Aspettando
Figure della maternità
Nicomp Editore, Firenze , (2011)
Recensione di Stefania Nicasi
Li aspettiamo da quando? E poi li aspettiamo nove mesi. Da quando vengono al mondo, passeremo il tempo ad aspettarli: che escano da scuola, dagli allenamenti, dagli esami, dall’Erasmus, dalle vacanze. Li aspettiamo di notte, che tornino a casa, che non si siano cacciati in qualche guaio. Che ci mandino un sms (per telefonare non hanno mai soldi), magari una e-mail. Che passino per un saluto, anche veloce, basta “Ciao mamma, sto bene”. La vita delle madri è fatta di attese.
Dall’attesa alla nascita, dagli occhi alla mente: Aspettando narra questa avventura attraverso le immagini, a partire dalle immagini. L’arte di tutti i tempi ha ritratto la maternità, ma le autrici si muovono quasi esclusivamente all’interno del Novecento: una insolita selezione di splendidi quadri, da Chagall a Picasso, da Matisse a Fattori, da Kandinsky a Sironi, da Magritte a Boccioni, da Lucien Freud a Frida Khalo. Fra le immagini di quando in quando sbuca un breve testo che “appare come una sorpresa e allora ne siamo particolarmente attratti”, nota Graziella Magherini nella Prefazione.
Immagini e testo invitano a immaginare, ricordare, sognare. Le autrici, tre psicoterapeute e una psicoanalista, fanno parte dell’Osservatorio della Maternità Interiore che, ispirandosi al metodo dell’Infant Observation, ha studiato la vita mentale nella gravidanza e agli albori della relazione madre bambino.
“Ritratto di Lydia Delectorskaya”. Henry Matisse 1947
Un libro lieve e profondo, rasserenante come una passeggiata nel parco: viene voglia di regalarlo a una giovane donna.
“Avrete già saputo dal telegramma che abbiamo una piccola bambina. Pesa sette libbre, che è un peso rispettabile. È terribilmente brutta. Fin dal primo momento, continua a succhiarsi la mano destra. Per il resto sembra di buon umore e si comporta come se qui si sentisse davvero a casa. Nonostante abbia una sua splendida voce non piange molto, è felice. Sta sdraiata tranquillamente nella sua magnifica culla e non dà l’impressione di essere agitata dalla grande avventura (che l’aspetta). Si chiama Mathilde, ovviamente, grazie alla Sig.ra Breuer. Mi chiedo come si possa scrivere così tanto di una creatura di solo cinque ore! Il fatto è che mi sono già innamorato di lei anche se non l’ho ancora vista alla luce del sole”. (Da una lettera di Sigmund Freud a Emmeline e Minna Bernays, 16 Ottobre 1887).
“El bano”. Leopoldo Garcia Ramòn, 1902
gennaio 2012