Arrival
Regia di Denis Villeneuve, USA 2016
In concorso
Commento di Elisabetta Marchiori
Dopo film come La donna che canta, Prisoners e Sicario, di grande potenza e profondità, drammatici e crudi, il regista canadese Denis Villeneve, con il suo Arrival, pare si cimenti con la fantascienza, e con le stesse grandi ambizioni. Scrivo “pare” perché Arrival, tratto dal racconto “Storia della tua vita”, di Ted Chiang, sembra usi il pretesto dell’arrivo degli alieni sulla terra per coinvolgere lo spettatore nell’esplorazione della comunicazione tra Sè e l’Altro, del linguaggio che è, prima della parola, gesto, suono, segno. L’impossibilità di comprendersi, l’ambiguità dei messaggi, la solitudine, la ricerca del contatto autentico e la difficoltà a raggiungerlo sono temi ricorrenti nella filmografia di Villeneve, resi da attori talentuosi da cui riesce a trarre sempre il meglio, e da una particolare maestria nel tenere lo spettatore in costante tensione emotiva.
In Arrival questi temi si eplicitano e si rendono più articolati, in una trama complessa in cui la vicenda della necessità di comprendere le intenzioni degli alieni si intreccia con la necessità, da parte dei protagonisti, di comprendere le proprie, come esseri umani.
La Dottoressa Louise Banks (Amy Adams), linguista di fama internazionale, viene ingaggiata, insieme ad un matematico (Jeremy Renner), dal governo degli Stati Uniti, per riuscire a “tradurre” i suoni emessi dagli extraterrestri che si trovano in una delle dodici astronavi chiamate “gusci” perché simili a grandi sassi oblunghi neri – che ricordano il monolito di Odissea nello spazio di Kubrich – che si sono avvicinate in dodici luoghi diversi del pianeta, coinvolgendo altrettanti paesi. Non pare abbiano intenzioni bellicose, il che spiazza tutti: se non vogliono invaderci, distruggerci, rubarci il posto, cosa vogliono?
Partendo dall’idea che ogni linguaggio è “una forma d’arte” – in una delle sequenze iniziali Louise introduce una lezione universitaria sul suono particolare della lingua portoghese – e che da esso dipende il modo di pensare, Louise riesce, abbinando al suono delle parole la scrittura e la gestualità, a comunicare con questi esseri e acquisire da loro la capacità di conoscere il futuro, quella che sarà la sua storia di moglie, di madre e il rapporto con sua figlia, che il regista racconta grazie ad un montaggio estremamente efficace.
I due alieni “eptapodi” simili a seppie giganti, più informi dell’E.T. di spilberghiana memoria ma che, contrariamente a lui, non si son persi, ma sembrano saper bene dove vanno e perché, sono chiamati scherzosamente “Gianni e Pinotto”. Emettono suoni e sputano quello che pare inchiostro sulla barriera trasparente, che li separa (e unisce) dalla squadra capeggiata da Louise, disegnando forme concentriche molto … “interessanti”: il loro “linguaggio”.
Il film ti prende, questo è sicuro, ma in qualche momento le emozioni si confondono, perché la linea tra la genialità e il ridicolo si fa sottilissima, Villeneve non la supera per un soffio. Per esempio, come poter sperare che le grandi potenze trovino un accordo pacifico, grazie ad una sola telefonata che tocca un cuore?
Fantascienza, fantapolitica, i drammi umani fondati sull’incomprensione, il fraintendimento, “la manomissione delle parole” – come la definirebbe Carofiglio – poi l’estraneo, il lutto che non trova riparazione, “la memoria del futuro” – la chiamerebbe forse Bion – la narrazione della propria storia e la coazione a ripetere ….
Sono molti i vertici da cui si può guardare e commentare questo film, e già molto si è scritto, sottolineando, anche, la forse eccessiva intellettualizzazione. A me quei sassi neri, quei gusci, quelle barriere, quei segni alieni, il senso di atemporalità e di circolarità che permea tutto il film hanno fatto pensare all’inconscio, alle difese, al lavoro analitico che non si può limitare a “tradurre” l’inconscio, ma richiede di elaborarlo. E solo attraverso la conoscenza di sè ci si può avvicinare alla conoscenza dell’altro. Per questo, sono necessari molti strumenti: “se si conoscono solo i martelli, tutto il resto saranno chiodi”, dice uno dei protagonisti.
L’interpretazione di Amy Adams è efficace e densa di espressività, che vederla poi diretta da Tom Ford in Nocturnal Animals (la fa assomigliare a Romina Power) fa capire la versatilità di questa brava attrice, mentre Jeremy Renner mi pare stia meglio nei panni del soldato che in quelli dello scienziato.
Per concludere, sappiamo che Villeneve ha in cantiere Blade Runner 2, probabilmente con Arrival ci vuole preparare … A vedere ancora, con Philip Dick, cose che noi umani non potremmo nemmeno immaginare …
Se può essere scritto o pensato, può essere filmato (Stanley Kubrick)