Parole chiave: Simbiosi, rapporto madre figlia, transgenerazionale
Autore: Alessandra Locati
Titolo: Anime False,(Biz Kimden Kaçiyorduk Anne?)
Dati sulla serie: diretta da Umut Aral e Gökçen Usta Turchia, 2023, miniserie 7 episodi Netflix
Genere: drammatico, poliziesco
La nuova serie TV turca “Anime false”, tratta da un romanzo del 2007 della scrittrice Perihan Magden, conquista con un racconto crudo ed intimo sulla relazione simbiotica tra una madre ed una figlia, impersonate da Melissa Sözen e Eylül Tumbar.
Questa ed altre serie turche, come “Ambizione”, scritta da Meric Acemi ed “Ethos” diretta da Berkun Oya, hanno a mio avviso la capacità di affrontare tematiche importanti, con un punto di vista introspettivo ed emotivo. “Anime false” narra di una storia accattivante quanto dura, inquietante e a tratti tenera: la macchina da presa si immerge profondamente nella fragilità umana di “Madre” (di lei non viene rivelato il nome, rimandando all’universalità del suo ruolo) e nel rapporto con la figlia “Bimba/Bambi”.
Nei sette episodi, la trama si sviluppa in una routinaria ripetizione della sequenza “nuovo hotel, nuovo omicidio, nuova fuga”. La coppia non ha una casa, ma scappa da un albergo di lusso all’altro, ogni qual volta la dimora temporanea si dimostra non essere più sicura, e ogni fuga lascia dietro di sé un nuovo omicidio. Una citazione della madre era infatti, “Non abbiamo bisogno di una casa, siamo dimora una dell’altra”. Emblematico è il lento e inesorabile deterioramento della qualità degli hotel che possono permettersi, simbolo di una crescente e pararllela vulnerabilità e rottura della loro simbiosi.
Madre, sempre vestita di nero, ha una sola missione nella vita: proteggere la figlia dalle anime false – i pericoli del mondo – proponendo uno stile genitoriale tanto capace di empatia, accudimento e gratificazione, quanto pericoloso, inglobante e mortifero, laddove Madre non si dimostra in grado di cogliere i bisogni di autonomia e crescita di Bambi. Emblematico del loro rapporto è a mio avviso una frase della figlia, voce narrante nella mini-serie: “Mia madre può rendermi libera se vuole, ma anche se fossi libera, starei con lei”. Sembra, che le due possano contare solo su loro stesse. L’oscuro passato di Madre continua a tormentarla: cresciuta con una madre malvagia chiamata Regina di Ghiaccio, rimesta il dolore di poche cure affettive ricevute, proponendo nella relazione con Bambi un modo accudente simbiotico e iper protettivo. I pezzi del puzzle si uniranno poco alla volta, intanto che il rapporto tra le due, scena dopo scena, inizierà a sfaldarsi: Bambi è stufa di correre, vorrebbe sapere di più, vorrebbe trovare l’indipendenza estendendo le sue relazioni al mondo, ma la madre non è disposta a lasciarla andare. L’oggetto figlia è un “oggetto soggettivo” (Winnicott), non c’è separatezza, ma è incluso nel mondo interno della madre, una sorta di prolungamento che impedisce lo sviluppo dell’identità della figlia. Ipotizzo che il “non me” di madre, rappresentato dalla figlia, sia vissuto, per mezzo dell’illusione, come parte di sé. In questo accudimento materno morboso si ritrova la necessità narcisistica di sentirsi confermata nel proprio ruolo, e di curare la parte di sé ferita nell’infanzia attraverso la cura della figlia.
Bambi ci racconta in prima persona il suo processo di crescita ed individuazione con un finale pieno di suspence: riuscirà Madre a lasciarla libera?
Bibliografia
Perihan Magden, Who Were We Running From? (2007)
Winnicott, D.W (1971): sviluppo affettivo e ambiente, Armando Editore, anno ed 2013
Maggio 2023