
Parole chiave: violenza, aggressività, adolescenza
Autore: Massimo De Mari
Titolo: “Adolescence”
Dati sulla serie: Miniserie TV (4 episodi) creata da Jack Thorne, Stephen Graham, Regno Unito, 2025, attualmente su Netflix
Genere: Drammatico, poliziesco, giallo psicologico
Quando il cinema riesce a mettere a fuoco un’idea forte, di grande attualità e la propone con tecnica sorprendente e arte recitativa dei protagonisti, il messaggio arriva forte e chiaro. In questo caso come un pugno nello stomaco che coinvolge, appassiona e commuove. E’ una serie breve, solo 4 episodi di circa un’ora ciascuno, ma costituisce un vero e proprio manuale di come le teorie psicoanalitiche possano aiutarci a leggere i comportamenti violenti. Il tema è quello dell’adolescenza che fa fatica a confrontarsi con le frustrazioni e vive all’interno di relazioni in cui l’affettività non si distingue dalla sensorialità. Un’adolescenza in cui la fisiologica ribellione alle norme non trova argini sufficienti nel proprio mondo interno. Non a caso tutta la serie è centrata sul rapporto padre-figlio e su dialoghi in cui le questioni transgenerazionali fanno capolino nell’indicare una possibile spiegazione per le esplosioni di violenza. La serie è stata girata, con piani sequenza senza fiato, un ritmo incalzante e dialoghi essenziali e credibili. La storia inizia quando Jamie, un bambino di 13 anni impersonato da Owen Cooper, un magnifico giovane attore alla sua prima esperienza di recitazione, viene arrestato in una casa di periferia della vecchia Inghilterra, con l’accusa terribile di avere ucciso una compagna di scuola. La porta viene sfondata e, con essa, la vita apparentemente tranquilla e felice di una famiglia della working-class, travolta all’alba di un giorno come tanti dall’ingresso di una decina di poliziotti armati fino ai denti che tirano letteralmente giù dal letto Jamie per portarlo al distretto di polizia. I poliziotti spiegano al padre attonito che “potrà chiedere che siano risarciti i danni che sono stati fatti durante l’arresto”. Ma la sensazione che pervade i primi minuti dell’episodio è che qualcosa di definitivo e irreparabile sia successo, per cui nessun risarcimento potrà essere sufficiente. E’ la rappresentazione visiva dell’esperienza traumatica, una violenza “commisurata all’entità del reato”, qualcosa che riattualizza il trauma della violenza agita dal bambino e che lascia senza parole, attoniti, un evento che fa una breccia nell’apparato psichico (Freud, 1920), pertanto non può essere ricordato. Nella sequenza che segue Jamie nega la sua responsabilità, anche al padre, rappresentando il fallimento del Super Io intrapsichico (il padre) di fronte a quello reale (la polizia). Veniamo a sapere qualcosa di più sulla dinamica degli eventi da una panoramica sulla realtà sociale di Jamie, in particolare l’ambito scolastico che viene descritto con tutte le inquietudini che gli adulti (insegnanti e genitori) fanno evidentemente fatica a cogliere. E’ un mondo a parte in cui la sessualità è vissuta in modo quasi persecutorio dai maschi (altro tema fondante della serie) nei confronti del mondo femminile, un materno potente e giudicante, raffigurato nella formula 80/20 di chi si ritiene parte della categoria IN.CEL. (sigla che sta per “celibato involontario”). Secondo questo schema l’80% delle donne sceglierebbe il 20% degli uomini, quelli più attraenti, lasciando perdere gli altri, condannati quindi alla solitudine. Viene da pensare dunque all’emergere traumatico della sessualità adulta che fa sì che il corpo si imponga alla mente dell’adolescente non ancora preparata a tollerare tale “violenza delle emozioni” (Civitarese, 2007). Nell’episodio più interessante dal punto di vista psicoanalitico, assistiamo ad un colloquio tra Jamie e la psicologa, un’altrettanto straordinaria Erin Doherty. E’ un confronto a volte affettuoso e accogliente, altre duro e provocatorio, in cui la psicologa cerca di mettere a fuoco gli aspetti di personalità di Jamie, che fatica a gestire la propria aggressività. Da due punti di vista diversi, Jamie e la psicologa cercano una verità possibile che possa innescare un processo di consapevolezza (De Mari, 2018), al di là delle questioni pratiche relative alla imputabilità. Nell’ultimo episodio si tirano le fila della storia e l’accento di pone sull’ambito familiare, formato da due genitori che si amano e una figlia maggiore, Lisa, adeguata e riflessiva, che cercano delle risposte, ancora sotto shock pur dopo diversi mesi, a quanto è successo. E’ il giorno del compleanno del padre Eddie, che compie 50 anni, i genitori programmano di festeggiare andando al cinema e riescono a trovare un momento di felicità ricordando il giorno in cui si sono sono conosciuti e baciati per la prima volta. E’ la musica a favorire questo momento, Lisa trova sul cellulare una vecchia canzone degli A-ha “Take on me” che si traduce con “prenditi cura di me” ma anche “dammi un’altra possibilità”. Ma è impossibile non considerare amaramente che è da questa famiglia, così apparentemente sana, che il dramma di Jamie ha avuto inizio in qualche modo così difficile da capire. Eddie vive fino in fondo la sua sconfitta di padre quando ammette di “non avere fatto abbastanza per proteggere il figlio” e la serie si chiude quando Eddie, interpretato da Stephen Graham, uno degli autori della serie, sopraffatto da questa consapevolezza, piange sul letto del figlio, abbracciando il suo orsacchiotto preferito. E’ una disperazione diversa da quella per una morte, il figlio è vivo ma accusato di qualcosa con cui il padre, nel suo ruolo affettivo e normativo, non riuscirà più a fare i conti. Anche in questo caso la musica viene in soccorso di chi assiste a questa scena finale (in cui è veramente difficile non commuoversi) attraverso un brano di Aurora, che ci accompagna sui titoli di coda.“Il mondo è ricoperto dalle nostre tracce
ferite che copriamo con la vernice
guarda quanti predicano amare bugie
io preferirei vedere il mondo con gli occhi di un bambino”
(“Through the eyes of a child” Aurora)