Creata da Jonathan Entwistle
Genere: drammatico
Produzione originale Netflix, 2017.
Recensione di Angelo Moroni
Il punto di forza di questa nuova serie inglese prodotta da Netflix, alla sua prima stagione, è senza dubbio il rapporto, molto pensato e internamente coerente, tra soggetto e sceneggiatura. Creata dal giovane regista inglese Jonathan Entwistle, diplomatosi presso la prestigiosa Chelsea School of Art di Londra, “The End of The F***ing World” possiede la mirabile capacità di farci toccare con mano il linguaggio, il pensiero e le emozioni di due adolescenti profondamente deprivati, Alyssa e James, abitanti di una provincia anglosassone dei giorni nostri degradata socialmente ed economicamente. Entwistle utilizza tuttavia, insieme a quello drammatico, anche il registro ironico, mescolandoli sapientemente e con equilibrio. Il serial è ispirato all’omonima graphic novel del fumettista americano Charles Forsman. Il soggetto si pone l’obiettivo deliberato di descrivere un disagio giovanile profondo, derivante da traumi affettivi ambientali segnati da abbandoni e lutti gravissimi (nel caso di James) e da uno stato generale di incuria e deprivazione sia materna che paterna drammatico (nel caso di Alyssa). La sceneggiatura sviluppa tale soggetto mediante la costruzione di otto episodi, della durata di circa venti minuti l’uno, che “incollano” allo schermo lo spettatore coinvolgendolo in rapidi e successivi colpi di scena e portandolo ad identificarsi immediatamente con i protagonisti. Questo tipo di narrazione filmica, ad avvitamento successivo di sequenze stranianti, che di volta in volta ci sorprendono, ha un effetto spiazzante, ma insieme commovente, e si muove perfettamente sulla linea delle modalità del funzionamento mentale, impulsivo e rapidamente cangiante del pensiero e dell’emotività adolescenziali. Il quadro di fruizione generale che ne deriva, per lo spettatore, è dunque quello di un’esperienza completamente immersiva, sia nella storia, che nella mente e nei pensieri di Alyssa e James, entrambi impegnati ad affrontare il dramma che loro stessi nel presente, e il loro ambiente familiare nel passato, hanno contribuito a generare. Dramma della crescita in primis, una crescita turbolenta che tuttavia è innanzitutto spia di un diffuso degrado sociale e relazionale: Entwistle desidera denunciare tale degrado, a chiare lettere, senza mezzi termini.
La storia prende avvio da James (interpretato da Alex Lawther), diaciassettenne disadattato, attraversato da pensieri omicidi: il suo unico progetto è quello di uccidere una persona, dopo aver ucciso animali di vario tipo durante la sua infanzia, e capiremo più avanti le motivazioni di questi pensieri (il tentativo di capovolgere una sensazione di impotenza annichilente in controllo onnipotente). James incontra alla mensa scolastica una nuova studentessa, la coetanea Alyssa (Jessica Barden), ribelle, dall’umore instabile, in conflitto con la madre e con il compagno di lei. I due decidono di lasciarsi alla spalle un mondo familiare che non li soddisfa e di scappare insieme, via dal “sistema”. La loro “emigrazione” dai rispettivi contesti familiari avrà esiti insieme comici e drammatici, girati da Entwistle in un’atmosfera a tratti surreale, a tratti struggente, soprattutto negli ultimi episodi.
