Cultura e Società

Cambiamo tutto! La rivoluzione degli innovatori

29/04/13

RICCARDOLUNA

Riccardo Luna (2013)

Cambiamo tutto! La rivoluzione degli innovatori

Bari, Editori Laterza, pp. 172

Difficile recensire il libro di Riccardo Luna, ma, a mio avviso, necessario poiché illustra uno spaccato sociale che non si può trascurare, non più, piuttosto bisogna conoscerlo, ci piaccia o no, documentarsi, familiarizzare, coinvolgersi sia come gente comune che come psicoanalisti, la cui ottica non può prescindere dalle forme che assume una realtà che si modifica rapidamente attraverso quello che Luna chiama “La rivoluzione degli innovatori”.
Altrettanto necessaria è la divulgazione di “Cambiamo tutto” soprattutto nelle istituzioni rivolte ai giovani (licei, università, comunità).
Per presentare Riccardo Luna, giornalista, presidente di Wikitalia, associazione che si occupa di trasparenza e partecipazione politica attraverso la rete, basti citare che ha candidato Internet al Nobel per la Pace.

Scrittura giornalistica, asciutta, diretta, competente e informata, una visione attuale, realistica dei “fatti” sociali, inclina chi legge ad incuriosirsi andando velocemente infondo alle pagine del libro.
Il libro è pervaso da un ottimismo non scontato e mai banale, a tratti apparentemente utopistico, tuttavia sempre sostenuto da dati circostanziati, informazioni ed esperienze, reali, non già virtuali.
“Cambiamo tutto!” e’ un libro che restituisce una dose di fiducia alle capacità dell’individuo, al primato del talento, alla possibilità di un cambiamento effettivo che, dice Luna, è già in corso. Un libro che pone l’uomo-illuminato al centro di un progresso possibile e che, soprattutto, rivaluta l’universo giovanile, dandogli credito e speranza.
Un aspetto che si apprezza nel libro, è infatti quello di attenzionare, anche se non in modo diretto, studiato e retorico, la condizione giovanile permettendo ai più giovani di riconoscere, nelle parole di Luna, la loro previsione esistenziale, anche quando questa è  inespressa, realizzando una sinergia con le loro aspettative e la loro visione del presente e del futuro.
“Se è vero che alla generazione dei ventenni il futuro è stato rubato, – dice Luna – gli startupper non si lamentano: non perché non siano arrabbiati ma perché sono troppo occupati a tentare di riprenderselo, il futuro “.

Sorprende la descrizione della nuova generazione fatta da Luna che ritrae i nostri “ragazzi” con precisione fotografica e affondo endoscopico, tale da consentire loro di riconoscere, nel dettato di Luna, la loro più vera consistenza, quella che spesso viene violata poiché non riconosciuta o apprezzata, o quando gli si richiede una conversione dei desideri appannaggio non tanto del personale “godimento” quanto del benessere di un Sistema che li aliena dopo averli cooptati, quella che molto spesso viene svilita da programmi didattici troppo lontani dal loro statuto interno e, ormai, poco credibili, che non li coinvolgono, non li trascinano nel “sogno” che è dentro di loro in attesa di prendere forma o di incontrare un’esperienza che li aiuti a mettere il sogno “in forma”. Lo si vede bene scorrendo i numerosi tweet, i cinguettii, che, da diverse parti d’Italia, vengono inviati a Riccardo Luna; sono parole di gratitudine e apprezzamento per il movimento innovativo che sta portando avanti ormai da diverso tempo.  
Dice Luna: “Il loro sogno non è lavorare in Borsa o in una g rande azienda, ma piuttosto farsi loro azienda, farla crescere e semmai venderla per farne un’altra ancora. Gli startupper sono tutto un altro mondo. E quindi usano spesso felpe col cappuccio al posto di vestiti firmati; viaggiano in economy anche quando le cose girano bene perché i soldi non si sprecano (…)condividono le scrivanie con altri startupper in spazi comuni chiamati coworking non solo per risparmiare, ma per il piacere di stare insieme a persone con gli stessi principi”.
Luna accenta l’aspetto della cultura della cooperazione; lo stare o l’essere “in rete”, alleva generazioni di giovani nel culto della condivisione piuttosto che della competizione esasperata fino alla rivalità e di una “produttività” che s’impone sulla creatività.

Gli startupper sono persone che, partendo da un’idea che sia innovativa (questa è la parola chiave), creano una startup, un progetto innovativo. La startup è definita dall’Autore “un sogno personale che prova a rispondere a un bisogno collettivo ( a volte molto serio, più spesso meramente ludico) e che, se funziona, se trova un mercato, può diventare un’azienda. Creare il lavoro perduto.”. A Berlino ci sono 108 startup ogni diecimila abitanti.
Il risalto dato ai giovani risuona ancora nella frase dell’Epilogo che recita: “Del perché dobbiamo smettere di pensare di salvare i giovani, quando sono i giovani che possono salvare noi”.
Luna fa una disamina della società italiana, dati alla mano, in cui “In Italia la vita vera inizia a 55 anni, prima sei un giovane che deve aspettare il suo turno (…) e se non vuoi aspettare puoi sempre andare all’estero e diventare un cervello in fuga”.
La Generazione C., la Generazione Connessa, è quella che si riunisce in fablab “spazi per hacker, luoghi di creatività dal basso che riescono a trasformare gli individui dal ruolo di passivi utilizzatori a quello attivo di costruttori in grado di trovare soluzioni alle proprie necessità, dare concretezza alle proprie intuizioni. E sono strumenti formidabili per creare valore e occupazione”. Il primo fablab è stato aperto a Torino da Massimo Banzi, le Officine Arduino, dove “se un ragazzo di talento si presenta con un’idea assurda ma geniale, non gli diranno ‘Grazie, ma questa cosa non ha futuro’. Gli diranno ‘Prova a farla’ “.

