Cultura e Società

“Binario Sette”di L. Doughty. Recensione di D. Federici

2/11/20
"Binario Sette"di L. Doughty. Recensione di D. Federici

BINARIO SETTE

di Louise Doughty

(Bollati Boringhieri, 2020)

 

Recensione a cura di Daniela Federici

 

“Volli farmela per la morte, almeno, una vestina decente. (…)

… la più bella – quella che era stata per me come un sogno –

e che mi fu strappata subito, anch’essa –

quella di fidanzata. (…)

… questa morta non s’è potuta vestire.”

Pirandello Vestire gli ignudi

 

È notte, Lisa è sul binario sette della stazione di Petersborough, è lì che è stata travolta più di un anno prima, ma non ricorda come o molto altro di sé. Di fronte a lei un uomo sul ciglio della massicciata, ne legge i pensieri in quella gelida attesa, assiste impotente al suo gettarsi contro l’accecante urto d’aria del treno merci che sfreccia assordante.

Da quell’après coup del proprio investimento, Lisa si riscuote da un presente inceppato nel perimetro spazio-temporale della stazione e, di rimbalzo sulle figure che entrano in scena, la sua coscienza si spande alla ricerca di chi era e di cosa le è accaduto.

Forse a tenermi intrappolata qui era l’incapacità di affrontare il mio passato, la mia semplice codardia.

La magnetica scrittura della Doughty sviluppa l’intreccio dentro la mente della protagonista come un giallo, fra i tasselli di una memoria rimossa che riaffiora come onde di marea a ricomporre la sua vita.

L’espediente narrativo di osservare lo scorrere dell’esistenza da una coscienza riflessiva che carrella fra percezioni e reminiscenze del proprio mondo interiore, esalta le doti descrittive dell’autrice e la sua abilità alla minuziosa costruzione psicologica dei personaggi. Ma soprattutto fa di quel rapinoso flusso associativo un’esperienza che risuona con l’osservarsi analitico e il suo racconto di fantasmi fra presente e passato, impatti di realtà e immaginario.

C’è l’ordinario e c’è l’impensabile – tra i due, un abisso che inghiotte la nostra immaginazione.

Lisa ritrova il ricordo del suo rapporto con Matty, l’affascinante medico premuroso che da innamorato attento e interessato, si trasforma in una presenza controllante e dispotica, dai piccoli gesti violenti e intrusivi, dalle sottili delegittimazioni e svilimenti, parole usate per rendere peggiori i suoi difetti, per farla sentire sbagliata, gelosa, irragionevole.

È disorientante quando l’uomo che sembra così preso da te riesce al tempo stesso a farti sentire inadeguata in ogni tuo aspetto.

L’erosione quotidiana dei fraintendimenti, il bisogno di chiarire che scatena la centrifuga proiettiva e finisce solo con il farla dubitare ancora di più di quel che percepisce. L’insicurezza e la vergogna, il divaricarsi fra quel che appare fuori davanti agli altri e quel che sente nel chiuso delle mura di casa, i cambi di clima che disorganizzano le intenzioni. Una lenta compressione che rende succubi e inermi in un progressivo isolamento straniato.

L’acqua si riscalda per gradi e non c’è un momento in cui per la rana diventa nettamente diversa o abbastanza fastidiosa da balzare fuori.

Nella vita di Lisa si insinua un senso di soffocamento, l’aria viziata di paura per quel dominio che tiene in scacco e odora del piacere di indurre confusione, di farla sentire in balia.

La situazione tra di noi poteva solo peggiorare. Cosa stavo aspettando, un segno inequivocabile? Un uomo come Matthew non avrebbe mai superato il limite, ora lo sapevo, mi avrebbe solo fatta stare peggio finché non avessi più creduto nemmeno ai miei stessi pensieri.

È sempre il momento più difficile, il momento della consapevolezza.

Il triste errore di tante, così allettante e lusinghiero.

Ho confuso la possessività con l’amore. Quando mi sono resa conto della portata di quell’errore, vi avevo già investito troppo per fare marcia indietro, perciò ho potuto solo continuare a commetterlo per giustificare di averlo fatto la prima volta. Era un errore troppo ampio e complesso perché potessi confessarlo – e in che modo lo avrei spiegato ad amici e parenti, quando nemmeno io capivo come fosse stato possibile?

