di Natalia Leite, USA, 2015
commento di Rossella Valdrè
Eccellente sorpresa, quest’esordio alla regia (molti, quasi la metà del totale, gli esordienti quest’anno) dell’americana Natalia Leite.Un piccolo film coerente, intenso, realistico eppure non privo di una sua dimensione sognante, diario intimo, percorso d’iniziazione, potremmo dire, di un’adolescente, Sarah, e del piccolo, arido mondo intorno a lei.
Nudo, spoglio come potremmo tradurre il poco traducibile Bare è, infatti, sia la provincia desolata del Nevada, periferia di Reno, una città finta, non-luogo che vive di casinò e locali notturni, dove Sarah (Dianna Agron) annoiata commessa in un supermercato, vagamente sogna una vita diversa. Non sa quale, non sa come.
L’attende un futuro povero di passioni, Sarah lo sa, lo spettro di diventare come la madre, una donna triste, a cui la ragazza vuol bene, che osserva dalla finestra ritirarsi sola nello squallido giardino di casa, a fumare di nascosto.Cinema minimalista, pochi i dialoghi, gli scambi; Bare non è un film di parola, i personaggi non possiedono il linguaggio della Cultura, vivono di sensazioni, sguardi, emozioni corporee, ma comprendiamo ugualmente molto bene, da pochissime battute, che Sarah non vorrà finire come quella madre depressa che pure ama, con un marito che detesta come suo padre, amiche sciocche rispetto alle quali si sente diversa, irrimediabilmente diversa. Nemmeno il sincero amore del suo ragazzo, costituiscono per lei un radicamento, qualcosa di concreto che le impedisca di sognare fughe, altre vite. L’altrove.
L’occasione di quest’altrove le è offerto dall’arrivo improvviso di una straniera sensuale e spontanea di nome Pepper (Paz de la Huerta). Di poco più grande di Sarah, tossicomane piena di debiti e sempre in fuga da un posto all’altro e da se stessa, Pepper attira subito l’attenzione di Sarah, dai primi furtarelli al supermercato. Non solo ne attira l’attenzione, ma l’affascina: quell’essere diverso, così diverso da me, diventa l’oggetto su cui cade il mio desiderio che mi faccia da tramite per un’altra vita, che mi porti via.La silenziosa, piccola Sarah ne è subito rapita e, rompendo il ghiaccio offrendosi di aiutare Pepper in un debito che lei non può pagare, inizia una relazione tipicamente adolescenziale, che le cambierà per sempre la vita.Tra le due ragazze nasce un rapporto stretto, fortissimo, di reciproco amore che si concede anche la scoperta omosessuale, sebbene faccia parte di una più ampia ricerca identitaria, da parte di Sarah.
Sarah accoglie tutto dall’amica: si introduce al mondo delle droghe, del sesso, scoprendo presto che le circola molto più denaro in tasca facendo la spogliarellista in un locale della zona, che continuando a distrarsi al supermercato, dove, infatti, si fa licenziarle.
E’ facile, quasi automatico, silenzioso e sommesso, l’inizio per Sarah di una sorta di doppia vita: di giorno la madre e le amiche la credono al lavoro, mentre lei si prepara per la notte, e vive la sua intensa, per la prima volta nella vita, gioiosa relazione con Pepper.
Non si pensi, però, che Sarah sia una vittima di Pepper. L’incontro con la povera Pepper (vera vittima, se si vuole, di una solitudine e desolazione senza limiti) è quello che potremmo definire un incontro mutativo: l’altra non plagia, non crea nulla che non vi fosse già nel profondo di Sarah che, da quando la osservava rubacchiare al negozio, era già inconsciamente identificata con lei, con la possibilità della trasgressione, di calarsi in un’altra identità. Non è stata Pepper a cercare Sarah: è stata Sarah a farsi trovare. Sfuggire al mondo spoglio del suo giardino, del suo paese di poche anime, è ciò che Sarah vuole intensamente e l’amica, con la forza della sua sensualità, con suo essere diversa dal piccolo mondo di Sarah, non fa che dare corpo – corpo, più che voce – a questa richiesta di cambiamento.
Ritroviamo una Sarah, infatti, improvvisamente a suo agio, sicura di sé nei locali notturni: una parrucca e un po’ di maquillage sembrano essere stati sufficienti a trasformare un’identità in evoluzione, a smascherare un vero sé. Sarà così? Sarà questo il destino di Sarah?
Quando scoperta, inevitabilmente, deve tornare a fare la cameriera, nella vergogna generale: sembra non esservi soluzione tra una vita rischiosa tra droghe, sesso e illegalità, e l’insopportabile Bare del ritorno a casa.
Può Sarah tornare indietro, a quella routine senza futuro? Sembra difficile….Come sembra d’altro canto difficile continuare la relazione con Pepper, una ragazza enormemente segnata, sempre a rischio di essere fatta fuori da creditori, che mente sul denaro e da cui la stessa Sarah si sente ingannata….
Se la relazione deve concludersi, quello che ha innestato in Sarah, sembra invece un cambiamento irreversibile, una porta aperta verso non si sa cosa, non si sa dove, ma ormai dischiusa.
L’incrocio con le droghe, la trasgressione, la relazione amorosa, l’amicizia folle sono stati, come accade a volte per gli adolescenti, necessario e delicato crocevia nel quale si doveva transitare. Un passaggio per l’identità; qualcuno ne resta intrappolato, qualcuno, come Sarah, lo porterà in sé come esperienza mutativa, catalizzatrice di un cambiamento che i consueti oggetti di identificazione, troppo poveri in questa landa spoglia, non avevano consentito.
Fortissima opera d’esordio, Bare è un altro piccolo, essenziale film che riesce, affidandosi prevalentemente al volto e al corpo della brava giovanissima attrice, al vuoto immane dei paesaggi metaforico di un vuoto che percorre tutte queste vite di un’America profonda, lontana da ogni gloria, preferendo il linguaggio del corpo e delle sensazione alla difficile, per questi personaggi, mediazione della parola, riesce a narrare un percorso di crescita, una ricerca d’identità come se ne incontrano tante, nella vita e nella clinica. Disorientati adolescenti della provincia profonda (di ogni provincia che non preveda possibilità), privi di modelli e risorse che non siano l’immediato godimento della sensazione e del piacere, in un vuoto d’essere che ben conosciamo, e che qui è narrato, senza giudizi o pregiudizi, con la cifra dell’essenzialità e della scucitura, nel rispetto anche del linguaggio, del dialogo adolescenziale.
Intelligente ed intenso il finale. Non c’è illusone di adattarsi, in Sarah, alla vita di casa: la visione, ancora una volta, della madre che fuma in giardino e che, con lo scambio di uno sguardo, sembra capirla – lei sola, la madre, sembra capire – è come le desse il via libera, il lasciapassare alla libertà, ad una sorta di “non diventare come me”, una donna triste senza futuro. E’ quasi, dunque, col tacito accordo dello sguardo della madre, intenso come erano stati gli sguardi con Pepper, che Sarah si rimette in cammino, sulla strada.
On the road, nel classico immaginario cinematrografico dei gradi spazi americani; in cammino verso se stessi.
“ Sono cambiato io, e non il Vuoto, e ho fatto tutto questo e sono andato e venuto e mi sono lamentato e ferito e ho gioito e urlato.”
(J. Kerouac)