Autore: Maria Antoncecchi
Titolo:Lo stato della follia
Genere: documentario
Dati sul film: regia di Francesco Cordio, Italia, 2013, 72’
“Qui ti uccidono piano piano”
Nel 1978 la legge Basaglia abolisce gli Ospedali Psichiatrici Civili, i cosiddetti manicomi, prevedendo al loro posto una rete di servizi di assistenza per i malati psichiatri, ma non si occupa di quelli Giudiziari (OPG), i manicomi criminali, che ospitavano i “folli rei”. In Italia erano sei: Aversa, Barcellona Pozzo di Gotto, Montelupo Fiorentino, Napoli, Reggio Emilia, Castiglione delle Stiviere (unica struttura in cui erano presenti anche donne ed era gestito da personale sanitario).
Gli OPG non vengono “toccati” dalla riforma della psichiatria e vengono “dimenticati” fino al 2010, quando entrò in azione la Commissione parlamentare d’inchiesta sull’efficacia e l’efficienza del Servizio Sanitario Nazionale presieduta da Ignazio Marino.
Francesco Cordio, regista del film “Lo stato della follia” è entrato negli Opg durante i sopralluoghi realizzati dalla Commissione che effettuò, a sorpresa, ripetute visite, e ha documentato con le sue riprese lo stato di degrado e di abbandono in cui erano tenuti gli internati.
Successivamente la Commissione presentò una relazione in seguito alla quale si dispose la chiusura prima di alcuni reparti ritenuti “incostituzionali” e poi di tutti gli OPG entro il 31 marzo 2013, disponendo il ricovero dei pazienti nelle Ospedali Civili e in altre strutture sanitarie. Tra rinvii e proroghe si arrivò alla eliminazione definitiva degli Opg il 1 aprile 2017.
Il film, uscito nel 2013 ma da rivedere in occasione dei quarant’anni dall’approvazione della legge Basaglia, propone due livelli narrativi. Il primo riguarda il racconto in prima persona dell’esperienza pluriennale di un ex internato che, con un racconto pungente, ironico e drammatico ci conduce nel manicomio di Aversa. Il secondo si snoda lungo le riprese effettuate durante le ispezioni nelle varie sedi dei manicomi giudiziari, che hanno la funzione di portarci nei luoghi del racconto, oltre che a denunciare le terribili condizioni degli ospedali e dei suoi ospiti.
Quello che vediamo non ci può lasciare indifferenti, il tempo sembra essersi fermato sulla soglia di quegli ospedali: le facce abbrutite dei pazienti abbruttite dai disturbi mentali non curati, dalla segregazione e dall’incuria ci fanno scoprire un mondo che solitamente è nascosto ai nostri occhi e alle nostre coscienze.
La frattura tra la società civile e l’istituzione manicomiale è l’espressione di una paura profonda che, attraverso processi di scissione e proiezione, nasconde ciò che sentiamo perturbante e con cui non vogliamo entrare in contatto.
Come scrive Franco Basaglia (2015, 55): “Il manicomio è nato storicamente a difesa dei sani. Le mura servivano, quando l’assenza di terapie rendeva impossibile la guarigione, ad escludere, isolare la follia perché non invadesse il nostro spazio. Ma tutt’ora esse conservano questo compito: dividere, separare, difendere i sani attraverso la esclusione di chi sano non è più”.
Gli sguardi degli internati chiedono visibilità e attenzione quando non sono oramai persi nel vuoto e sembrano porsi in contrapposizione a quella spinta ad occultare e ad allontanare propria di queste istituzioni. A testimonianza di questo Francesco Cordio racconta come, al momento di entrare in OPG, sia stato messo in guardia sulla pericolosità degli ospiti e sui rischi ad essere danneggiata che correva la sua attrezzatura ma, contrariamente alle attese, durante le riprese ha incontrato malati desiderosi di parlare, di essere ascoltati e di chiedere aiuto.
La voce narrante del film è dell’attore, prematuramente scomparso lo scorso anno, Luigi Rigoni che, dal palcoscenico del teatro di Todi, come in una rappresentazione teatrale, ripercorre la storia del protagonista e i suoi ricordi da quando tutto incominciò: “Una mescolanza di farmaci condita da una forte quantità di alcol e poi delirio, devastazione… destinazione: Aversa”.
Gli ambienti sporchi, le strutture fatiscenti con letti di contenzione arrugginiti, lesivi della dignità umana, ci fanno percepire i malati come agnelli sacrificali prigionieri di un istituzione che non cura la malattia ma la rafforza: “Ho avuto due anni e sono qui da dieci, ero un bambino normale”, dice un paziente mostrando la sua foto di quando aveva dieci anni con la sorellina, mettendoci di fronte all’assenza di ogni tentativo di riabilitazione e di recupero una vita fuori di lì da parte dell’istituzione.
Si tratta di volti segnati da una graduale e inesorabile perdita del sé, determinata dall’ abbandono dei legami con l’esterno, dalla perdita di ogni progettualità futura e dal distacco dalla propria vita passata e “dalle regole dell’istituto ad umiliarsi a mortificarsi a riconoscere come logica la perdita della propria individualità lo stato di inferiorità di fronte agli altri, il rifiuto da parte dell’istituto di accettarlo nella sua dignità di uomo” (Basaglia, 2015, 55).
“In manicomio giudiziario ti dicono che tu non sei più tu perché qui non ti hanno solo tolto tutto ma anche quell’azione, per quanto tragica, per cui sei finito lì dentro. Nemmeno quell’azione ti appartiene più.” Questa frase recitata da Rigoni esprime con grande chiarezza come l’ingresso nell’ospedale corrispondeva a un lavoro di cancellazione, rimozione e negazione della persona, della sua storia, degli atti compiuti ostacolando e impedendo qualsiasi tipo di presa di coscienza , di riabilitazione, di cura del malato. Ed è proprio per questa tendenza collettiva alla negazione e alla rimozione che si è reso necessario documentare attraverso le immagini quello che il Presidente della Repubblica di allora, Giorgio Napolitano, definì ”orrore medievale”.
Alcune immagini hanno valso al regista una Menzione Speciale al Premio Ilaria Alpi 2011 ed il Premio “L’anello debole” 2011 (primo premio assoluto e premio speciale della giuria di qualità, sezione TV), mentre il film ha ricevuto nel marzo del 2013 il Premio al Bif&st di Bari, ottenendo una Menzione Speciale.
Luigi Rigoni è stato un attore teatrale e cinematografico di talento, che qui dimostra tutta la sua bravura. ,
Riferimenti bibliografici
Intervista di Francesco Cordio su il manifesto del 08.03.2014 di Natasha Ceci
La legge Basaglia
Babini P. V. (2009). Liberi tutti. Manicomi e psichiatri in Italia: una storia del novecento. Il Mulino, Bologna.
Basaglia F. (2015) L’utopia della realtà. Einaudi, Torino
Foot J. (2014). La «Repubblica dei matti». Franco Basaglia e la psichiatria radicale in Italia. Feltrinelli, Milano.
Lallo A. (2014) Mala dies L’inferno degli ospedali psichiatrici giudiziari e delle istituzioni totali in Italia. Infinito, Modena
Settembre 2018
Vedi anche :