Grande osservatrice dell’animo umano, nella fine maestria dei dialoghi e dei pensieri della protagonista, la Doughty mette in scena una vicenda di abuso emotivo, una perfetta raffigurazione dei risvolti torbidi dei legami perversi.

Matthew e la sua capacità di abbagliare, non solo per piacere ma per paralizzare, la sua abilità di entrare nell’intimo per carpirne le insicurezze e i guasti, per minarlo con la propria superiorità, nell’incessante bisogno di convalide che si danno a spese altrui, prede ridotte a utensili entro un rapporto manipolatorio che garantisce un trionfo maligno.

Le fini tramature di una relazione narcisistica di potere, cui è estraneo tanto l’amore quanto l’odio – che implicano un riconoscimento dell’altro mentre in questi legami l’altro viene disumanizzato, negandogli ogni valore, separatezza e autonomia.

La scrittura affilata dell’Autrice dà forma al passo a due della patologia relazionale: l’adescamento delle illusioni di essere amati che promettono l’oasi del persuadersi amabili, il consegnarsi a una specifica modalità di sottomissione che abdica a sé per aderire all’altro, passo dopo passo ogni volta oltre ciò che non si era mai pensato di poter essere o accettare. In un crescendo coinvolgente di inquietudine, gli sprazzi di consapevolezza nell’incantamento malevolo, le estorsioni delle angosce di perdita, le spinte subito silenziate a liberarsi dalla predazione, l’inganno di poter cambiare l’altro.

Ma non si cambia un’organizzazione così tenace, edificata per eludere il conflitto entro la propria interiorità, per immunizzarsi da tensioni e dolore, dall’attrazione stessa dell’altro.

Se avessi presagito

L’espediente del punto di vista di una coscienza senza vita pare compensare gli offuscamenti di un tempo di ‘vita senza coscienza’, perché le malie della relazione perversa disabilitano una funzione riflessiva, la capacità di distinguere e difendersi.

Non ero pazza, tranne quando lui mi faceva impazzire.

È solo la possibilità di Lisa di vederlo ‘da fuori’, sgombra dagli umani e complessi risvolti del sequestro perverso, che le consente di vedere all’opera la consumata destrezza di quelle manovre a custodire l’immagine priva di torti e grandiosa di sé, imprimendosi con forza insinuante su un’altra creatura incerta, disabituata e avida di essere vista, che non si capacita di quanto è stata fortunata a incontrarlo. Almeno fino ai primi bagliori di lucidità, ai dubbi che si fanno terrore, alla messa in palio del fallimento di tutto ciò che si è investito, l’inganno che mutila quanto di intimo si era consegnato all’altro.

Il desiderio di possesso non può mai durare – una volta posseduto l’oggetto del desiderio, il desiderio muore.

Attraverso i personaggi che intreccia, come la sonda di una sensibilità risonante, Lisa osserva i destini di altre vite spezzate dai danni della violenza abusante.

Alcuni di noi sono tormentati da ciò che hanno subito, altri da ciò che hanno fatto, e i più sfortunati di noi da entrambe le cose. Ci ritroviamo sballottati tra le onde dei nostri ricordi in una barca troppo piccola per contenere tutta la nostra infelicità.

Nell’irrinunciabile dignità del vestire gli ignudi Pirandello rappresentava con sapienza la difesa narcisistica necessaria e il racconto dolente della protagonista fa pensare a quella vestina: si ascolta quel flusso di coscienza come una narrazione che ridà pudore a intimità oltraggiate. Come quando la voce del pensiero guada lo scempio della propria esistenza avvolgendolo pian piano entro il guscio di un senso, e in quel prendersene cura rispecchiato da una funzione di testimonianza, lo rende più vivibile.

Fuori fa buio, ma è un buio bello, un buio pieno di spazi vuoti e di possibilità, e il treno procede fragoroso…

È un libro che non offre una morale né alcuna consolazione, forse solo il monito così difficile da percorrere: la sola possibilità, all’apparire di certi fragori ipnotici e travolgenti, è mettersi in salvo, perché la lunga strada per sciogliere l’incantesimo di quell’ipnosi possa trovarci ancora vivi.

 

BIBLIOGRAFIA

 

Filippini, S. (2005) Relazioni perverse. La violenza psicologica nella coppia, Franco Angeli.

Racamier, P-C. (1993) Perversioni narcisistiche in Il genio delle origini, Cortina.

 

Vedi anche in Dossier Spiweb Femminicidio – Marzo 2013:

Riflessioni intorno al pensiero di Sandra Filippini

 

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