Dal punto di vista cinematografico il respiro poetico di molte sequenze fa pensare che Entwistle si sia ispirato a Terrence Malick e a uno dei suoi capolavori in particolare, “La rabbia giovane” (1973), con Sissy Spacek e Martin Sheen, film che, esattamente come “The End of The F***ing World” pone al centro del suo discorso la rabbia giovanile e l’incomunicabilità tra generazioni. Come Malick anche Entwistle sembra voler sottolineare che uno dei sintomi di alcuni esiti adolescenziali non felici consista nell’installarsi dell’adolescente in un gruppo (nel nostro caso di una coppia) che non è in grado di aiutare il ragazzo a sostenere il difficile passaggio dall’infanzia all’età adulta, ma che al contrario chiude il giovane in un guscio autodistruttivo. Non solo l’adolescente può ammalarsi, ma anche il gruppo o la coppia in cui “emigra” nella primavera violenta dei suoi mutamenti fisici e psichici. Nel caso dia James e Alyssa si tratta di una coppia attraverso la quale la differenziazione da famiglie disfunzionali e deprivanti assume le caratteristiche delle trasgressione afinalistica, che vuole tagliare radicalmente, ma illusoriamente, ogni legame col passato, cercando di sostituire l’elaborazione della sofferenza psichica con l’illusione dell’onnipotenza, dell’invulnerabilità del corpo e dello spirito.
Ma ciò che muove la scelta di questa prospettiva estetica, e insieme etica, da parte di Entwistle, è anche la volontà di non perdere di vista le responsabilità dell’ambiente in cui l’adolescente vive, cioè del mondo degli adulti. Un mondo attraversato da mutamenti antropologici radicali cui sta andando incontro la società umana nel suo complesso.
Da una prospettiva psicoanalitica “The a End of The F***ing World” è di grande interesse poiché sposta lo sguardo del clinico e dello psicoanalista dall’individuo al gruppo, al contesto sociale, che sembra vivere a sua volta, nell’attualità, una sua fragilità adolescenziale davvero drammatica, senza più “guide”, senza più “garanti metapsichici” (Kaës, 2010). Allo stesso modo la famiglia, da luogo affettivo e contenitivo, struttura sociale cardine, si sta sempre più trasformando in un “non-luogo” (Augé, 2009), in contenitore disaggregante piuttosto che promotore di legami vitali e funzione integrativa dell’identità dell’individuo in formazione. In una società divenuta così fragile, così dominata da assenza di pensiero riflessivo, e da una diffusa atmosfera di eccitazione, come scrive Giaconia (2005) la comunicazione mediatica e tecnologica “ha cambiato non solo i tempi ma anche le modalità di comunicazione stesse. Oserei dire che ha cambiato lo statuto del linguaggio, termini pregnanti come: valori, identità, hanno perduto l’alone semantico dell’incontro affetto-conoscenza che attiva il desiderio di comunicazione” (Giaconia, 2005). Entwistle, dal punto di vista della rappresentazione estetico-filmica, sembra volerci dire che l’adolescente di oggi e insieme l’adulto, cioè l”uomo post-moderno”, partecipano di uno stesso destino autodistruttivo di fragilità identitaria. Entrambi abitano “non luoghi”: un mondo che sta sempre più diventando un “villaggio globale”, un “bar nel deserto” (Bolognini, 2005), vera e propria città fantasma in cui il senso della solitudine urbana vissuta dall’individuo viene risolta (sia dall’adolescente che dall’adulto, vedi emblematicamente il padre di Alyssa) attraverso surrogati di relazione oggettuale. Si tratta di quei “rifugi della mente”, di cui ci ha parlato lo psicoanalista John Steiner (1993), che prendono la forma, particolarmente in adolescenza, di aggregazioni simbiotiche, agglutinanti, oppure dell’isolamento e dell’alienazione.
Riferimenti bibliografici
Augé, M. (2009), Nonluoghi. Introduzione a una antropologia della surmodernitá, Milano, Elèuthera.
Bolognini, S. (2005), Il bar nel deserto. Simmetria e asimmetria nel trattamento di adolescenti difficili, in Rivista di Psicoanalisi, 1, 33-44.
Forsman, C. (2017), The End of The Fucking World, Torino, 001 Edizioni.
Giaconia, G. (a cura di) (2005), Adolescenza ed etica, Roma, Borla
Kaës, R. (2009), Le alleanze inconsce, Roma, Borla 2010.
Steiner, J. (1990), I rifugi della mente, Torino, Einaudi, 1996.
Febbraio 2017