Di queste “idee assurde” ci parla Luna nel suo libro, idee che sono diventate oggetti concreti, grazie ai maker “persone che usando la cultura e gli strumenti del digitale costruiscono oggetti molto concreti (…) come la pianta che ti manda un twitter quando  ha finito l’acqua, o il tostapane che suona una musica diversa a seconda del tipo di pane che ci infili, o la giacca salvaciclisti con le frecce incorporate sul dorso o la maglietta che invia un messaggio al futuro papà quando nella pancia della futura mamma si sente un calcetto”.
Un aggeggio che non fa rimpiangere la lampada di Aladino è L’Arduino elettronico “un piccolo computer dalle dimensioni di una carta di credito che costa appena venti euro: lo colleghi al tuo personal computer con un cavetto usb, scrivi l’azione che vuoi che un certo oggetto faccia e magicamente quella scheda diventa il cuore di una serie di oggetti che possono interagire con noi”. E ancora, “Arduino è progettato per essere utilizzato da principianti e non da tecnici. La vera forza di Arduino non risiede nell’essere stato adottato dalle grandi aziende e dai centri di ricerca, quanto dalle migliaia di persone che lo stanno utilizzando per realizzare quello che hanno immaginato (…)Con Arduino il limite è la fantasia”.

Alcune pagine del libro bisogna leggerle e rileggerle per capire se si è capito bene e non solo per la disabitudine a certi termini della cultura telematica (maker, startupper, fablab,meetup, blomming, ecc) ma per alcune informazioni che sanno di favolistico;
“Questo però non è un libro di favole – precisa Luna – attraverso storie reali abbiamo scoperto che è in atto una rivoluzione pacifica e fin troppo silenziosa che passa attraverso l’innovazione e che investe il modo di studiare, di fare scienza, di fare impresa, di creare lavoro e di lavorare, di produrre valore e di consumare (…) questi cambiamenti sono alimentati dalla cultura digitale, ma non sono affatto virtuali: sono effettivi, persino
misurabili”.
Un esempio è un laboratorio che si trova a Firenze dove “si realizzano tessuti mai visti di bronzo, di acciaio, in metallo e polipropilene o che si accendono e si spengono con la pressione di un dito o quando si avvicina qualcuno che ha la stessa temperatura”. Poi ci sono i “vestiti smart” il cui marchio, plugandwear, significa “attacca la spina e indossa il vestito”; si tratta di un tessuto che quando lo tocchi apre e chiude un circuito elettrico.

E che dire della startup realizzata per stampare in tre dimensioni il proprio DNA concepito da Caterina Falleni, una giovane fiorentina di 23 anni?
Selene Biffi a 22 anni, ha realizzato una startup, Plain Ink, un sistema di istruzione a fumetti e ancora la Qessa Academy, una scuola a Kabul per aiutare i giovani disoccupati ad imparare il mestiere di cantastorie dagli anziani.
Enrico Dini, 50 anni, si è messo in testa di “ stampare” case. Sì, come i castelli di sabbia.
“Per riuscirci – scrive Luna – ha costruito a Bientina, in Toscana, una maxi stampante in 3D che spara dagli ugelli un misto di sabbia e cloruri producendo strani manufatti che vorrebbero essere abitazioni. La strada è lunga e lastricata di inevitabili insuccessi ma, nel frattempo, Dini, sforna barriere coralline artificiali per gli arabi”.
Di tutte queste storie e di altre ancora si può leggere in Blomming, un sito che è la prima piattaforma italiana di social commerce; non è l’unica.

L’economista Loretta Napoleoni definisce questo fenomeno “la prima grande rivoluzione sociale dal dopoguerra” e lo definisce Pop Economy, l’economia del popolo; anche chiamato da Kevin Kelly, il primo direttore del Wired, “il nuovo socialismo”, un “socialismo digitale che si muove sul terreno della cultura e dell’economia piuttosto che su quello del governo, un socialismo senza Stato”.
“Gli hacker, con la loro etica basata sulla collaborazione, la condivisione e il riuso, sono stati pionieri della Pop Economy”.
Dice ancora la Napoleoni: “Se oggi Marx fosse vivo scriverebbe il Manifesto dell’Economia Partecipativa, dove parlerebbe della coscienza della rete quale primo passo verso il controllo dei mezzi di produzione”.

In questa direzione è interessante sapere che esiste tutta una cultura del baratto, dello  scambio, documentata ad esempio dalla stampa di monete alternative. Che cosa sono?
Il sardex, lo scec, il sicanex, il taurino, e, soprattutto, il dropis, sono monete di scambio utilizzate, in rete in Sardegna, Sicilia, a Napoli e a Torino; una “moneta senza moneta”.
“E’ la moneta della condivisione, un nuovo modo di comprare e vendere senza usare i soldi tradizionali […] sono baratti di promesse, sono un credito on line che non puoi comperare, puoi solo guadagnartelo scambiando a tua volta qualcosa con gli altri”.
Ben si evince la portata rivoluzionaria che queste cose assumono non solo in seno all’economia (anche se molto molto lontana) ma anche nei costumi, nella cultura, nell’assetto socio-politico di un paese, e infine, nella crescita delle coscienze, poiché, sembra che, piano piano, avvenga che si sposti il vertice dei valori.
La vera innovazione sembra allora essere quella a carico di una mutazione culturale, sia pur lenta, come del resto ogni determinante cambiamento epocale, che sembra si stia svolgendo, lentamente, quasi impercettibilmente, sotto gli occhi di tutti, sia quelli ben aperti che quelli di chi li tiene fittamente chiusi, per non vedere.

Donatella Lisciotto
Aprile 2013

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