canterà quattro alla dottoressa che in fantasia era già “sua”: chi crede di essere, là seduta come “su un trono a giudicare silenziosa e glaciale?”… “…la Pricipessina freudiana con gli occhi di ghiaccio!!!” In quella stanza, proprio in quella in cui la faccenda di due che parlano si fa sempre faccenda assai seria, sappia, allora, proprio… Lei, la principessina che lo fa sentire così umiliato, e che dice di saperla lunga sulla ripetizione di pattern sostenuti da alibi, e sulla necessità di doverli “sgretolare”, che a comandare è solo e proprio Lui: His Majestic the baby!!! Dal canto nostro, che abbiamo seguito d’ufficio le sedute della settimana, proprio non sappiamo se Mari in “quell’attimo prima” di perdere le staffe riviva “il dramma del bambino dotato”, o piuttosto “il turbamento del bambino drammatico” (come nel simpatico lapsus di Rita), di fronte a quei “bambini nella pancia della madre”, di kleiniana memoria. In ogni caso, se lo stacco musicale fosse intonato alla fantasia in do maggiore di Schuman, faremmo certamente bella figura, facendo nostra la interpretazione di Adorno che vuole, in quella fantasia, Schuman capace di descrivere “l’attimo prima” dello scompenso, di quel crepuscolo della coscienza, che esita nell’uscire fuori di sé. E’ la “potenzialità” dello scompenso che si preannuncia, così come la potenzialità del tremore di diventare Parkinson, o la stessa potenzialità di Rita (la paziente attrice del lunedi) di ammalarsi dello stesso tumore della sorella (ex paziente di Mari), che fa dell’ “attimo prima” il tema della settimana, e che la “nostra” Aulagnier avrebbe inquadrato come “potenzialità psicotica”. Ma attenti a mandare al rogo il pur…”nostro” Mari… che, pazientemente, più volte nell’arco della settimana di lavoro, si è immerso nei mari agitati. Per essere un sommozzatore “non dotato” di bombola di ossigeno, non proprio male se la cava a soccorrere il naufragato prossimo suo, che, dobbiamo riconoscere, tratta cristianamente veramente come se stesso. Ora, che Mari non abbia avuto una formazione psicoanalitica presso una “real” School, lo testimoniano tutti gli psicoanalisti di SPI-SKY. Messo, quindi, in pace l’animo di quanti (real analisti ) temono di essere scambiati per un Mari qualsiasi, ci riposizioniamo fiduciosi e composti di fronte allo schermo. Ma in barba all’insegnamento (sempre di Bion) che ci vuole presenti sì nella “situazione”, ma “senza desiderio e senza memoria”, di Mari, della sua vita passata e presente teniamo a mente proprio tutto, a cominciare da Eleonora, quella buona e brava donna di sua moglie, che, malgrado infedele, abbiamo conosciuto in una scena di vecchia serie, in cui ce la metteva tutta a pulire proprio il divano dello studio del marito, perché fosse senza macchia il primo e… senza peccato il secondo, Mari… ( ma in verità se stessa).
Malgrado in assai cattive acque, Mari continuerà, per tutta la settimana a somministrare acqua ad ogni buona occasione, ai suoi pazienti che, assetati, bevono pur non credendoci al fatto che basti un piccolo rifornimento potabile a rigenerare le proprie anime disidratate. Sul mangiare proprio no, però, Mari è fermo e non transige: nessuna concessione a chi ha fame. Così Rita, la paziente attrice del lunedi, (nonché sorella di una ex paziente di Mari), il cui stomaco brontola davvero, non verrà sfamata. Che sia di insegnamento che … la mancanza inauguri e anticipi quel processo che dovrà, con la morte della sorella più bella, ma meno dotata, Patrizia, trasformare la sua assenza in perdita. Sempre a Rita, Mari saprà spiegare, consolandola, che “il genitore che a sua volta si sente non apprezzato dalla propria madre, per riempire quel vuoto” può finire col trasformare quel figlio “in uno specchio in cui riflettersi”. Oltre che sorella di Patrizia per sangue e poi ancora quasi sorella “di divano”, ri-nata nella stessa stanza di analisi, Rita, anche figlia e madre, ci rivela le delicate maglie di una discendenza al femminile che corre lungo tre generazioni, affidando a Mari l’occasione di annunciare un tema tanto caro che parla di trasmissioni segrete e invisibili che attraversano appunto le generazioni. Di Riccardo, giovane e tormentato sacerdote, la storia ha in questa sesta settimana un colpo di scena, degno di questo nome, visto che dal resoconto di Riccardo brilla il rapporto con una madre bellissima, in grado di inibire profondamente il desiderio sessuale di un figlio. La scena erotica della madre con la giovane sua allieva, a cui veniamo invitati a partecipare con Riccardo che la rivive, sembra effettivamente la degna sostituzione della scena primaria. Ma una scena reale non avrebbe mai potuto produrre una così violenta repressione del desiderio erotico profondo di Riccardo e la sua vocazione sacerdotale difensiva, se non avesse configurato il pregresso contenuto fantasmatico di una madre che si era appropriata del suo pene (e attraverso di esso il pene del padre), per soddisfarsi in modo autoerotico. Agli occhi di Riccardo l’allieva della madre diventa, sul piano inconscio, l’oggetto virginale (ancora di nessuno) desiderato da lui. Con l’allieva amante/figlia della propria madre Riccardo, peraltro, si identifica perché si sente, al posto suo, finalmente tra le braccia materne. Che ahimè lo dominano.
Proprio in seduta celebrerà il suo compleanno Luca, il paziente del mercoledì. Quale occasione migliore per ricordare di sentirsi come un rolex pezzottato che vendono a Porta Portese, anche se a volte riesce pure a convincersi di essere un “real” rolex. In quanto uscito dalla vagina di una donna che lo ha subito rifiutato, Luca in-siste a ripetere il trauma del rifiuto, comunque e sempre, tanto da strappare a volte gli schiaffi dalle mani, come da quelle di Max, l’ex compagno, che lo ha menato di santa ragione. Tanta, evidentemente, deve essere la paura di Luca di danneggiare l’oggetto desiderato con il proprio stesso desiderio. Ma rieccoci: “Cosa è accaduto un attimo prima che Max ti menasse?, così Mari riinsiste sull’ “attimo prima”. Attraverso esercizi di movimento del corpo, e prove varie, Luca, stendendosi veramente sul divano, si offre come analizzando perfetto. Fa la fantasia che attraverso la donazione di un rene al bambino handicappato, che ha scoperto essere suo fratello, per giunta meno dotato, potrà diventare figlio un poco anche lui di quei genitori naturali che lo hanno abbandonato. Sembra verosimile che, attraverso la fantasia di un traffico…di organi, ritrovandosi fratello, si scopra finalmente figlio.
Arrivati al venerdì, ritroviamo la stanza di Adele, che ha appena proclamato di essere per “nessun battesimo” a bimbo nato (pur … sotto Natale). Dopo la tempestosa scoperta della gravidanza, Mari, ancora infuriato, fa per andare via. “La nostra sessione è finita?” chiede Adele a Mari come per trattenerlo. Di certo, chiudendo la porta alle sue spalle, la celebrazione non è ancora finita perché Mari possa andare in pace.